Estratto dal Pāsādikasutta, il Discorso su ciò che delizioso, DN, 29
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Cattārome, cunda, sukhallikānuyogā ekantanibbidāya virāgāya nirodhāya upasamāya abhiññāya sambodhāya nibbānāya saṃvattanti. Katame cattāro?
Cunda, Vi sono quattro tipi di abitudine[1] all’indulgenza nel piacere sensoriale che conducono al disincanto, al distacco dalle passioni nocive, alla cessazione, alla tranquillità, alla realizzazione, al pieno risveglio, alla liberazione; quali quattro?
Idha, cunda, bhikkhu vivicceva kāmehi vivicca akusalehi dhammehi savitakkaṃ savicāraṃ vivekajaṃ pītisukhaṃ paṭhamaṃ jhānaṃ upasampajja viharati. Ayaṃ paṭhamo sukhallikānuyogo.
Ecco Cunda, un monaco, distaccato dai desideri sensoriali, distaccato dai pensieri nocivi, raggiunge e dimora nel primo assorbimento meditativo (Jhāna), fatto di gioia e benessere nate dal distacco e accompagnato dal pensiero applicato e dal pensiero sostenuto. Questa è la prima abitudine all’indulgenza al piacere sensoriale.
Puna caparaṃ, cunda, bhikkhu vitakkavicārānaṃ vūpasamā ajjhattaṃ sampasādanaṃ cetaso ekodibhāvaṃ avitakkaṃ avicārā samādhijaṃ pītisukhaṃ dutiyaṃ jhānaṃ upasampajja viharati; Ayaṃ dutiyo sukhallikānuyogo.
Ed ancora, o Cunda, con il dissolversi del pensiero applicato e del pensiero sostenuto, quel monaco raggiunge e dimora nel secondo Jhāna che è tranquillità interiore, univocità mentale, e gioia e benessere nate dal quel samādhi che privo di pensiero applicato e pensiero sostenuto. Questa è la seconda abitudine all’indulgenza al piacere sensoriale.
Puna caparaṃ, cunda, bhikkhu Pītiyā ca virāgā upekkhako ca viharati sato ca sampajāno sukhaṃ ca kāyena paṭisaṃ vedeti yantaṃ ariyā ācikkhanti upekkhako satimā sukhavihārīti taṃ tatiyaṃ jhānaṃ upasampajja viharati.Ayaṃ tatiyo sukhallikānuyogo.
Ed inoltre, o Cunda, con il distacco dalla gioia egli dimora in equanimità, consapevole, e con una chiara comprensione, godendo di benessere nel corpo, quel monaco raggiunge e dimora nel terzo Jhāna, il quale è definito dai nobili (ariyas) come ‘Il dimorare in equanimità, consapevolezza e beatitudine. Questa è la terza abitudine all’indulgenza al piacere sensoriale.
Puna caparaṃ, cunda, bhikkhu Sukhassa ca pahāṇā dukkhassa ca pahāṇā pubbeva somanassadomanassānaṃ atthaṃgamā adukkhaṃ asukhaṃ upekkhāsatipārisuddhiṃ catutthaṃ jhānaṃ upasampajja viharati. Ayaṃ catuttho sukhallikānuyogo.
Ed ancora, o Cunda, con abbandonando felicità e sofferenza, e per via della pregressa dissoluzione di gioia e tristezza, quel monaco raggiunge e dimora nel quarto Jhāna, libero dal dolore e dalla felicità, la purezza di equanimità e consapevolezza. Questa è la quarta abitudine all’indulgenza al piacere sensoriale.
Ime kho, cunda, cattāro sukhallikānuyogā ekantanibbidāya virāgāya nirodhāya upasamāya abhiññāya sambodhāya nibbānāya saṃvattanti.
Cunda, queste quattro abitudini all’indulgenza al piacere dei sensi conducono definitivamente al disincanto, al distacco dalle passioni malsane, alla cessazione, alla pacificazione, alla realizzazione, al pieno risveglio, alla liberazione.
Ṭhānaṃ kho panetaṃ, cunda, vijjati yaṃ aññatitthiyā paribbājakā evaṃ vadeyyuṃ: ‘ime cattāro sukhallikānuyoge anuyuttā samaṇā sakyaputtiyā viharantī’ti. Te vo ‘evaṃ’ tissu vacanīyā. Sammā te vo vadamānā vadeyyuṃ, na te vo abbhācikkheyyuṃ asatā abhūtena.
Cunda, in riguardo a ciò, potrebbe darsi che certi asceti, seguaci di altre discipline spirituali, affermassero: ‘I monaci figli spirituali del Sakya[2] dimorano impegnati nella pratica di queste quattro abitudini all’indulgenza nei piacere dei sensi’ : così tu dovresti rispondere loro: certo!; Così rispondendo, tu risponderesti loro correttamente, e questi non potrebbero calunniarti per ciò che non esiste, per ciò che non è vero.
-Pāsādikasutta, DN 29.
1: allikā: qui tradotto con ‘abitudine’, indica in genere la dipendenza (in senso negativo) da qualcosa, come l’inglese ‘addiction’, ma in questo contesto assume un connotato positivo, di ‘sana abitudine’.
2: Sakyaputtiyā: Letteralmente: i ‘figli del Sakya’, è un termine impiegato dai seguaci di altre scuole spirituali dell’antica India per indicare i monaci seguaci del Buddha, noto anche come Sakyamuni, il saggio della stirpe del Sakya o Sakyaputto, il figlio dei Sakya, un clan tribale di probabili origini mongoliche, presente ancora oggi in Nepal ed India.
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