
“E’ un dilemma relativo alla propria personale attitudine in riguardo all’esistenza stessa. Esiste o meno, in questa vita, un problema, quello del problema della sofferenza, che può essere risolto in questa vita?” -Ñāṇavīra Thera
La questione della rinascita, una prospettiva critica.
La dottrina della rinascita è uno degli aspetti più dibattuti e controversi nel panorama buddhista contemporaneo; La molteplicità degli approcci e delle declinazioni di questo particolare aspetto del sistema buddhista rende l’analisi dell’argomento molto complessa. Da molti, la credenza nella rinascita è percepita quasi come una presenza ingombrante con la quale bisogna forzatamente convivere, ma di cui si farebbe volentieri a meno. L’insegnamento buddhista sulla rinascita può suscitare, specie fra le persone di orientamento liberal, stati d’animo che vanno dalla diffidenza al rifiuto, dallo scetticismo all’incredulità. Per alcuni, la presenza ingombrante di questa teoria all’interno del sistema spirituale buddhista diventa un ostacolo insormontabile, fino al punto di indurli ad abbandonare il Dharma, percepito come un insieme di credenze arcaiche distante anni luce dalla realtà del mondo moderno.
Occorre perciò riflettere sul ruolo di questo aspetto particolare del sentiero spirituale buddhista e su come relazionarsi ad esso, tenendo bene in mente che nella visione del Buddha, il Dharma è uno strumento il cui solo scopo è di aiutarci ad attraversare il tumultuoso fiume dell’esistenza condizionata per approdare alle sponde sicure della liberazione dal dukkha, la sofferenza esistenziale.
La rinascita nella cultura indiana e nel Brahmanesimo
La credenza nella rinascita è detta punarjanma in sanscrito; Il significato etimologico è: punar = ancora, e janma = nascita:
Tale idea era già presente nell’antica India prima dell’avvento del Buddhismo. La teoria della rinascita presuppone l’idea che qualcosa, che nel brahmanesimo è conosciuta come atman o anima, esca dal corpo del defunto per introdursi in un nuovo embrione. Dal punto di vista dell’induismo, questa affermazione non presenta particolari elementi di contraddizione, in quanto le varie teorie e dottrine nate in seno alla cultura religiosa indiana affermano l’esistenza di un anima imperitura, l’ Atman.
Per quanto riguarda il Buddhismo, la faccenda si complica un po’, dato che uno degli assiomi più importanti del pensiero buddhista è che una simile entità autonoma sia dal corpo fisico che dalla mente semplicemente non esiste. Nonostante ciò, tutte le scuole buddhiste asseriscono che effettivamente qualcosa rinasce, in qualche modo.
Significativo che il termine punarjanma non compare in nessuno dei discorsi attribuiti al Buddha preservati in lingua Pali. Il termine utilizzato dal Buddha è invece Punabbhava, traducibile come ‘nuova esistenza’.
Per l’insegnante di meditazione Stepehen Batchelor, la rinascita nel buddhismo è un concetto residuale dell’antica cultura indiana, divenuto dogma religioso nel momento in cui il Buddhismo migrò in terre straniere come la Cina, dove l’idea della rinascita era un concetto estraneo a quelle culture.
La rinascita ed il sorgere interdipendente
La dottrina della rinascita crea notevoli problemi di logicità all’interno del buddhismo: se una simile entità come l’anima non esiste, allora cosa rinasce? E’ interessante notare che scuole diverse danno risposte diverse, è ciò indica che molti parlano di cose di cui non hanno evidentemente alcuna esperienza diretta. In genere, i buddhisti religiosi spiegano la teoria della rinascita sulla base della loro interpretazione della catena dei 12 anelli dell’interdipendenza, il paticcasamuppada.
