Il Buddha frainteso: l’interdipendenza

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“ye dhammā hetuppabhavā tesam hetum Tathāgato āha tesañ ca yo nirodho, evaṃvādī Mahāsamano.”

“Di quei fenomeni che sorgono da cause e condizioni, Il Tathāgata ne ha spiegata l’origine e la cessazione; Questo è l’insegnamento del Grande Asceta. ” 

-Vinaya, I, 40

Fra i numerosi insegnamenti del Buddha, quello sull’interdipendenza è sicuramente uno dei più profondi e forse anche per questo fra i più fraintesi;

Il termine pali per interdipendenza è idapaccayatā, e si riferisce al processo del sorgere inter-dipendente del dukkha, la sofferenza legata all’esistenza ciclica condizionata, sintetizzato dal Buddha nella famosa sentenza che troviamo invariabilmente all’inizio di ogni discorso sull’origine dipendente:

“Iti imasmiṃ sati idaṃ hoti, imassuppādā idaṃ uppajjati, yadidaṃ avijjāpaccayā saṅkhārā, saṅ­khā­ra­pac­cayā viññāṇaṃ, viññāṇapaccayā nāmarūpaṃ, nāmarū­papaccayā saḷāyatanaṃ, saḷāya­tana­pac­cayā phasso, phassapaccayā vedanā, vedanāpaccayā taṇhā, taṇhāpaccayā upādānaṃ, upādānapaccayā bhavo, bhavapaccayā jāti, jātipaccayā jarāmaraṇaṃ soka­pari­deva­duk­kha­do­manas­supāyāsā sambhavanti. Evametassa kevalassa duk­khak­khan­dhassa samudayo hotī”ti.

“Con la presenza di questo, quello esiste, con il sorgere di questo, quello si manifesta– ovvero: L’ignoranza determina i sankhara, i sankhara determinano la coscienza, la coscienza determina mente e materia, mente e materia determina le sei basi dei sensi, le sei basi dei sensi determinano il contatto, il contatto determina le sensazioni, le sensazioni determinano la sete, la sete determina l’afferrarsi, l’afferrarsi determina l’essere in divenire, l’essere in divenire determina la nascita, la nascita determina il manifestarsi di invecchiamento e morte, di pena, pianto,sofferenza e dispiacere. In questo modo che l’intera massa di sofferenza viene a manifestarsi. 

-Paṭha­ma­bodhi­sutta, Ud. 1.1 

Riflettendo attentamente su questo brano, scritto per altro in un linguaggio tecnico altamente astratto, possiamo comprendere come nelle intenzioni originarie del Buddha, il concetto di interdipendenza avesse un’applicazione alquanto specifica e ristretta, limitata all’esposizione del processo di condizionamento esistenziale attraverso il quale la sofferenza viene a prodursi;

Idapaccayatā o interdipendenza non vuol affatto dire che – come spessissimo si sente dire – “siamo tutti connessi”, o che ” tutte le cose dell’universo sono connesse fra loro” ma più semplicemente che la sofferenza legata all’esistere è un fenomeno prodotto da cause o inter-dipendente.

A questo proposito, il Professor Richard Gombrich, presidente dell’Oxford Center of Buddhist Studies di Londra e massimo esperto di lingua pali scrive:

“Il nostro modo normale di intendere la causalità, basato sul buon senso, la vede applicarsi nel tempo, con la causa che precede l’effetto. Metaforicamente, possiamo concepire tale causalità come verticale; è così anche se ci sono molte cause e / o effetti.

Tuttavia, nel buddhismo nacque un’interpretazione della causalità secondo cui le cose sarebbero causate anche letteralmente, per così dire, da altre che avvengono allo stesso tempo – o persino in un tempo futuro. Tale interpretazione è particolarmente diffusa nel buddhismo estremo-orientale: la scuola Hua Yen sostiene che tutti i fenomeni sono interconnessi.

Non mi riesce di trovare alcuna traccia di questa dottrina nel Canone pali. Ciò che il Buddha insegnò è che tutti i fenomeni che sperimentiamo – o meglio, tutte le nostre esperienze eccetto l’illuminazione – sono condizionati causalmente. In quel senso particolare non sono fenomeni indipendenti, ossia non possono avvenire senza un contesto. Forse ci si  può spingere un poco oltre, e dire che senza un contesto è impossibile accertare l’esatto significato di un fenomeno. Ma non ne consegue affatto che tutti i fenomeni esercitano una vicendevole influenza causale, anzi, tale interpretazione sovvertirebbe la dottrina del karma esposta dal Buddha. Tutta la ragion d’essere del karma, come ho sottolineato fin dall’inizio, è che esso insegna che tutti gli individui sono responsabili di se stessi. Nelle parole del Buddha, noi siamo ” eredi delle nostre azioni”. Se fossimo eredi delle azioni altrui, l’intero edificio morale crollerebbe. “

-Richard Gombrich, il pensiero del Buddha, Adelphi.

Il punto di questo discorso è che se tutto fosse interconnesso nella maniera in cui questa dottrina viene concepita, allora sarebbe impossibile liberarsi dalla sofferenza prodotta dalla catena causale delle azioni e dei risultati, in quanto le azioni altrui andrebbero a determinare la nostra sofferenza e viceversa, mentre il Buddha ha insegnato che sebbene il mondo esteriore abbia una certa influenza sulla qualità della nostra esistenza, il dukkha è causato esclusivamente dal modo in cui noi reagiamo agli stimoli esterni plasmando il nostro paradiso o il nostro inferno.

Per inciso, la dottrina dell’inter-essere secondo la quale “ogni cosa è interconnessa a tutte le altre” è un’elaborazione successiva di derivazione cinese, influenzata probabilmente dalle dottrine del taoismo, a sua volta ri-elaborata in chiave moderna e resa nota al pubblico occidentale dal Maestro Vietnamita Thích Nhất Hạnh.

In nessuna parte del vasto repertorio del canone buddhista in lingua pali contenente circa 18.000 discorsi l’interdipendenza è presentata come una dottrina sull’interconnessione universale di tutte le cose.

Con questo non si vuole negare il fatto che le cose abbiano un certo grado di interconnessione ma semplicemente chiarire che l’insegnamento del Buddha sull’interdipendenza ha a che vedere con il problema specifico della sofferenza e della possibilità di porvi fine e non con una generica interconnessione di tute le cose di cui si sente spesso parlare.

di seguito, due video, uno breve e l’altro un po’lungo, in cui il monaco Ajahn Brahm espone il punto di vista Theravada sull’interdipendenza:

Il breve:

Il Lungo:

  Davide A. Puglisi.

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