“Aniccā vata saṅkhārā, uppādavayadhammino; Uppajjitvā nirujjhanti, tesaṃ vūpasamo sukho”ti.
“Impermanenti sono invero i Saṅkhārā, la loro natura è di sorgere e svanire; essendo sorti, dovranno cessare; ma la loro pacificazione è la felicità.”
– Mahasudassana Jātaka, Ja, 95.
Saṅkhāra è un termine composto dal prefisso ‘saṅ’, insieme, e da ‘kara’, ‘fare’; Saṅkhāra, al singolare, può essere tradotto con ‘determinante’, ‘condizionante’, ‘fattore di composizione’, e non, come spesso si dice, determinato, composto , costruito o formato. Il termine pali per indicare ciò è composto, o costruito è saṅkhata, che è il participio passato del verbo saṅkharoti, dalla quale deriva anche lo stesso termine Saṅkhāra.
la nota affermazione ‘Sabbe saṅkhārā aniccā’ti’ non significa quindi che tutti i fenomeni composti sono impermanenti, ma bensì che tutti i determinanti/condizionanti sono impermanenti.
Significato generale
Il termine saṅkhāra assume diversi significati in diversi contesti in cui viene utilizzato. In senso generale, i fenomeni determinanti sono quegli elementi, quei fattori, quegli aspetti, positivi e negativi, che hanno la facoltà, la funzione di rendere un particolare oggetto gradevole, sgradevole, o indifferente ai nostri occhi, Un Saṅkhāra è quindi ciò che determina, condiziona o influenza in qualche modo qualcos’altro.
Significati specifici: i cinque aggregati
Nell’ambito dei cinque aggregati psicofisici costituenti la persona, Con saṅkhāra si intendono l’insieme delle intenzioni relative alle sei facoltà sensoriali e ai rispettivi oggetti sorti sulla base del contatto fra questi due:
Katame ca, bhikkhave, saṅkhārā? Chayime, bhikkhave, cetanākāyā—rūpasañcetanā, saddasañcetanā, gandhasañcetanā, rasasañcetanā, phoṭṭhabbasañcetanā, dhammasañcetanā. Ime vuccanti, bhikkhave, saṅkhārā. Phassasamudayā saṅkhārasamudayo; phassanirodhā saṅkhāranirodho.
“E cosa sono, o Monaci, i saṅkhārā? O monaci, I sei gruppi di intenzioni, intenzioni relative agli oggetti, intenzioni relative agli odori, intenzioni relative al gusto, intenzioni relative al tatto, intenzioni relative agli oggetti mentali. Questi o monaci, sono detti saṅkhārā. Con il contatto sorgono i saṅkhārā, con lo svanire del contatto, svaniscono anche i saṅkhārā.”
-Upādānaparipavattasutta, SN 22.56
In questo contesto quindi, saṅkhāra è sinonimo di intenzioni (cetanā) , ovvero di quelle attività mentali la cui funzione è di incitare e indirizzare le nostre azioni, determinando così la qualità della nostra esistenza.
L’origine dipendente:
Nel contesto dell’origine dipendente o Paṭiccasamuppāda, il termine saṅkhāra assume il significato di attività condizionanti di corpo, parola e mente, generate sulla base dell’ignoranza circa la vera natura delle cose o avijja:
Katame ca, bhikkhave, saṅkhārā? Tayome, bhikkhave, saṅkhārā—kāyasaṅkhāro, vacīsaṅkhāro, cittasaṅkhāro. Ime vuccanti, bhikkhave, saṅkhārā
“Cosa sono i saṅkhārā? Questi tre, o Monaci sono i saṅkhārā: condizionante corporale, condizionante della parola, condizionante mentale. Questi tre, o Monaci, sono chiamati saṅkhārā.“
-Paṭiccasamuppāda-Vibhaṅgasutta, SN 12.2
Nel Cūḷavedallasutta, la monaca Dhammadinnā spiega all’ex marito Visakha il senso di questa esposizione concisa:
“Assāsapassāsā kho, āvuso visākha, kāyasaṅkhāro, vitakkavicārā vacīsaṅkhāro, saññā ca vedanā ca cittasaṅkhāro”ti.
