
25. Brahmacariyasutta
«Monaci, la vita spirituale[1] non è vissuta allo scopo di ingannare le persone, né con l’obiettivo di lusingarle, né per ottenere guadagni, onori e lodi, né per vincere in dibattito, né con il pensiero: ‘possano gli altri conoscermi!’. Invero, o monaci, la vita spirituale è vissuta per amore dell’autocontrollo[2], per amore dell’abbandono[3], per amore del distacco[4], in vista della cessazione[5].»
«Il Beato ha insegnato la vita spirituale in vista dell’autocontrollo e del lasciare andare – non sulla base del mero parlare, conducente all’estinzione.
Questa è la via dei grandi esseri percorsa dai grandi esseri.
Coloro i quali praticheranno in questo modo, nel modo in cui fu insegnato dal Buddha, metteranno fine alla sofferenza, agendo sulla base delle istruzioni del Maestro.»
NOTE
1)Il brahmacariya, letteralmente il comportamento o stile di vita (cariya), puro (brahma), tradotto qui come ‘vita spirituale, indica, nella sua accezione originale, lo stile di vita tipico di chi ha deciso di dedicare la sua esistenza alla coltivazione del Dharma, alla comprensione della vera natura dell’esistenza, della sofferenza e della sua origine, con l’obiettivo di emanciparsi da essa. I fondamenti del brahmacariya sono la corretta comprensione, – almeno a livello concettuale – della quattro nobili verità (sammādiṭṭhi), e la retta aspirazione a liberarsi dalla sofferenza e dalle sue cause (sammāsaṅkappa), ovvero i primi due elementi del nobile ottuplice sentiero. Nell’accezione comune, con brahmacariya si intende la disciplina etico-spirituale che trova il suo fondamento nella pratica del celibato, caratteristica di molte tradizioni ascetiche indiane; tuttavia, il Mahāgovindasutta (DN 19), offre una definizione del Brahmacariya assai differente:
«Pañcasikha, il mio brahmacariya conduce univocamente al disincanto, al distacco, alla cessazione, alla pacificazione, alla piena comprensione, al pieno risveglio e all’emancipazione. Ma qual è, Pañcasikha, quel brahmacariya che conduce al disincanto … al pieno risveglio e all’emancipazione? Il Nobile Ottuplice Sentiero, ovvero: Retta Visione, Retta intenzione, Retta Parola, Retta Azione, Retto stile di Vita, Retto Sforzo, Retta Consapevolezza, Retto Raccoglimento.»
2) Saṃvarattha: l’autocontrollo o governo sulle proprie facoltà sensoriali, tramite cui si innesca il meccanismo di reazione emotiva alla base del dukkha.
3) Pahānatthaṃ: l’abbandono, il lasciare andare le cause della sofferenza.
4) Virāgattha: indica il distacco dalla passionalità malsana, da intendersi come il mettere il cuore, l’energia e la passione nella coltivazione di ciò che in realtà è causa di dolore e afflizione, ovvero la sete di soddisfazione, la sete di esistenza e di non esistenza.
5) Nirodha: la cessazione della sofferenza stessa, sinonimo di nirvana.
Davide A. Puglisi.
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