Per quanto concerne la scuola Theravada, tale spiegazione è in accordo con quanto spiegato da Buddhagosa, un maestro indiano ed ex brahmino, autore del noto manuale intitolato il sentiero della purificazione, Visuddhimagga. In questo voluminoso testo esegetico viene affermato che la catena dei dodici anelli del sorgere dipendente, – la meccanica attraverso il quale la sofferenza viene a formarsi-, si sviluppa nell’arco di tre vite, fornendo così una giustificazione dottrinale alla teoria della rinascita.
Ma se prendiamo in esame gli insegnamenti del Buddha su tale argomento, noteremo che Egli non ha mai affermato che tale processo si dispieghi nel corso di tre vite come spiegato nei circoli tradizionalisti.
I tradizionalisti di tutte le correnti sostengono che sia la coscienza a rinascere. Tuttavia, nel Mahatahna sankhaya sutta o Discorso sulla grande cessazione della sete, il Buddha redarguisce pesantemente un monaco di nome Sati, colpevole di aver insistentemente affermato che secondo l’insegnamento del Buddha, sarebbe proprio la coscienza a rinascere:
“Venne ora alle orecchie di molti monaci che Sati, il figlio del pescatore, aveva concepito questa falsa opinione, ed essi si recarono presso di lui per chiedergli se fosse vero che lui avesse concepito tale falsa opinione, che cioè questa nostra coscienza, nel giro delle mutevoli esistenze persiste, immutabile. Ed essi vollero distogliere Sati da codesta falsa opinione e gli parlarono così: “Non parlare così, o fratello Sati, non correggere il Sublime, Egli non può aver detto ciò: in varia guisa, fratello Sati, venne spiegata dal Sublime la natura condizionata della coscienza senza ragione sufficiente non ha origine la coscienza “.
Ma Sati, sebbene così sollecitato, richiamato ed ammaestrato dai confratelli, si tenne tenacemente fermo a quella falsa opinione. I monaci allora si recarono là dove il Sublime dimorava e Gli riferirono la falsa opinione di Sati, il figlio del pescatore. Il Sublime fece dunque venire presso di sé Sati e gli chiese se corrispondeva a verità ciò che i monaci gli avevano riferito. Così rispose Sati, il figlio del pescatore: “Così è appunto, o Signore, io concepisco così la dottrina annunziata dal Sublime, che questa nostra coscienza, nel giro delle mutevoli esistenze persiste, immutabile, ed essa coscienza è sempre uguale a se stessa e gode qua e là la ricompensa alle buone e cattive azioni.”
Il Buddha: Da chi hai tu dunque sentito, o uomo vano, che io abbia annunciato una tale dottrina? Non ho forse io, o vano, spiegato in varia guisa la natura condizionata della coscienza: senza ragione sufficiente non ha origine la coscienza? Ma malintesamente, o vano, tu ci vuoi correggere e scavi a te stesso la fossa e ti procuri grave danno. Ciò ti riuscirà, o vano, largamente di danno, di dolore. Ora io interrogherò i monaci. Anche voi, o monaci, avete inteso la dottrina come Sati, il figlio del pescatore?”
Un affermazione dello stesso tenore è contenuta nel Bijja Sutta del Samyutta Nikaya:
“Se qualcuno dicesse, ‘descriverò un venire, un andare, uno svanire, un sorgere, una crescita, un incremento, o un proliferare della coscienza a prescindere dal corpo, dalle sensazioni, dall’appercezione e dalle formazioni,’ ciò sarebbe impossibile.
– Bijja Sutta. S.N.
La domanda fondamentale è: se la coscienza dipende dal corpo e viceversa, come potrebbe questa, al momento della morte, separarsi dal corpo dalla quale dipende, viaggiare nello spazio ed introdursi nell’embrione appena formato? Una simile idea stride nettamente con quanto affermato dal Buddha nei discorsi sopracitati.