“Amico Visākha, inspirazione ed espirazione sono il condizionante del corpo, pensiero iniziale e pensiero ripetuto sono il condizionante della parola, percezione e sensazione, sono il condizionante della mente-cuore.”
“Kasmā panāyye, assāsapassāsā kāyasaṅkhāro, kasmā vitakkavicārā vacīsaṅkhāro, kasmā saññā ca vedanā ca cittasaṅkhāro”ti?
“Ma perché o Venerabile Signora, inspirazione ed espirazione sono il condizionante del corpo, perché pensiero iniziale e pensiero ripetuto sono il condizionante della parola, e perché percezione e sensazione sono il condizionante della mente-cuore?”
“Assāsapassāsā kho, āvuso visākha, kāyikā ete dhammā kāyappaṭibaddhā, tasmā assāsapassāsā kāyasaṅkhāro. Pubbe kho, āvuso visākha, vitakketvā vicāretvā pacchā vācaṃ bhindati, tasmā vitakkavicārā vacīsaṅkhāro. Saññā ca vedanā ca cetasikā ete dhammā cittappaṭibaddhā, tasmā saññā ca vedanā ca cittasaṅkhāro”ti.
“L’inspirazione ed espirazione, o amico Visakha sono fenomeni di natura fisica, connessi al corpo, e perciò l’inspirazione ed espirazione condizionano il corpo; Innanzitutto, o amico Visakha, si pensa e si pondera, dopodiché si inizia a parlare, perciò il pensiero iniziale ed il pensiero ripetuto sono il condizionante della parola; Percezione e sensazione sono fattori mentali, sono elementi connessi alla mente-cuore, perciò essi sono condizionanti della mente-cuore.”
La funzione dei condizionanti è quindi quella di creare le condizioni per il manifestarsi della coscienza o processo cognitivo, che essendo condizionata dai condizionanti, a loro volta sorti sulla base di una mente corrotta dall’ignoranza, sarà di conseguenza un processo cognitivo distorto che vede un sé o io sostanziale dove invece vi sono solo dei processi dinamici e contingenti:
La funzione dei saṅkhārā è esposta nel Khajjaniya Sutta:
“Kiñca bhikkhave, saṃkhāre vadetha? saṃkhataṃ abhisaṃkharontīti bhikkhave, tasmā saṃkhārāti vuccanti. Kiñca saṅkhatamabhisaṅkharonti? Rūpaṃ rūpattāya saṅkhatamabhisaṅkharonti, vedanaṃ vedanattāya saṅkhatamabhisaṅkharonti, saññaṃ saññattāya saṅkhatamabhisaṅkharonti, saṅkhāre saṅkhārattāya saṅkhatamabhisaṅkharonti, viññāṇaṃ viññāṇattāya saṅkhatamabhisaṅkharonti. Saṅkhatamabhisaṅkharontīti kho, bhikkhave, tasmā ‘saṅkhārā’ti vuccati.”
“Perché o Monaci vengono chiamati saṃkhāra? determinano/condizionano ciò che è condizionato, perciò sono chiamati determinanti/ condizionanti. E quali fenomeni condizionati essi condizionano? Condizionano Il fenomeno condizionato del corpo proprio come corpo, condizionano il fenomeno condizionato delle sensazioni proprio come sensazioni, condizionano il fenomeno condizionato delle percezioni proprio come percezioni, condizionano il fenomeno condizionato delle intenzioni proprio come intenzioni, condizionano il fenomeno condizionato della coscienza proprio come coscienza.”
In altre parole, la funzione dei tre tipi di condizionanti è quella di creare (khara) le condizioni per il manifestarsi degli aggregati psicofisici nella coscienza dell’individuo e di conseguenza dell’errata cognizione di un sé o Io imputato dall’individuo stesso sulla loro base.
