“Yadā have pātubhavanti dhammā
Ātāpino jhāyato brāhmaṇassa,
Athassa kaṅkhā vapayanti sabbā
Yato pajānāti sahetudhammanti.”“Quando i dhammā generanti l’esistenza condizionata
diventano chiari allo strenuo asceta meditativo,
In quel momento tutte le sue perplessità scompaiono
avendo egli pienamente compreso la legge dell’interdipendenza.”-Udana, 1.1
Il termine sanscrito Dharma deriva dalla radice verbale dhṛ, che può essere tradotto con ‘tenere’, ‘sostenere’, ‘detenere’ ‘mantenere’ ‘trattenere’ o ‘ritenere’; Dhar.ma è quindi ciò che possiede una particolare qualità o modalità d’essere (svabhava); In altre parole, il termine Dharma sta ad indicare la reale modalità d’esistenza delle cose, la loro vera natura.
Originariamente, il termine dharma era impiegato per designare le cose, i fenomeni del mondo manifesto, e ciò per via del fatto che i fenomeni possiedono certe caratteristiche particolari come il nascere sulla base di cause e condizioni, l’evolversi ed infine lo svanire, quando le cause e condizioni che ne sostengono l’esistenza vengono a cessare.
Per estensione, il termine Dharma è venuto a significare la vera natura delle cose, il fatto cioè che tutti i fenomeni sorgono per via della legge di causa e effetto o legge dell’interdipendenza; Tale legge causale o legge dell’interdipendenza è ciò che di fatto sostiene (dharati) e rende possibile l’esistenza dei fenomeni stessi.
In questo senso, il termine Dharma è sinonimo di realtà, il vero modo di essere di ogni cosa esistente, l’ordine naturale delle cose: Essere dei fenomeni contingenti, generati da complessi intrecci di cause e condizioni, per loro natura soggetti al mutamento.
L’insegnamento del Buddha è altresì detto Dharma per via del fatto che esso ha a che vedere con la comprensione della realtà o vera natura delle cose, in particolare alla comprensione della vera natura dei processi psico-dinamici all’origine della sofferenza, ed al modo di porvi fine.
Il presupposto di ciò è che nella concezione buddhista, ogni fenomeno ha origine da cause, e se vogliamo liberarci dalla sofferenza dobbiamo individuarne le cause ed abbandonarle. Il cuore dell’insegnamento del Buddha è la comprensione dei meccanismi profondi che stanno alla base del manifestarsi della sofferenza nelle sue varie forme e sfumature; In ambito buddhista, questo meccanismo profondo insito in ognuno di noi è conosciuto con il termine pali Paṭiccasamuppāda, termine traducibile come sorgere dipendente o origine dipendente.
Il meccanismo del sorgere dipendente -definito da alcuni studiosi come la “psicologia dinamica del Buddhismo”- è esattamente ciò che il principe Siddharta ha compreso sotto l’albero del risveglio, ciò a cui si è risvegliato, e ciò per cui è conosciuto con l’epiteto di Buddha, il Risvegliato. Pertanto, l’illuminazione del Buddha altro non è se non la comprensione del Dharma, la realtà circa la vera natura della sofferenza, delle sue cause, della loro cessazione e del metodo per realizzare tale cessazione.
Per questa ragione, l’insegnamento del Buddha è chiamato Dharma, in quanto esso è uno strumento finalizzato alla comprensione della vera natura delle cose, e questa comprensione è il viatico per la liberazione dal Paṭiccasamuppāda, il meccanismo alla base di ogni forma di sofferenza esistenziale. Nel Mahahatthipadopama Sutta, il Venerabile Sāriputta afferma testualmente:
“Yo paṭiccasamuppādaṃ passati. So dhammaṃ passati. Yo dhammaṃ passati. So paṭiccasamuppādaṃ passatī’ti.”
“Colui il quale comprende l’origine dipendente comprende il Dharma, Colui il quale comprende il Dharma comprende l’origine dipendente.”
Questo utilizzo del termine Dharma era una cosa consueta nell’antica India e non un’esclusiva del Buddha. È Importante ricordare che termini quali buddhismo, Giainismo o Induismo sono un invenzione occidentale moderna che non trovano corrispondenza in nessuna lingua classica dell’Asia. Il Buddha non ha inventato alcun -ismo, alcuna ideologia o teoria sul mondo, ma ha semplicemente compreso la realtà delle cose per quelle che sono, e provato ad esporre – con i mezzi didattici e linguistici propri della sua cultura e del suo tempo – i risultati della sua scoperta ed un sentiero affinché gli altri potessero fare altrettanto.
Quando sentiva il bisogno di differenziare il suo metodo da quello degli altri maestri suoi contemporanei, Il Buddha si serviva del termine composito ‘Dhammavinayā‘, ove Dharma indica la comprensione della realtà e vinayā la via (yāna) d’uscita dalla sofferenza. Il Buddhadharma o dhammavinayā che dir si voglia, è quindi un sentiero di comprensione della realtà e non un’altra teoria o insieme di teorie sulla verità;
A questo proposito, è interessante il dialogo fra un certo seguace laico della setta degli ājīvaka ed il Venerabile Ānanda contenuto nell’Ājīvakasutta in cui Ānanda viene lodato dal suo interlocutore per l’equilibrio mostrato nell’esporre il Dharma, (inteso come la realtà delle cose) senza lodare il Dharma (nel senso di insegnamento)del suo maestro né criticare quello delle altre scuole di pensiero:
“Acchariyaṃ, bhante, abbhutaṃ, bhante. Na ceva nāma sadhammukkaṃsanā bhavissati, na ca paradhammāpasādanā. Āyataneva dhammadesanā, attho ca vutto, attā ca anupanīto.”
“Meraviglioso Signore, impressionante Signore, come non vi sia né esaltazione del proprio Dharma né disprezzo verso i Dharma altrui, ma solo l’esposizione del Dharma in cui viene esposto il significato, senza coinvolgimento personale.”
-Ājīvakasutta, AN 3.72
Questo verso contiene un gioco di parole fra i vocaboli Attha, significato e attā, se stesso; attho ca vutto, attā ca anupanīto vuol dire pressapoco: Il significato è stato spiegato, ma senza tener conto di se stessi, senza considerare il proprio personale punto di vista. Il Dharma è un mezzo e non un fine, come spiegato dal Buddha nella famosa esortazione a considerare la pratica alla stregua di una zattera, utile per attraversare il turbolento oceano dell’esistenza ciclica condizionata:
“Evameva kho, bhikkhave, kullūpamo mayā dhammo desito nittharaṇatthāya, no gahaṇatthāya. Kullūpamaṃ vo, bhikkhave, dhammaṃ desitaṃ, ājānantehi dhammāpi vo pahātabbā pageva adhammā.”
“Così, o Monaci, dovreste considerare il Dharma da me insegnato alla stregua di un zattera, utile al fine di attraversare il fiume, senza attaccarvi ad esso. Monaci, avendo compreso che il Dharma è simile ad una zattera, alla fine dovrete abbandonare anche il Dharma, per non parlare di ciò che è contrario al Dharma.”
-Alagaddūpamasutta, MN 22.
Riassumendo, il termine Dharma ha più significati sovrapposti fra i quali: fenomeno, cosa, vera natura dei fenomeni, realtà che pervade tutti i fenomeni, sentiero per la comprensione della realtà ed infine comprensione stessa della realtà, conosciuta anche con i termini di Dharmadathu (sfera della realtà) Dharmakāya (corpo della realtà) e dharmata (Realtà).
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