Sulla morte e oltre la morte

autunno

“Ye keci bhūtā bhavissanti
Ye vāpi sabbe gamissanti pahāya dehaṃ.
Taṃ sabbaṃ jāniṃ kusalo viditvā
Ātāpiyo brahmacariyaṃ careyyā”ti.

“Tutti gli esseri, quelli già nati e quelli che nasceranno in futuro
Tutti loro dovranno andarsene abbandonando questa esistenza.
L’accorto, avendo pienamente compreso tutto ciò,
Si impegni con energia nel perseguire la via della liberazione.” 

 Ud. 5.2 

La morte è un evento naturale ed inevitabile, che tuttavia crea in noi tutti paura e sconcerto al solo pensiero. Il Dharma ci invita ad essere costantemente consapevoli del suo carattere non negoziabile, al fine di rendere significativa questa nostra esistenza fuggevole.

Tuttavia, da una prospettiva Dharmica, la causa profonda di tale terrore non è tanto la morte in sé, quanto il pensiero della morte in relazione alla nostra stessa esistenza, a noi stessi.

Proprio in questo momento, migliaia di persone stanno morendo senza che questo provochi in noi il minimo disagio, ma quando il problema della morte ci tocca personalmente, come ad esempio quando viene a mancare una persona cara o a noi vicina, o quando ci capita di riflettere sull’imminenza della nostra stessa morte, allora la cosa si complica, e la paura, l’angoscia ed il dolore esistenziale  (dukkha) prendono il  sopravvento.

Il Buddha ha spiegato che quel tipo di dolore esistenziale e quell’angoscia sono sovrastrutture che trovano il loro fondamento nell”esistere’ o Bhava, dove per Bhava si intende l’esperienza soggettiva dell’afferrarsi agli aggregati psicofisici in termini di Io, Mio, Il mio Sé:

“Upādānapaccayā bhavo, bhavapaccayā jāti, jātipaccayā jarāmaraṇaṃ soka­pari­deva­duk­kha­do­manas­supāyāsā sambhavanti. Evametassa kevalassa duk­khak­khan­dhassa samudayo hotī”ti.”

“L’attaccamento determina lesistere, l’esistere determina la nascita; per via della nascita si manifestano vecchiaia e morte, dolore e pianto, sofferenza, angoscia e disperazione, ed è in questo modo che si manifesta tutta questa massa  di sofferenza.” 

-Udana 1.1.

Il problema quindi non è l’evento naturale della morte ma il nostro concettualizzare autoreferenziale sulla morte, con tutto il suo carico di proliferazioni mentali dolorose e destabilizzanti. È un problema soggettivo, che riguarda il senso dell’ ‘Io sono ‘. Il proliferare concettuale dei pensieri circa la morte è il fattore destabilizzante per eccellenza, il quale viene tenuto a bada – per quanto possibile- con i ben noti meccanismi del ‘flight o fight’ (fuggi o combatti).
Per dimenticarci dell’inevitabilità della morte, ci impegnano in una miriade di attività distraenti, lavoro, carriera, famiglia eccetera, o cerchiamo rifugio nei piaceri dei sensi; tuttavia, questi espedienti si rivelano solo dei palliativi, dei rifugi precari, e nessuna di queste strategie è capace di risolvere il problema fondamentale della morte, l’afferrarsi illusorio all’idea di un Sé permanente e autosufficiente al centro di un universo di affetti e certezze altrettanto permanenti e certi.

Secondo il Buddha, per superare il doloroso conflitto fra la nostra visione statica delle cose e la natura dinamica delle stesse, bisogna prendere consapevolezza della natura incostante, incerta e quindi inaffidabile delle cose.

“Appamādo amatapadaṃ,
pamādo maccuno padaṃ;
Appamattā na mīyanti,
ye pamattā yathā matā.”

“La consapevolezza sollecita è il sentiero della non morte, 
la disattenzione è il sentiero della morte;
Il consapevole non muore,
il disattento è di fatto già morto.”

-Dhammapada 

Questi versi hanno chiaramente un valore metaforico, dato che anche i Buddha e gli Arahant -persone sempre consapevoli per definizione- sono comunque soggetti alla morte.

Il sostantivo Pali amataṃ, tradotto come ‘non-morte’ è di solito impiegato per definire lo stato di Nibbana, l’emancipazione dalla sofferenza esistenziale:

“Tasmātihāvuso, evaṃ sikkhitabbaṃ: ‘dhammayogā samānā jhāyīnaṃ bhikkhūnaṃ vaṇṇaṃ bhāsissāmā’ti. Evañhi vo, āvuso, sikkhitabbaṃ. Taṃ kissa hetu? Acchariyā hete, āvuso, puggalā dullabhā lokasmiṃ, ye amataṃ dhātuṃ kāyena phusitvā viharanti.”

“Così, amici, dovreste esercitarvi: ‘Essendo monaci specialisti nello studio del Dhamma, noi parleremo in encomio dei monaci contemplativi.’ Così dovreste esercitarvi. Perché? Perché costoro sono persone stupende, difficili da trovare nel mondo, in quanto dimorano avendo toccano la sfera del ‘senza morte’ per mezzo del corpo.”

-Cunda Suttam, AN 6,46.

Amataṃ dhātuṃ è la sfera del senza morte, ovvero il Nibbana, lo stato dove i concetti mentali di nascita e morte riferite ad un Sé o Io, erroneamente immaginato sulla base degli aggregati psicofisici, sono stati trascesi.

Kāyena phusitvā indica uno stato toccato o raggiunto (phusitvā) tramite questo corpo (kāyena), ovvero in questa stessa vita, con un ovvio riferimento alla pratica di consapevolezza del corpo o Kāyagatāsati:

“Sati kāyagatā upaṭṭhitā,
Chasu phassāyatanesu saṃvuto;
Satataṃ bhikkhu samāhito,
Jaññā nibbānamattano”ti.

“Ben radicato nella consapevolezza del corpo,  
Praticando autocontrollo sui sei reami del contatto,
Quel monaco sempre raccolto,
Intento a realizzare la sua stessa emancipazione”

-Mahā­mog­gallā­nasutta, Ud. 3.5 

Secondo il Ven Samanthabhadra Thera,

“La vita è una serie di eventi che si susseguono dalla nascita alla morte. La vita inizia con la nascita e finisce con la morte; questi due eventi si equivalgono. La nascita non è causa di gioia e la morte non è la causa delle nostre lacrime; si tratta meramente di due eventi distinti.

Nascita e morte stanno accadendo proprio ora. In questo momento voi state sognando. State facendo esperienza di questo mondo sulla base di ciò che la vostra mente percepisce attraverso le facoltà sensoriali, quali la vista, l’udito, l’olfatto eccetera.

Questo mondo che state afferrando attraverso i sensi è un’illusione, e se qualcuno dovesse riuscire a risvegliarsi dall’illusione, smetterebbe sia di afferrarlo che di rifiutarlo. Egli proverebbe solamente compassione per questo mondo, avendo trasceso questa grande illusione.”

Le cinque meditazione esistenziali:

Di seguito, cinque temi da contemplare costantemente, per risvegliare la mente dal torpore e liberarsi dalle paure e dalle preoccupazioni effimere. Rifletti su quanto segue

1)‘Jarādhammomhi, jaraṃ anatīto’:

‘Sono soggetto all’invecchiamento, non sono al di là dell’invecchiamento; non sono il solo ad essere soggetto all’invecchiamento, a non essere esente dall’invecchiamento. Tutti gli esseri nati e trapassati, soggetti a morte e rinascita, sperimenteranno la vecchiaia; nessuno è esente dalla vecchiaia.’

2)‘Byādhi­dham­momhi, byādhiṃ anatīto’:

‘Sono soggetto alla malattia, non sono al di là della malattia; non sono il solo ad essere soggetto alla malattia, a non essere esente dall’ammalarsi. Tutti gli esseri nati e trapassati, soggetti a nascita e morte sperimenteranno la malattia; nessuno è esente dall’ammalarsi.’

3)‘Maraṇa­dham­momhi, maraṇaṃ anatīto’:

‘Sono soggetto alla morte, non sono al di là della morte; non sono il solo ad essere soggetto alla morte, a non essere esente dal morire. Tutti gli esseri nati e trapassati, soggetti a nascita e morte sperimenteranno la morte; nessuno è esente dal morire.

4‘Sabbehi me piyehi manāpehi nānābhāvo vinābhāvo’:

‘Dovrò separarmi e perdere tutto ciò che mi è caro, tutto ciò che amo; non sono il solo ad essere soggetto alla perdita e separazione da ciò che si ama, a non essere esente da perdita e separazione dall’amato; Tutti gli esseri nati e trapassati, soggetti a nascita e morte sperimenteranno perdita e separazione; nessuno è esente da perdita e separazione.”

5)‘Kammassakomhi, kammadāyādo kammayoni kammabandhu kamma­paṭi­saraṇo. Yaṃ kammaṃ karissāmi—kalyāṇaṃ vā pāpakaṃ vā—tassa dāyādo bhavissāmī’:

‘Sono il prodotto delle mie scelte/intenzioni[1], l’erede delle mie scelte, originato dalle mie scelte, legato alle mie scelte, – qualunque scelta io farò – buona o nociva- ne diverrò l’erede; non sono il solo ad essere il prodotto delle mie scelte, l’erede delle mie scelte, il figlio delle mie scelte, legato alle mie scelte, erede di qualunque scelta io farò, buona o nociva. Tutti gli esseri nati e trapassati, soggetti a nascita e morte sono eredi delle loro scelte, figli delle loro scelte, legati alle loro scelte, eredi delle loro scelte, buone o cattive. Nessuno è esente dall’ereditare i risultati delle proprie scelte ed azioni.

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