Khaj­ja­nīya­sutta: ciò che viene divorato (il ricordo delle esistenze precedenti)

Museum

A Sāvatthi­.

«Sāvatthi­nidānaṃ. “Ye hi keci, bhikkhave, samaṇā vā brāhmaṇā vā anekavihitaṃ pubbenivāsaṃ anussaramānā anussaranti sabbete pañcu­pādā­nak­khan­dhe anussaranti etesaṃ vā aññataraṃ. Katame pañca? »

«Monaci, tutti quegli asceti e quei brahamana i quali rammentano le molteplici esistenze precedenti si rammentano dei cinque aggregati soggetti all’afferrarsi o di uno di essi. Ma quali sono questi cinque aggregati?»

«Evaṃrūpo ahosiṃ atītamaddhānan’ti—iti vā hi, bhikkhave, anussaramāno rūpaṃyeva anussarati. ‘Evaṃvedano ahosiṃ atītamaddhānan’ti—iti vā hi, bhikkhave, anussaramāno vedanaṃyeva anussarati. ‘Evaṃsañño ahosiṃ atītamaddhānan’ti … ‘evaṃsaṅkhāro ahosiṃ atītamaddhānan’ti … ‘evaṃviññāṇo ahosiṃ atītamaddhānan’ti—iti vā hi, bhikkhave, anussaramāno viññāṇameva anussarati.»

«’Tale forma Io ebbi in passato’; così o monaci è semplicemente la forma che egli ricorda;
‘Tale sensazione Io ebbi in passato’, così, o monaci, è semplicemente la sensazione che egli ricorda; ‘Tale percezione io ebbi in passato’, così o monaci, è semplicemente la percezione che egli ricorda; ‘Tali determinanti io ebbi nel passato’, così o monaci è semplicemente dei fattori determinanti che egli si ricorda; ‘Tale cognizione io ebbi nel passato’, così, o monaci, è semplicemente della cognizione che egli si ricorda.»

«Kiñca, bhikkhave, rūpaṃ vadetha? Ruppatīti kho, bhikkhave, tasmā ‘rūpan’ti vuccati. Kena ruppati? Sītenapi ruppati, uṇhenapi ruppati, jighacchāyapi ruppati, pipāsāyapi ruppati, ḍaṃsa­ma­kasavā­tātapa­sarīsa­pa­samphas­senapi ruppati. Ruppatīti kho, bhikkhave, tasmā ‘rūpan’ti vuccati.»

«E perché, monaci, viene chiamata forma? ‘si deforma’, o monaci, perciò è chiamata forma.[1] E per via di cosa si deforma? si deforma per via del freddo, del caldo, per la fame, la sete, le punture di tafani e zanzare, per il vento ed il calore, o per il morso di serpente. ‘Si deforma’, perciò è chiamata forma.»


«Kiñca, bhikkhave, vedanaṃ vadetha? Vedayatīti kho, bhikkhave, tasmā ‘vedanā’ti vuccati. Kiñca vedayati? Sukhampi vedayati, dukkhampi vedayati, aduk­kha­ma­su­khampi vedayati. Vedayatīti kho, bhikkhave, tasmā ‘vedanā’ti vuccati.»

«E perché viene chiamata sensazione? ‘si sente’ o monaci, perciò è chiamata sensazione. Che cosa si sente? Si sente piacere, si sente dolore, si sente né piacere né dolore. ‘Si sente’ oh monaci, perciò è detta sensazione.»

«Kiñca, bhikkhave, saññaṃ vadetha? Sañjānātīti kho, bhikkhave, tasmā ‘saññā’ti vuccati. Kiñca sañjānāti? Nīlampi sañjānāti, pītakampi sañjānāti, lohitakampi sañjānāti, odātampi sañjānāti. Sañjānātīti kho, bhikkhave, tasmā ‘saññā’ti vuccati.»

«E perché è chiamato riconoscimento? ‘si riconosce’ o monaci, perciò è chiamato riconoscimento. Che cosa si riconosce? si riconosce il blu, il giallo, il rosso, il bianco. ‘Si riconosce’, perciò è chiamato riconoscimento.»


«Kiñca, bhikkhave, saṅkhāre vadetha? Saṅ­kha­ta­mabhi­saṅ­kha­ron­tīti kho, bhikkhave, tasmā ‘saṅkhārā’ti vuccati. Kiñca saṅ­kha­ta­mabhi­saṅ­kha­ronti? Rūpaṃ rūpattāya saṅ­kha­ta­mabhi­saṅ­kha­ronti, vedanaṃ vedanattāya saṅ­kha­ta­mabhi­saṅ­kha­ronti, saññaṃ saññattāya saṅ­kha­ta­mabhi­saṅ­kha­ronti, saṅkhāre saṅkhārattāya saṅ­kha­ta­mabhi­saṅ­kha­ronti, viññāṇaṃ viññāṇattāya saṅ­kha­ta­mabhi­saṅ­kha­ronti. Saṅ­kha­ta­mabhi­saṅ­kha­ron­tīti kho, bhikkhave, tasmā ‘saṅkhārā’ti vuccati.»

«E perché, o monaci, sono chiamati determinanti? ‘determinano ciò che è condizionato’, perciò sono chiamati determinanti.[2] E cos’è il condizionato che essi determinano? Determinano il condizionato della forma proprio come forma, determinano il condizionato della sensazione proprio come sensazione, determinano il condizionato del riconoscimento proprio come riconoscimento, determinano il condizionato dei determinanti proprio come determinanti, determinano il condizionato della cognizione proprio come cognizione.»

«Kiñca, bhikkhave, viññāṇaṃ vadetha? Vijānātīti kho, bhikkhave, tasmā ‘viññāṇan’ti vuccati. Kiñca vijānāti? Ambilampi vijānāti, tittakampi vijānāti, kaṭukampi vijānāti, madhurampi vijānāti, khārikampi vijānāti, akhārikampi vijānāti, loṇikampi vijānāti, aloṇikampi vijānāti. Vijānātīti kho, bhikkhave, tasmā ‘viññāṇan’ti vuccati.»

«E perché è chiamata cognizione? ‘conosce chiaramente’ o monaci, perciò è chiamata cognizione[3] E cosa conosce? conosce l’acre, l’amaro, il piccante, il dolce, l’alcalino, l’acido, il salato e l’insipido, conosce o monaci, perciò è detta cognizione.»

«Tatra, bhikkhave, sutavā ariyasāvako iti paṭi­sañcik­khati: ‘ahaṃ kho etarahi rūpena khajjāmi. Atītampāhaṃ addhānaṃ evameva rūpena khajjiṃ, seyyathāpi etarahi paccuppannena rūpena khajjāmi. Ahañceva kho pana anāgataṃ rūpaṃ abhinandeyyaṃ, anāgatampāhaṃ addhānaṃ evameva rūpena khajjeyyaṃ, seyyathāpi etarahi paccuppannena rūpena khajjāmī’ti. So iti paṭisaṅkhāya atītasmiṃ rūpasmiṃ anapekkho hoti; anāgataṃ rūpaṃ nābhinandati; paccuppannassa rūpassa nibbidāya virāgāya nirodhāya paṭipanno hoti.»

«Ora o monaci, il nobile discepolo edotto [nel Dhamma] così contempla: ‘Nel presente sono divorato della forma, ed anche in passato venni divorato dalla forma passata nello stesso modo in cui adesso sono divorato della forma attuale. Se Io ricercassi il piacere nella forma futura, anche in futuro verrò divorato dalla forma futura, proprio come ora sono divorato della forma presente’.»