Sulla base di simili riferimenti scritturali, diversi pensatori critici e non tradizionali, sostengono che in senso ultimo, quando il Buddha parlava di “nuova esistenza” non si stesse riferendo alla rinascita in senso letterale, ma al continuo manifestarsi dell’Io in ogni istante della nostra esistenza, sulla base del prendere gli aggregati psicofisici come Sé o come appartenenti al Sé.
Il Ven.Buddhadasa spiega: “se l’ignoranza, causa radice della nostra sofferenza si trovasse nella vita precedente a questa, allora la liberazione dalla sofferenza in questa stessa vita sarebbe impossibile, visto che non si potrebbe lavorare all’eliminazione di tale causa radice;Se la c’è la sofferenza, allora le sue cause radice o cause proiettanti devono essere ancora qui, in questo continuum mentale, di questa vita.”
In base a questo modo di interpretare l’insegnamento del Buddha, il paticcasamuppada non si svilupperebbe nel corso di tre vite, ma semplicemente nel momento presente, continuamente. Si noti, che questa esposizione del Paticcasamuppada si basa su quanto scritto nei discorsi più antichi, mentre la spiegazione tradizionale sulle tre vite è basata sui commentari e sui manuali più recenti e non attribuili al Buddha storico, come il Patisambhidamagga, L’Abhidharma o il Visuddhimagga di Buddhagosa.
Il divenire come metafora esistenziale
Ne Il cuore dell’albero della Bodhi, Buddhadasa scrive:
“Ogni singolo affioramento del senso dell’io-mio è considerato una nascita (jati) e questo è appunto il senso della parola nascita in accordo al Dhamma. Non pensate alla nascita da ventre materno. l’uomo nasce dal ventre una volta sola e viene chiuso nella bara una volta sola. Il Buddha non si riferiva alla nascita fisica: intendeva la nascita spirituale, la nascita dell’attaccamento all’io-mio”.
Le fonti scritturali e la loro attendibilità
E’ noto a tutti gli studiosi che in molti discorsi canonici si fa esplicito riferimento alla rinascita in senso letterale, ma è difficile, se non impossibile stabilire l’autenticità e la veridicità in termini dottrinali di questi discorsi così ricchi di riferimenti mitologici e religiosi, di miracoli e magie, di storie su individui capaci di volare, di dei e semi dei in perenne lotta fra di loro, di demoni e spiriti…
Ad esempio, in un certo discorso si narra la storia di una donna che grazie ai meriti accumulati nelle vite precedenti avrebbe avuto ben cinquecento figli; In un altro discorso, si narra di un uomo che in un solo giorno avrebbe fatto un giro completo intorno alla terra;
Altrove nel corpus dei discorsi è scritto che le donne in quanto tali non possono raggiungere il pieno risveglio; In un sutta della raccolta dei discorsi lunghi (Digha Nikaya) si afferma che il Buddha avesse quaranta denti, la pelle color oro ed era alto due metri, che la terra è piatta e formata da quattro continenti posti ai quattro punti cardinali, che la pioggia è opera degli Dei, che gli uomini discenderebbero dagli Dei, che gli animali parlano tra di loro e con gli uomini e che gli inferni sono localizzati diecimila kilometri sotto terra nel sottosuolo della città di Bodhgaya, in India..
La rinascita secondo i sutta
Se è vero che i riferimenti alla rinascita sono abbondanti nei discorsi attribuiti al Buddha, in che modo questa viene spiegata negli stessi sutta ? Sorprendentemente, nella vasta mole di discorsi che compongono la raccolta dei discorsi (Sutta pitaka), ci sono pochissime spiegazioni su come avvenga la rinascita; Le uniche istruzioni contenute nei sutta spiegano che se è presente la sete – sete di piacere sensuale, sete di esistenza e sete di non esistere- vi sarà la rinascita o più propriamente “il sorgere di una nuova esistenza” ( Puna-bhava-abhinibatti) ; Viene inoltre spiegato che la qualità della futura esistenza sarà determinata dal Karma, dalle azioni-volizioni. I discorsi non danno nessun’altra spiegazione tecnica. Molto poco per un tema considerato da molti come centrale nel buddhismo.
Linguaggio ordinario e linguaggio del Dharma: I mezzi abili
Queste idee erano senz’altro diffuse al tempo del Buddha nella sua terra d’origine,l’india.
Il Buddha non le negò nettamente, ma utilizzò una tecnica comunicativa ancora oggi utilizzata dai maestri buddhisti: Impiegare concetti e idee già presenti nell’immaginario degli uditori, dandogli un nuovo significato in accordo al Dharma; Molti maestri moderni quali Suzuki, Chogyam Trungpa e Buddhadasa Bhikkhu hanno utilizzato la stessa tecnica comunicativa in riguardo al concetto di Dio creatore, un elemento portante della cultura religiosa dell’occidente.
Nel Tevijja sutta è narrata la storia di una coppia di giovani Bramini il quali chiesero al Buddha di indicare loro la via per arrivare al Brahman, il Dio Creatore nell’Induismo; a questa richiesta la risposta del Buddha fu: “Se volete arrivare all’unione con Brahma dovete coltivare quattro cose: amorevole gentilezza, compassione, gioia simpatetica ed equanimità.”
Sulla base di tale discorso, sarebbe corretto affermare che il Buddha credeva nel Dio creatore? La risposta è NO: Egli semplicemente impiegò un mezzo abile per indurre l’interlocutore alla pratica della benevolenza e della compassione.
In un altro discorso, il Buddha promise al suo fratellastro Nanda cinquecento fanciulle celesti nel momento in cui questi avesse raggiunto l’emancipazione, voleva veramente offrirgli cinquecento fanciulle divine o era solo un espediente per riportare il titubante Nanda sulla retta via del Dharma?
A Kisa Gotami che chiedeva un rimedio per resuscitare il figlio morto, il Buddha disse: “Ti darò la medicina che cerchi, a patto che tu riesca a trovare per me un chicco di sesamo preso in una casa nella quale non è mai morto nessuno. Forse Il Buddha possedeva veramente l’elisir dell’immortalità? Anche in questo caso, si trattava solo di un mezzo abile per indurre in Gotami la comprensione dell’ineluttabilità della morte.
In merito alla credenza secondo la quale esiterebbero degli inferni localizzati negli abissi, il Buddha disse:
“Quando la persona ignorante della realtà asserisce l’esistenza di un inferno negli abissi dell’oceano, egli sta affermando qualcosa di falso e privo di fondamento. Il termine ‘Abissi infernali’ è un modo di designare le sensazioni fisiche dolorose”. – S.N.36.4
Come per altre tradizioni filosofiche o religiose, i testi buddhisti non andrebbero presi alla lettera ma letti fra le righe, contestualizzati, studiati criticamente ed interpretati correttamente, in accordo cioè, al loro significato originario. Nel Buddhismo non c’è spazio per la fede cieca.
E’ altresì vero che Il Buddha non negò mai la teoria della rinascita, e ciò è probabilmente dovuto al fatto che tale dottrina forniva un fondamento etico-metafisico ideale alla pratica della retta condotta morale, in società arcaiche come quella indiana.
E se non ci fosse alcuna rinascita?
Nel discorso ai Kalama, il Buddha spiega che anche nel caso in cui non vi fosse alcuna rinascita, la pratica del Dharma preserverebbe comunque tutto il suo potenziale liberatorio:
“Quando, Kalama, il nobile discepolo ha in tal modo reso la sua mente libera dall’inimicizia, dall’avversione, non corrotta e pura, ha conquistato quattro assicurazioni proprio in questa vita:
1:‘Se esiste un aldilà, e se le buone e cattive azioni portano frutti e producono risultati, è possibile che con la disgregazione del corpo, dopo la morte, andrò in una buona destinazione, in un paradiso’.
2: ‘Ma se non esiste un aldilà, e se le buone e cattive azioni non portano frutti e non producono risultati, lo stesso proprio qui, in questa vita, vivrò felice, libero dall’inimicizia e dall’avversione’.
3:‘Supponiamo che il male ricada in chi lo compie. Allora, poiché io non voglio il male di nessuno, come può la sofferenza affliggermi, dato che non compio azioni malvagie?
4: ‘Supponiamo che il male non ricada in chi lo compie. Allora, proprio qui, mi sento purificato in entrambi i casi.’
Il pragmatismo Buddhista
Spesso viene chiesto: è possibile praticare il Buddhismo se non si crede nella rinascita? A tale domanda bisogna rispondere con un vigoroso sì. Un approccio pragmatico alla questione è offerto da Lama Yeshe:
“In termini psicologici, non c’è bisogno di credere necessariamente che il paradiso o l’inferno siano lì fuori ad aspettarvi, ma si può facilmente comprendere come le proiezioni inquinate dell’ordinario pensiero mondano vi rendano miserabili e come liberandosi di tali concettualizzazioni sia possibile sviluppare una mente sana ed una perfetta percezione della retta visione. E’ così logico; Sto parlando di questo dal punto di visto logico, non dal punto di vista di un qualche elevato sistema metafisico.”
Chogyam Trumpa offre una lettura in chiave psicologica dei sei reami del samsara:
1. Nella sfera infernale si è sopraffatti da un senso di terrore..di claustrofobia. Il calore proviene da tutte le direzioni; La terra interna si è trasformata in metallo bollente, fiumi interi sono diventati di ferro fuso..L’ODIO è così.Siamo divenuti l’ira stessa. Perseguitiamo noi stessi costantemente,questo è lo svilupparsi dell’inferno; L‘esperienza del freddo intenso e della neve,un mondo di ghiaccio in cui tutto è completamente gelato..è un altro tipo di aggressività, l’aggressività che rifiuta di comunicare con gli altri..”
2. Nella sfera dei preta o spiriti famelici c’è un enorme senso di ricchezza..qualunque cosa si desideri, ci si ritrova a possederla. Ciò rende ancora più famelici, c’è un senso di privazione, perché dal momento che abbiamo già tutto, non possiamo andare in giro a cercare qualcosa e possederlo. E’ estremamente frustrante, è una fame fondamentalmente insaziabile..( INSODDISFAZIONE)
3. La sfera animale è caratterizzata dall’assenza di senso dell’umorismo. C’è un senso di paranoia, di PAURA,come se si fosse minacciati…tutto ciò che è imprevedibile costituisce fondamentalmente una minaccia..
4.La sfera umana è fondata sulla PASSIONE, sulla tendenza a esplorare e godere..costruiamo il nostro mondo con enorme successo e grandi e grandi risultati, ma questa scalata a costruire strumenti e contro strumenti avanza costantemente per generare nuove fonti di passioni e d’intrigo..
5. La sfera degli Asura, o Titani è una situazione estremamente intelligente…c’è una tendenza a guardarsi dietro le spalle, a sospettare della propria ombra. E’ nota come sfera della GELOSIA e dell’invidia. Scopo di questa sfera è agire esclusivamente nell’intrigo…
6. Nella sfera degli dèi si diviene consapevoli della propria individualità, e l’individualità conduce ad un senso di autoconservazione. E’ la sfera dell’ORGOGLIO..è l’intossicazione da ego, un totale assorbimento in se stessi.
Da Chogyam Trumpa, Commentario al Libro Tibetano dei Morti
La nascita che è veramente importante
In merito alla questione della nascita, Buddhadasa scrive:
Ci sono diversi tipi di nascita,ma in questo momento il nostro interesse particolare è per la ‘nascita’ della mente umana in una modalità auspicabile e sempre più elevata, in grado di estinguere la sofferenza.
La nascita che è indesiderata è quella rozza, quella dolorosa. Quindi, se la domanda riguarda quale tipo di nascita sia un problema, la risposta è la nascita della sofferenza, del tormento mentale.
Il dolore fisico, se non contamina la mente, non è molto importante. C’è un dolore fisico che non fa male mentalmente, e uno dolore fisico che lo fa.
Se la mente è debole e stupida, anche la puntura di una spina può provocare dolore mentale e paura di morire.
La mente proverà sofferenza ogni qual volta che si manifesta il pensiero ‘Me’ perché ci sarà un ‘me’ a sperimentare la vita e la paura della morte ‘.
L’approccio esistenziale al Dharma
Da una prospettiva buddhista esistenziale, la questione della rinascita, o meglio, la questione del ‘sorgere di un nuova esistenza’ (punabbhava-abhinibbatti), ha poco a che vedere con il problema della sofferenza del presente, il quale può essere risolto solo nel momento presente.
A differenza di quanto sostenuto negli ambienti tradizionalisti, il Discorso a Susima ci conferma che l’ottenimento della liberazione dal dukkha e l’acquisizione dei poteri psichici, fra i quali vi è la capacità di ricordare le vite precedenti, sono due cose nettamente separate.
In altre parole, per raggiungere la liberazione, non è assolutamente necessario la conoscenza delle vite precedenti. Ancora una volta, vi è da registrare una netta discrepanza tra ciò che viene propagandato come ‘Buddhismo’ e ciò che il Buddha disse realmente.
Inoltre, Secondo l’interpretazione tradizionale, la sofferenza futura è determinata dalle cause presenti in questa stessa vita. Se davvero vi fosse una vita futura oltre la morte, la sofferenza che potremmo sperimentare in un’eventuale nuova esistenza sarà determinata, (e quindi identica) dal punto di vista della legge di causa ed effetto, dalle cause presenti in questa vita. In termini di causa ed effetto, eliminando le cause radice della sofferenza in questa vita, ci assicuriamo la libertà dalle sofferenze delle eventuali vite future.
Probabilmente, un giorno non lontano i sinceri praticanti del Dharma dovranno fare i conti con il fatto che l’insegnamento sulla rinascita sia diventato uno strumento desueto, un’arcaica credenza non dimostrabile, strettamente connessa all’antica cultura in cui nacque il Buddhismo più di 2600 anni fa, non più praticabile né tanto meno utile al progresso spirituale in quest’epoca moderna.
La forza storica del Buddhismo è stata da sempre la sua grande capacità di adattarsi a nuove culture, la sua duttilità, la capacità di reinventare se stesso, pur rimanendo fedele ai principi originali. Dalla prima predicazione di Gautama sul suolo indiano oltre 2600 anni fa, sono nate innumerevoli scuole e forme di buddhismo quali quello Sri lankese, Thaiandese, Cinese, Giapponese, Tibetano, Coreano, Mongolo eccetera. La sfida che i Buddhisti in Occidente hanno di fronte è quella di creare una via occidentale al Buddhismo ben integrata con la nostra cultura contemporanea, ma pur sempre coerente con il progetto originario di liberazione dal condizionamento e dalla sofferenza legata all’esistere.
N.B Questo testo contiene le opinioni personali dell’autore e non è rappresentativo di alcuna scuola, maestro o tradizione Buddhista.
Letture consigliate:
Practical dependent origination, Buddhadasa Bhikkhu.
The Buddha’s teaching and the ambiguity of existence, R. G. de S. Wettimuny
Clearing the path, Nanavira Thera, Path Press.
Confession of a Buddhist Atheist, Stephen Bathcelor, Spiegel & Grau.
Dependent arising in context, Linda S. Blanchard.
In italiano
Il cuore dell’albero della Bodhi, Buddhadasa Bhikkhu, Ubaldini.
Buddhismo Senza Fede, Stephen Bathcelor, Neri Pozza.
Interessante il tema è alquanto controverso grazie
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