Il cuore del Buddhismo

dasa

 

Perché un punto si possa definire un “fondamento” del buddhismo, deve rispondere a due requisiti. Primo: tendere all’estinzione di Dukkha (sofferenza,dolore); Secondo: possedere una coerenza interna sperimentabile direttamente,senza dover ricorrere alla fede in un altra persona. Sono due requisiti imprescindibili.

Il Buddha rifiutò di occuparsi di tutto ciò che non conduce all’estinzione di dukkha, senza prenderlo neppure in considerazione. Poniamo il caso della rinascita dopo la morte. Che cosa rinasce? In che modo? Quale è la sua “eredità karmica”? problematiche che non conducono all’estinzione di dukkha e, in quanto tali,non appartengono e non hanno il minimo rapporto con l’insegnamento del Buddha. Non fanno parte della pratica buddhista. Inoltre, chi pone tali domande dovrà credere indiscriminatamente in qualsiasi risposta benché ad essa non si accompagni nessuna prova. L’interrogante non ha modo di verificare personalmente,ed è quindi costretto a credere ciecamente alle parole altrui. A poco a poco l’argomento si allontana dal Dhamma e si trasforma in qualcosa di completamente diverso,estraneo al problema dell’estinzione di Dhukka.

Il dukkha costituisce la problematica fondamentale dell’essere umano. A livello esperienziale, il dukkha è ciò che la mente esperisce quando, sollecitata dall’ignoranza dà origine al desiderio,all’attaccamento,all’egoismo; Crea un vissuto psicologico che va dalla delusione e l’insoddisfazione alla frustrazione,l’irrequietudine,l’angoscia,il malessere,la disperazione.

Dukkha è il carattere insoddisfacente,l’imperfezione e l’infelicità insiti nei fenomeni impermanenti e condizionati. Tali caratteri sono il risultato di Anicca (la realtà dell’impermanenza), in quanto ciò che è impermanente non può soddisfare i desideri,per quanto tentiamo(e ci disperiamo).

Non avendo studiato o esaminato a fondo l’insegnamento del Buddha sul Dukkha, lo abbiamo frainteso, dandogli il significato che nascita, vecchiaia e morte sono di per se stesse dukkha. In realtà, non ne sono che i veicoli. Il Buddha compendia la sua spiegazione del dukkha nella sentenza: “sankhittena, pancupadananakkhanda-dukkha”, “in breve, i cinque aggregati dell’attaccamento (upadana) sono dukkha”.(i cinque aggregati, o khanda sono i componenti dell’essere umano).

 

Ciò significa che qualunque cosa che prova o suscita attaccamento come io-mio è dukkha. Qualunque cosa che non prova o suscita attaccamento come io-mio è priva di dukkha. Perciò nascita, vecchiaia,malattia e morte, se non sono fonte di attaccamento come io-mio non sono dukkha. Solo quando c’è attaccamento a esse come io-mio, diventano dukkha. Ciò vale tanto per il corpo che per la mente.

 

Non pensate che il dukkha sia connaturato al corpo-mente. Corpo e mente diventano dukkha solo quando vi è l’attaccamento all’io-mio. Nel corpo e mente puro e libero da contaminazioni, cioè nell’Arahant, non c’è nessuna forma di dukkha.

 

Dobbiamo vedere che l’io-mio è la causa radice di tutte le forme di dukkha. Ogni volta che c’è attaccamento, ci sono le tenebre dell’ignoranza (avijja). Non c’è chiarezza, perché la mente non è vuota: è agitata, turbata, ed eccitata dal senso dell’io-mio. All’opposto, la mente libera dall’attaccamento all’io-mio è vuota, serena e pacificata nella consapevolezza a nella saggezza ( sati panna).

 

Nota: il termine pali Dukkha indica lo stato afflitto di sofferenza, il disagio interiore, e la natura insoddisfacente e dolorosa dell’esistenza condizionata dall’ignoranza e dall’afferrarsi alle cose in termini di Io e Mio.

Buddhadasa,

Il cuore dell’albero della Bodhi,

Ubaldini editore.

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