«Contemplando in questo modo, egli non rimpiange la forma passata, non ricerca il piacere nella forma futura e si esercita all’abbandono dell’infatuazione per la forma presente, alla sua cessazione e abbandono. »

[ così per gli altri quattro aggregati]

«Taṃ kiṃ maññatha, bhikkhave, rūpaṃ niccaṃ vā aniccaṃ vā”ti? “Aniccaṃ, bhante”. “Yaṃ panāniccaṃ dukkhaṃ vā taṃ sukhaṃ vā”ti? “Dukkhaṃ, bhante”. “Yaṃ panāniccaṃ dukkhaṃ vipari­ṇāma­dhammaṃ, kallaṃ nu taṃ samanupassituṃ: ‘etaṃ mama, esohamasmi, eso me attā’”ti? “No hetaṃ, bhante”»

«Che cosa ne pensate o monaci, la forma è permanente o impermanente? »
«Impermanente, Signore.»
«E ciò che è impermanente, è insoddisfacente o piacevole?»
«insoddisfacente, Signore.»
«E ciò che è impermanente, insoddisfacente, soggetto per sua natura al cambiamento, è forse profittevole considerarlo come:  “Questo è mio, ciò sono Io, questo è il mio sé”?»
«No di certo Signore»
[ Così per la sensazione, il riconoscimento, i determinanti, la cognizione]

«Tasmātiha, bhikkhave, yaṃ kiñci rūpaṃ atītā­nāgata­pac­cup­pan­naṃ ajjhattaṃ vā bahiddhā vā oḷārikaṃ vā sukhumaṃ vā hīnaṃ vā paṇītaṃ vā yaṃ dūre santike vā, sabbaṃ rūpaṃ: ‘netaṃ mama, nesohamasmi, na meso attā’ti evametaṃ yathābhūtaṃ sammappaññāya daṭṭhabbaṃ. Yā kāci vedanā … yā kāci saññā … ye keci saṅkhārā … yaṃ kiñci viññāṇaṃ atītā­nāgata­pac­cup­pan­naṃ … pe … yaṃ dūre santike vā, sabbaṃ viññāṇaṃ: ‘netaṃ mama, nesohamasmi, na meso attā’ti evametaṃ yathābhūtaṃ sammappaññāya daṭṭhabbaṃ.»

«Pertanto. o monaci, qualunque forma, qualunque sensazione, riconoscimento, determinante e cognizione, passata, futura o presente, interna o esterna, grossolana o sottile, inferiore o superiore, lontana o vicina, deve essere compresa, con saggezza, secondo realtà; ‘Questo non è mio, ciò non sono Io, questo non è il mio Sé’.»

«Ayaṃ vuccati, bhikkhave, ariyasāvako apacināti, no ācināti; pajahati, na upādiyati; visineti, na ussineti; vidhūpeti, na sandhūpeti. Kiñca apacināti, no ācināti? Rūpaṃ apacināti, no ācināti; vedanaṃ … saññaṃ … saṅkhāre … viññāṇaṃ apacināti, no ācināti. Kiñca pajahati, na upādiyati? Rūpaṃ pajahati, na upādiyati; vedanaṃ … saññaṃ … saṅkhāre … viññāṇaṃ pajahati, na upādiyati. Kiñca visineti, na ussineti? Rūpaṃ visineti, na ussineti; vedanaṃ … saññaṃ … saṅkhāre … viññāṇaṃ visineti, na ussineti. Kiñca vidhūpeti, na sandhūpeti? Rūpaṃ vidhūpeti, na sandhūpeti; vedanaṃ … saññaṃ … saṅkhāre … viññāṇaṃ vidhūpeti, na sandhūpeti.»

«Monaci, è detto nobile discepolo chi riduce, non chi incrementa; chi lascia andare, non chi trattiene, che dissolve, non chi accumula, chi estingue, non chi attizza.»

«E cos’è che egli riduce e non incrementa? La forma, la sensazione, il riconoscimento, i determinanti, la cognizione: ciò egli riduce e non incrementa.»

«Cosa egli lascia andare e non afferra? La forma, la sensazione, il riconoscimento, i determinanti, la cognizione: ciò egli lascia andare e non afferra.»

«Cosa egli dissipa e non accumula? La forma, la sensazione, il riconoscimento, i determinanti, la cognizione: ciò egli dissipa e non accumula.»

«Cosa egli estingue e non attizza? La forma, la sensazione, il riconoscimento, i determinanti, la cognizione: ciò egli estingue e non attizza.»

«Evaