Il piacere della meditazione: Pāsādikasutta

0880341da47274264856c0b890784cab.jpg

Estratto dal Pāsādikasutta, il Discorso su ciò che delizioso, DN, 29

per leggere il testo completo, in italiano, cliccare qui

 

Cattārome, cunda, sukhal­li­kānu­yogā ekanta­nibbidāya virāgāya nirodhāya upasamāya abhiññāya sambodhāya nibbānāya saṃvattanti. Katame cattāro?

Cunda,  Vi sono quattro tipi di abitudine[1] all’indulgenza nel piacere sensoriale che conducono al disincanto, al distacco dalle passioni nocive, alla cessazione, alla tranquillità, alla realizzazione, al pieno risveglio, alla liberazione; quali quattro?

Idha, cunda, bhikkhu vivicceva kāmehi vivicca akusalehi dhammehi savitakkaṃ savicāraṃ vivekajaṃ pītisukhaṃ paṭhamaṃ jhānaṃ upasampajja viharati. Ayaṃ paṭhamo sukhal­li­kānu­yogo.

Ecco Cunda, un monaco, distaccato dai desideri sensoriali, distaccato dai pensieri nocivi, raggiunge e dimora nel primo assorbimento meditativo (Jhāna), fatto di gioia e benessere nate dal distacco e accompagnato dal pensiero applicato e dal pensiero sostenuto. Questa è la prima abitudine all’indulgenza al piacere sensoriale. 

Puna caparaṃ, cunda, bhikkhu vitakkavicārānaṃ vūpasamā ajjhattaṃ sampasādanaṃ cetaso ekodibhāvaṃ avitakkaṃ avicārā samādhijaṃ pītisukhaṃ dutiyaṃ jhānaṃ upasampajja viharati; Ayaṃ dutiyo sukhal­li­kānu­yogo.

Ed ancora, o Cunda, con il dissolversi del pensiero applicato e del pensiero sostenuto, quel monaco raggiunge e dimora nel secondo Jhāna che è tranquillità interiore, univocità mentale, e gioia e benessere nate dal quel samādhi che privo di pensiero applicato e pensiero sostenuto. Questa è la seconda abitudine all’indulgenza al piacere sensoriale.

Puna caparaṃ, cunda, bhikkhu Pītiyā ca virāgā upekkhako ca viharati sato ca sampajāno sukhaṃ ca kāyena paṭisaṃ vedeti yantaṃ ariyā ācikkhanti upekkhako satimā sukhavihārīti taṃ tatiyaṃ jhānaṃ upasampajja viharati.Ayaṃ tatiyo sukhal­li­kānu­yogo.

Ed inoltre, o Cunda, con il distacco dalla gioia egli dimora in equanimità, consapevole, e con una chiara comprensione, godendo di benessere nel corpo, quel monaco raggiunge e dimora nel terzo Jhāna, il quale è definito dai nobili (ariyas) come ‘Il dimorare in equanimità, consapevolezza e beatitudine. Questa è la terza abitudine all’indulgenza al piacere sensoriale.

Puna caparaṃ, cunda, bhikkhu Sukhassa ca pahāṇā dukkhassa ca pahāṇā pubbeva somanassadomanassānaṃ atthaṃgamā adukkhaṃ asukhaṃ upekkhāsatipārisuddhiṃ catutthaṃ jhānaṃ upasampajja viharati. Ayaṃ catuttho sukhal­li­kānu­yogo.

Ed ancora, o Cunda, con abbandonando felicità e sofferenza, e per via della pregressa dissoluzione di gioia e tristezza, quel monaco raggiunge e dimora nel quarto Jhāna, libero dal dolore e dalla felicità, la purezza di equanimità e consapevolezza. Questa è la quarta abitudine all’indulgenza al piacere sensoriale.

Ime kho, cunda, cattāro sukhal­li­kānu­yogā ekanta­nibbidāya virāgāya nirodhāya upasamāya abhiññāya sambodhāya nibbānāya saṃvattanti.

Cunda, queste quattro abitudini all’indulgenza al piacere dei sensi conducono definitivamente al disincanto, al distacco dalle passioni malsane, alla cessazione, alla pacificazione, alla realizzazione, al pieno risveglio, alla liberazione.

Ṭhānaṃ kho panetaṃ, cunda, vijjati yaṃ aññatitthiyā paribbājakā evaṃ vadeyyuṃ: ‘ime cattāro sukhal­li­kānu­yoge anuyuttā samaṇā sakyaputtiyā viharantī’ti. Te vo ‘evaṃ’ tissu vacanīyā. Sammā te vo vadamānā vadeyyuṃ, na te vo abbhā­cik­kheyyuṃ asatā abhūtena.

Cunda, in riguardo a ciò, potrebbe darsi che certi asceti, seguaci di altre discipline spirituali, affermassero: ‘I monaci figli spirituali del Sakya[2] dimorano impegnati nella pratica di queste quattro abitudini all’indulgenza nei piacere dei sensi’ : così tu dovresti rispondere loro: certo!; Così rispondendo, tu risponderesti loro correttamente, e questi non potrebbero calunniarti per ciò che non esiste, per ciò che non è vero.

-Pāsādikasutta, DN 29.

1: al­li­kā: qui tradotto con ‘abitudine’, indica in genere la dipendenza (in senso negativo) da qualcosa, come l’inglese ‘addiction’, ma in questo contesto assume un connotato positivo, di ‘sana abitudine’.

2: Sakyaputtiyā: Letteralmente: i ‘figli del Sakya’, è un termine impiegato dai seguaci di altre scuole spirituali dell’antica India per indicare i monaci seguaci del Buddha, noto anche come Sakyamuni, il saggio della stirpe del Sakya o Sakyaputto, il figlio dei Sakya, un clan tribale di probabili origini mongoliche, presente ancora oggi in Nepal ed India.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Sito web creato con WordPress.com.

Su ↑

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: