Le sei “R” della meditazione buddhista

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Le sei “R” della meditazione insegnate dal monaco americano Bhante Vimalaramsi sono un mezzo abile utile a ricordare i passaggi della pratica meditativa insegnata dal Buddha. Esse sono:

1:Ricollegarsi a ciò che accade (consapevolezza);
2:Riconoscere ciò che sta succedendo (chiara comprensione)
3:Rilasciare (lasciare andare ciò che causa dolore)
4:Rigioire (gustare la libertà del lasciare andare)
5:Ritornare (all’oggetto di meditazione primario, respiro o altro)
6:Ripetere (continuità nella pratica)

Vediamo ora come funzionano le sei “R” in accordo agli insegnamenti del Buddha contenuti nei discorsi del Canone buddhista in lingua Pali:

Le prime tre “R”, ricollegarsi, riconoscere e rilasciare, si riferiscono alla coltivazione della consapevolezza, della chiara comprensione e all’abbandono degli ostacoli o impedimenti* durante la meditazione, come spiegato nel Discorso sui fondamenti della consapevolezza: 

“Idha, bhikkhave, bhikkhu kāye kāyānupassī viharati ātāpī sampajāno satimā..vineyya loke abhij­jhā­do­manas­saṃ “

“In questo caso, o Monaci, un monaco dimora osservando il corpo nel corpo, in maniera risoluta, consapevole , con chiara comprensione, avendo abbandonato l’avversione e la brama verso il mondo..” 

-Sati­paṭṭhā­na­sutta, MN, 10

La quarta “R”, il Rigioire è l’esperienza della gioia mentale e del benessere fisico nate dal distacco , dall’abbandono degli ostacoli durante la meditazione, come spiegato nei tanti discorsi concernenti i Jhana, gli stadi di meditazione:  

“So vivicceva kāmehi, vivicca akusalehi dhammehi savitakkaṃ savicāraṃ vivekajaṃ pītisukhaṃ paṭhamaṃ jhānaṃ upasampajja viharati. 

“Distaccato dai desideri sensoriali, distaccato dai pensieri malsani, raggiunge e dimora nel primo assorbimento meditativo (jhana), che è nato dal distacco e accompagnato dal pensiero applicato, dal pensiero costante, da gioia e beatitudine.”

-Sāmañ­ña­phala­sutta, DN, 2

ed ancora:

“Pīti­paṭi­saṃ­vedī assasissāmī’ti sikkhati, ‘pīti­paṭi­saṃ­vedī passasissāmī’ti sikkhati; ‘sukha­paṭi­saṃ­vedī assasissāmī’ti sikkhati, ‘sukha­paṭi­saṃ­vedī passasissāmī’ti sikkhati; ‘citta­saṅ­khā­ra­paṭi­saṃ­vedī assasissāmī’ti sikkhati, ‘citta­saṅ­khā­ra­paṭi­saṃ­vedī passasissāmī’ti sikkhati; ‘passambhayaṃ cittasaṅkhāraṃ assasissāmī’ti sikkhati, ‘passambhayaṃ cittasaṅkhāraṃ passasissāmī’ti sikkhati.”

“‘Inspirerò sperimentando la gioia’, così egli si esercita, ‘espirerò sperimentando la gioia’, così egli si esercita; ‘Inspirerò sperimentando benessere’, così egli si esercita, ‘espirerò sperimentando benessere’, così egli si esercita; ‘inspirerò sperimentando il condizionante mentale’, così egli si esercita, ‘espirerò sperimentando il condizionante mentale’, così egli si esercita; Inspirerò pacificando il condizionante mentale’, così egli si esercita, ‘espirerò pacificando il condizionante mentale’, così egli si esercita.” 

-Ānā­pā­nassa­ti­sutta, MN, 118

La quinta “R”, Il ritornare, ci dice di non fermarci a questa prima fase piacevole del raccoglimento meditativo e di ritornare all’oggetto primario di meditazione avanzando verso gli stadi più sottili e profondi; Continuando in questo modo la mente diverrà (forse..) focalizzata in maniera stabile sull’oggetto di meditazione, senza più bisogno di dover portare e riportare l’attenzione all’oggetto: 

“Vitak­ka­vicārā­naṃ vūpasamā ajjhattaṃ sampasādanaṃ cetaso ekodibhāvaṃ avitakkaṃ avicāraṃ samādhijaṃ pītisukhaṃ dutiyaṃ jhānaṃ upasampajja viharati”

“Pītiyā ca virāgā upekkhako ca viharati sato sampajāno, sukhañca kāyena paṭisaṃvedeti, yaṃ taṃ ariyā ācikkhanti: ‘upekkhako satimā sukhavihārī’ti, tatiyaṃ jhānaṃ upasampajja viharati.”

“sukhassa ca pahānā dukkhassa ca pahānā, pubbeva somanas­sa­do­manas­sā­naṃ atthaṅgamā aduk­kha­ma­su­khaṃ upekkhā­sati­pāri­suddhiṃ catutthaṃ jhānaṃ upasampajja viharati.”

“Con il dissolversi del pensiero applicato e del pensiero sostenuto raggiunge e dimora nel secondo jhana che è tranquillità interiore, l’unificazione (della mente), priva di pensiero applicato e sostenuto, e che è dotato di gioia e beatitudine.

“Con il distacco dalla gioia egli dimora in equanimità, consapevole, e con una chiara comprensione, godendo di beatitudine nel corpo, raggiunge e dimora nel terzo jhana che i nobili (ariyas) chiamano: ‘Il dimorare in equanimità, consapevolezza e beatitudine. ‘

“Con l’abbandono di beatitudine e sofferenza, con la precedente scomparsa di gioia e dolore, egli raggiunge e dimora nel quarto jhana, che non è né beatitudine né felicità, ma è la purezza di equanimità-consapevolezza. “

-Samaññaphala Sutta, DN, 2.

La sesta “R”, il ripetere: Allorquando dovessero riaffiorare uno o più dei cinque ostacoli, dovremmo ripetere l’intero processo daccapo: essere consapevoli, riconoscere quanto sta succedendo, lasciare andare, gustare il benessere e la gioia nel corpo e  nella mente, e ritornare all’oggetto di meditazione…

*I cinque ostacoli sono: desiderio sensuale, avversione, torpore, agitazione e dubbi sulla pratica.

 

 

 

 

 

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