Arūpasamādhi, il raccoglimento senza oggetto
Il termine rūpa ha varie sfumature di significato: materia, sostanza, corpo, oggetto, forma, immagine eccetera; in questo contesto, con rūpa si intende un oggetto di meditazione, o per essere precisi, l’immagine mentale di tale oggetto (rūpasaññāna).
Vi sono vari oggetti di meditazione: Il respiro, le parti del corpo, la camminata, gli elementi, le sensazioni, la mente e i fenomeni mentali (dharma); nell’ambito della meditazione Buddhista, tutte queste forme di meditazione sono definite oggetti.
Ogni oggetto possiede quattro caratteristiche:
1.Pathavī (terra), la qualità dell’inerzia o resistenza (Pathiga);
2.āpo (acqua), la qualità della fluidità e della coesione;
3.tejo (fuoco), la qualità del calore;
4.vāyo (vento), la qualità della motilità o movimento.
Oltre a questi quattro elementi grossolani, vi sono due elementi sottili:
l’elemento spazio (ākāsā) e l’elemento coscienza (Viññana).
Al fine di sviluppare l’attenzione (sati), Il praticante deve innanzitutto focalizzarsi su un’oggetto di meditazione; una volta che l’attenzione sarà diventata stabile, l’oggetto di meditazione diverrà superfluo.
1. La sfera dello spazio infinito
A quel punto, il meditante potrà entrare nello stato di samādhi senza oggetto detto ‘sfera dello spazio infinito’ o Ākāsānañcāyatana:
“con il completo superamento di ogni percezione dell’oggetto, con l’abbandono della percezione di resistenza, distogliendo l’attenzione dalla varietà delle percezioni, sperimentando lo spazio infinito, egli accede e dimora nella sfera dello spazio infinito.”
ākāsā (spazio), l’assenza di ostruzioni o limitazioni, è il quinto elemento, il quale diverrà manifesto nel momento in cui i quattro elementi grossolani si saranno dissolti. È un’esperienza di totale apertura e libertà, di spaziosità interiore illimitata (ananta).
2.La sfera della coscienza infinita
“con il completo superamento della sfera dello spazio infinito, percependo la coscienza come infinita, entra e dimora nella sfera della coscienza infinita.”
Nella sfera della coscienza infinita, il praticante riconosce che la propria coscienza è libera dalle ostruzioni, della qualità dello spazio. Egli ha consapevolezza dell’assenza di qualunque oggetto nel campo della coscienza.
3.La sfera del non vi è alcunché
“con il completo superamento della sfera della coscienza infinita, non essendoci alcunché, entra e dimora nella sfera dove non v’è alcunché.”
La terza fase del samādhi è detta ‘sfera del ‘non vi è alcunché’, Ākiñcaññāyatana, o anche animitto samādhi, (s. senza immagine).
Questo stato meditativo è caratterizzato dalla percezione dell’assenza di oggetti nel campo dell’attenzione, un’esperienza di vuoto, di libertà e apertura, un’esperienza di vuoto e di consapevolezza del vuoto allo stesso tempo.
4.La sfera della né percezione né assenza di percezione
“con il completo superamento della sfera del non v’è alcunché, egli entra e dimora nella sfera della né percezione né assenza di percezione.”
Riconoscendo questo stato di cose, Il praticante entra in uno stato dove, sebbene non si percepisca alcun oggetto , vi è la percezione dell’esperienza dell’assenza di oggetti mentali. Questa è la quarta fase, detta ‘sfera della né percezione né assenza di percezione’, nevasaññānāsaññāyatana.
La sfera della né percezione né assenza di percezione è consapevolezza rivolta all’esperienza della vacuità della mente.
5.La cessazione di percezione e sensazione
“Con il completo superamento della sfera della né percezione né assenza di percezione, egli entra e dimora nella cessazione di percezione e sensazione, e, avendo visto la realtà con saggezza, i veleni sono eliminati completamente.”
Il praticante riconosce che anche la sfera della né percezione né assenza di percezione è stato uno stato condizionato, e superando anche la percezione della vacuità, entra in uno stato meditativo detto cessazione di percezione e sensazione, saññāvedayitanirodha.
Una volta uscito da questo stato di raccoglimento profondo, egli indirizzerà la propria attenzione all’osservazione diretta della natura mutevole, insoddisfacente e impersonale di ogni esperienza; questa pratica, allorquando coltivata con acume, determinazione e costanza, condurrà il meditante alla comprensione e quindi alla liberazione dalle afflizioni causa di sofferenza:
“Ed inoltre, Ānanda, un monaco, avendo distolto l’attenzione dalla percezione del ‘non vi è alcunché’, distolto l’attenzione dalla percezione del ‘né percezione né assenza di percezione’, focalizza l’attenzione a quell’univocità dipendente dal ‘raccoglimento privo di immagine’.
Ed egli realizza chiaramente: ‘anche questo raccoglimento privo di immagine è condizionato e pianificato’, ma tutto ciò che è condizionato e pianificato è incostante, soggetto alla dissoluzione’.
Colui che così comprende e vede, si libera dall’afflizione del desiderio sensuale, dall’afflizione dell’essere, e dall’afflizione dell’ignoranza.”
Cūḷasuññatasutta, MN 121
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