In questo contesto con ‘manifestarsi degli aggregati’ non si intende la loro comparsa in senso letterale ma la presa di coscienza della loro esistenza da parte di una mente che erroneamente concepisce se stessa come il padrone o proprietario di questi. Essendo presente l’ignoranza – un mero fattore mentale- è per forza di cose già presente anche la mente ed ovviamente il corpo, dotato di organi di senso, capace quindi di provare sensazioni e riconoscere gli oggetti e progettare (le intenzioni) attività sulla base di tali esperienze. Gli aggregati sono quindi già presenti, ed è solo la presa di coscienza della loro esistenza in quanto tali che viene a manifestarsi nella mente del soggetto grazie all’azione determinante dei saṅkhārā stessi.
I saṅkhārā nella pratica di consapevolezza del respiro:
Essendo il respiro il condizionante del corpo per eccellenza, nella pratica di consapevolezza rivolta al respiro, la respirazione consapevole viene utilizzata per calmare o acquietare il condizionante mentale (il respiro stesso), al fine di condizionare positivamente il corpo e quindi la mente, rendendo l’esperienza corporea più rilassata e libera dalle tensioni:
Dīghaṃ vā assasanto ‘dīghaṃ assasāmī’ti pajānāti, dīghaṃ vā passasanto ‘dīghaṃ passasāmī’ti pajānāti; rassaṃ vā assasanto ‘rassaṃ assasāmī’ti pajānāti, rassaṃ vā passasanto ‘rassaṃ passasāmī’ti pajānāti; ‘sabbakāyapaṭisaṃvedī assasissāmī’ti sikkhati, ‘sabbakāyapaṭisaṃvedī passasissāmī’ti sikkhati; ‘passambhayaṃ kāyasaṅkhāraṃ assasissāmī’ti sikkhati, ‘passambhayaṃ kāyasaṅkhāraṃ passasissāmī’ti sikkhati
“inspirando lungamente, egli riconosce: sto inspirando lungamente’, espirando lungamente, egli riconosce:’sto espirando lungamente’;
Inspirando brevemente, egli riconosce: ‘sto inspirando brevemente’, espirando brevemente, egli riconosce:’sto espirando brevemente’;
Ed egli così si esercita:’inspirerò sperimentando l’intero corpo [del respiro], espirerò sperimentando l’intero corpo [del respiro];
Ed egli così si esercita: ‘inspirerò pacificando il condizionante del corpo’, espirerò pacificando il condizionante del corpo, così egli si esercita.”
Essendo il corpo rilassato, si viene a produrre uno stato di gioia e benessere, sensazioni piacevoli che diverranno un condizionante per la mente; a questo punto, il meditante, riconoscendo il condizionante mentale, si adopera, focalizzando ulteriormente l’attenzione consapevole al respiro, a lasciare andare tale piacevole condizionante mentale:
Pītipaṭisaṃvedī assasissāmī’ti sikkhati, ‘pītipaṭisaṃvedī passasissāmī’ti sikkhati; ‘sukhapaṭisaṃvedī assasissāmī’ti sikkhati, ‘sukhapaṭisaṃvedī passasissāmī’ti sikkhati; ‘cittasaṅkhārapaṭisaṃvedī assasissāmī’ti sikkhati, ‘cittasaṅkhārapaṭisaṃvedī passasissāmī’ti sikkhati; ‘passambhayaṃ cittasaṅkhāraṃ assasissāmī’ti sikkhati, ‘passambhayaṃ cittasaṅkhāraṃ passasissāmī’ti sikkhati.
“‘Inspirerò sperimentando la gioia’, così egli si esercita, ‘espirerò sperimentando la gioia’, così egli si esercita; ‘Inspirerò sperimentando benessere’, così egli si esercita, ‘espirerò sperimentando benessere’, così egli si esercita; ‘inspirerò sperimentando il condizionante mentale’, così egli si esercita, ‘espirerò sperimentando il condizionante mentale’, così egli si esercita; Inspirerò pacificando il condizionante mentale’, così egli si esercita, ‘espirerò pacificando il condizionante mentale’, così egli si esercita.”
