“Questo mondo è fondato su una dualità, ossia: esistenza e non esistenza. Kaccāna, chi con saggezza vede correttamente il sorgere del mondo abbandona la visione erronea circa la non-esistenza del mondo; chi con saggezza vede il dissolversi del mondo, abbandona la visione erronea circa l’esistenza del mondo” .
-Kaccānagotta Sutta SN 2.17
La vera natura della nostra esistenza è uno degli argomenti più dibattuti in ambito buddhista; cercheremo quindi di fare un po’ di chiarezza, ritornando alle fonti originarie, le parole dello stesso Buddha preservate nei discorsi del Canone Pali.
Contrariamente a quanto molti pensano, il Buddha non ha mai negato l’esistenza della persona o individuo (sattha, puggala o purisa); un individuo esiste in quanto insieme dinamico e coerente di aggregati psicofisici: corpo, sensazioni, percezioni, attività mentali e processi cognitivi. questo insieme di aggregati è ciò che viene comunemente chiamato il sé o Io convenzionale, o più semplicemente, la persona, l’individuo.
Nell’attakari sutta il Buddha confuta espressamente l’idea che non vi sia una tale persona-agente:
Brahmino: “Venerabile Gotama, io sono uno di una tale dottrina, di un tale punto di vista: ‘Non esiste alcuna persona che agisce per propria volontà o che agisce per volontà altrui'”
Buddha: “Brahmano, non ho mai visto o sentito una tale dottrina, un tale punto di vista. Come può una persona, muovendosi avanti e indietro per propria volontà dire: ‘Non esiste alcuna persona che agisce per propria volontà o che agisce per volontà altrui’? Cosa ne pensi, bramino, Esiste o non esiste il fenomeno dell’iniziare, del dare il via [ad un’attività]? “
“Esiste, venerabile signore.”
“Esistendo un tale fenomeno dell’iniziare [un’attività], è possibile o meno discernere esseri che danno vita ad azioni?
“Certo, venerabile signore.”
“Ecco bramino, esistendo il fenomeno dell’iniziare [un’attività], è possibile conoscere esseri che danno inizio [a delle attività]; questi sono gli esseri che iniziano [un’attività] da se stessi o per conto di altri.”
“Cosa ne pensi, bramino, esiste o meno il fenomeno dell’impegno.. il fenomeno dello sforzo.. il fenomeno della risolutezza…il fenomeno della costanza…il fenomeno dell’esercizio?
“Esiste, venerabile signore.”
“Esistendo il fenomeno dell’impegno, è possibile individuare esseri impegnati [in qualche attività]?
“Certo, venerabile signore.”
“Così, bramino, esistendo la sfera dell’impegno, è chiaramente possibile individuare esseri intenti all’impegno; questi esseri, agiscono di propria volontà o per volontà altrui. Bramino, non ho mai visto o sentito una tale dottrina, un punto di vista come questo. Come può una persona, muovendosi avanti e indietro per propria volontà dire: ‘Non esiste nessuna persona che agisce per propria volontà, non esiste nessuna persona che agisce per volontà altrui’?
-Attakārī Suttam. AN. 6.38
Negare l’esistenza della persona-agente significherebbe negare la realtà della legge di causa ed effetto, delle azioni e dei risultati, e cadere così nell’estremo del nichilismo. D’altro canto, anche l’idea di un sé esistente in modo autonomo rispetto agli aggregati psicofisici è una visione erronea che eccede i limiti della realtà delle cose. Vediamo ora come -secondo la visione buddhista delle cose- si manifesta l’errata concezione di un sé nella nostra mente.
Come nasce l’errata visione del sé : la percezione
Quando l’individuo si trova nello stato auto-riflessivo (ovvero quando pensa o riflette su se stesso) percepisce (sañjānāti) la realtà della propria esistenza in maniera distorta, e nel percepire erroneamente le cose in questo modo, immagina (maññati) un sé permanente e sostanziale invece che un individuo la cui natura è impermanente, contingente e precaria. A tal proposito, il Vipallasa Sutta enumera quatto tipi di percezione erronea:
Anicce dukkhasaññā: percepire stabilità in ciò che è transitorio;
Dukkhe sukhasaññā: percepire soddisfazione in ciò che è insoddisfacente;
Anattani ca attāti: percepire la facoltà di dominio in ciò che è fuori dal nostro controllo;
Asubhe subhasaññino : percepire gradevolezza in ciò che è sgradevole.
-Vipallasa Sutta, AN. 4:49
In merito alla natura illusoria delle percezioni erronee, Bhikkhu Ñāṇananda scrive:
“La percezione può essere paragonata a un miraggio; la natura simile a un miraggio della percezione deve essere compresa. Un cervo vittima di un miraggio percepisce in lontananza dell’acqua in quella che è in realtà una pianura arida. In altre parole, immagina acqua nel miraggio. Spinto dall’immaginazione, esso corre verso il miraggio con l’idea che correndo potrà colmare il divario tra sé e l’acqua ed infine raggiungerla; Ma c’è qualcosa di cui il cervo non è a conoscenza, e cioè che questo divario non potrà mai essere colmato correndo incontro al percepito.”
Maññana: l’immaginazione o pensiero illusorio
L’immaginare (maññana) è il proiettare delle qualità o caratteristiche su di un oggetto che in realtà ne è privo; il termine pali maññana deriva dalla radice verbale ‘mañ’, pensare. Nell’immaginare se stesso in un certo modo, l’individuo proietta su quanto osservato concetti quali ‘Questo è mio’, ‘Questo sono Io’, e ‘Questo è il mio Sé’. Così, i cinque aggregati diventano per lui i cinque aggregati soggetti all’afferrarsi (panca upadana khanda), dove per afferrarsi si intende fondamentalmente l’afferrarsi alla concezione di un Sé o Io permanente sulla base degli stessi aggregati ( atta-vada-upadana). Questo stato di cose è descritto nel Mulapariyayasutta, il discorso sulla radice di ogni cosa:
“L’uomo comune, inesperto della realtà delle cose.. percepisce X fenomeno come X fenomeno; avendo percepito X fenomeno come tale, immagina se stesso come quel fenomeno, immagina se stesso nel fenomeno, immagina se stesso come altro rispetto a quel fenomeno, immagina quel fenomeno come ‘mio’, e nel fare ciò sperimenta godimento per via di quel fenomeno. Perché ciò? Perché egli non ha compreso la realtà, io vi dico.“
-Mūlapariyāyasutta, MN.1
“Immagina se stesso come quel fenomeno” indica una relazione di identità: “Io sono”;
“Immagina se stesso nel fenomeno” è l’identificare se stessi come facenti parte di un certo fenomeno;
“Immagina se stesso come altro rispetto a quel fenomeno” indica la differenziazione e quindi la possibilità di entrare in relazione con l’oggetto percepito, la possibilità di potersi appropriare di quel dato fenomeno;
“Immagina tale fenomeno come questo è Mio” indica l’esperienza del possesso, del portare il fenomeno sotto il proprio controllo;
“Nel fare ciò sperimenta godimento per via di quel fenomeno”: E’ l’esperienza stessa della bramosia (Taṇhā) di cui parlava il Buddha nel suo primo discorso, la strategia fondamentale attraverso la quale l’Io tenta di soddisfare se stesso e al tempo stesso di dare sostanza al suo esistere; non a caso il Buddha disse:
“la sete è il fondamento dell’attaccamento; l’attaccamento è il fondamento dell’esistenza.”
L’immagine illusoria di un sé sostanziale prodotta dall’errata riflessione sulle cose (ayoniso manasikara) viene proiettata nei tre tempi -passato presente e futuro- generando perplessità circa il passato, angoscia per il presente ed ansia in riguardo al futuro:
“E per via dell’errata considerazione egli così pensa: ‘Sono mai esistito nel passato?’ O ‘non sono mai esistito?’ ‘Che cosa sono stato in passato?’ ‘E come sono esistito nel passato?’ ‘Ed essendo stato cosa, come Io divenni altro?’; ‘Esisterò futuro?’ ‘Non esiterò nel futuro?’ ‘Cosa sarò nel futuro?’ ‘E come sarò nel futuro?’ ‘Ed essendo nel presente, come diventerò nel futuro?’ Ed egli è inoltre internamente perplesso in riguardo al presente: ‘Esisto?’ ‘Non esisto?’ ‘Che cosa sono?’ ‘come sono?’ ‘Da dove è sorto questo essere, e dove andrà a finire?’
E per via di tale errata considerazione egli giunge ad uno dei sei punti di vista errati: la visione errata ‘Per me Il Sé esiste’ sorge in lui come vera e certa; la visione ‘ Per me Il Sé non esiste’ sorge in lui come vera e certa; la visione ‘Percepisco il Sé tramite il Sé’ sorge in lui come vera e certa; la visione ‘Percepisco il non-sé tramite il sé’ sorge in lui come vera e certa; la visione ‘Percepisco Il Sé tramite il non-sé’ sorge in lui come vera e certa; oppure tale visione sorge in lui: E’ proprio questo mio sé che parla e sente e sperimenta qua e là i risultati delle azioni virtuose e non virtuose, ma questo mio sé è permanente, duraturo, eterno, non soggetto al cambiamento, e tale rimarrà per l’eternità. ”
“Questa, o monaci, è detta la selva delle visioni errate, il deserto delle visioni errate, la perversione delle visioni errate, il garbuglio delle visioni errate, il legaccio delle visioni errate. Imprigionato dal legaccio delle visioni errate, o monaci, l’inesperto non è libero da nascita, invecchiamento e morte, da pena, lamento, dolore, tristezza e disperazione; Io vi dico che egli non è libero dalla sofferenza.”
-Sabbāsavasutta, MN, 2.
La corretta comprensione dell’esistenza, la via di mezzo:
Tirando le somme, possiamo dire che dal punto di vista del Dharma buddhista, ognuno di noi esiste come individuo unico e irripetibile, (altrimenti chi o cosa, in questo preciso momento, sta leggendo questo articolo dal suo pc?) seppur non esattamente nel modo in cui immaginiamo. Nell’esporre la via di mezzo fra essere e non essere, fra eternalismo e nichiilismo, il Buddha ha spiegato la natura interdipendente dell’esistenza samsarica:
“Maestro Gotama: tutto esiste?”
“‘Tutto esiste’: questo, bramino, è un estremo.”
“Allora, Maestro Gotama, niente esiste?”
“‘Niente esiste’: questo, bramino, è il secondo estremo”.
“Non aderendo a nessuna di queste due visioni estreme, il Tathagata insegna il Dhamma entro la via di mezzo: L’ignoranza condiziona le intenzioni, le intenzioni condizionano la coscienza, la coscienza condiziona ideazione e materialità, ideazione e materialità condizionano le sei basi sensoriali; sulla base delle basi sensoriali nasce il contatto, sulla base del contatto nascono le sensazioni; sulla base delle sensazioni nasce la sete, sulla base della sete, l’afferrarsi; sulla base dell’afferrarsi l’esistere, sulla base dell’esistere, la nascita; sulla base di nascita sorgono vecchiaia e morte, dolore, pianto, sofferenza, angoscia e disperazione.”
-Janussoni Sutta, SN 12.47
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