-Ānāpānassatisutta, MN, 118
Negli stadi di meditazione profonda o Jhana, i condizionanti fisici, verbali e mentali vengono progressivamente abbandonati, lasciando la mente in uno stato di apertura non condizionata detto altrimenti vacuità o sunnata, altrimenti detto stadio della cessazione di percezione e sensazione o Saññāvedayitanirodha. ancora dal Cūḷavedallasutta:
“Saññāvedayitanirodhaṃ samāpajjantassa panāyye, bhikkhuno katame dhammā paṭhamaṃ nirujjhanti—yadi vā kāyasaṅkhāro, yadi vā vacīsaṅkhāro, yadi vā cittasaṅkhāro”ti?
“Ma, Venerabile Signora, avendo un monaco raggiunto la cessazione di sensazione e percezione, quali elementi cessano per primi, il condizionante del corpo, il condizionante della parola o il condizionante della mente?”
“Saññāvedayitanirodhaṃ samāpajjantassa kho, āvuso visākha, bhikkhuno paṭhamaṃ nirujjhati vacīsaṅkhāro, tato kāyasaṅkhāro, tato cittasaṅkhāro”ti.
“Amico Visakha, in un monaco che ha raggiunto la cessazione di percezione e sensazione, il condizionante della parola è il primo a cessare, quindi il condizionante del corpo ed infine il condizionante della mente.”
I Jhana nel loro insieme rappresentano un processo di progressivo svuotamento della mente da tutti gli elementi avventizi che ne oscurano la naturale chiarezza, a cominciare da quelli più grossolani come le emozioni ed i cinque impedimenti principali (brama di piacere sensuale, avversione, torpore, agitazione e dubbio), fino a quelli più sottili e innocui, come il processo del pensiero applicato e ripetuto (condizionante della parola), la consapevolezza del respiro in quanto oggetto di meditazione ( condizionante del corpo), ed infine anche i processi di sensazione e percezione ( i condizionanti della mente).
Il pensiero applicato e ripetuto (vitakkavicārā), ovvero il condizionante della parola, vengono abbandonati nel secondo Jhana, quando la mente sviluppa la capacità di rimanere concentrata sull’oggetto di meditazione senza il bisogno di portare e riportare l’attenzione all’oggetto;
Inspirazione ed espirazione, (Assāsapassāsā), il condizionante del corpo, vengono abbandonati all’ingresso del Primo ArupaJhana, quando cioè viene meno la necessità di focalizzare l’attenzione su di un oggetto di meditazione quale il respiro. Questo non significa che si smette di respirare ma più semplicemente che la percezione dell’inspirazione ed espirazione in quanto oggetto di meditazione viene a scomparire.
Percezione e sensazione (saññā ca vedanā), i condizionanti della mente, svaniscono nel terzo stadio degli ArupaJhana, quando la mente è totalmente vuota di oggetti ed il praticante, riconoscendo che la mente è vuota di qualunque oggetto, entra nello stadio della cessazione di percezione e sensazione, lo stadio di meditazione più sottile raggiungibile.
Nel momento in cui il praticante riemerge da tale stato di assorbimento meditativo, i condizionanti tornano gradualmente a riaffiorare, permettendo così al praticante di osservare – per mezzo della mente così chiarificata – il processo di creazione (khārā) del condizionamento esistenziale basato sul considerare gli aggregati come sotto il controllo di un Io o come l’Io stesso, innescato proprio dai saṅkhārā.
La pratica della meditazione profonda diventa così lo strumento per eccellenza per la comprensione della sofferenza esistenziale e delle sue cause, ovvero del processo attraverso il quale questa si manifesta.
In conclusione, possiamo ricapitolare dicendo che con saṅkhārā si intendono quegli elementi la cui funzione è di determinare, di condizionare qualcosa, o di creare le condizioni per il manifestarsi di qualcosa, e quel qualcosa è proprio il processo di condizionamento grazie al quale la sofferenza viene a manifestarsi.
Davide A. Puglisi.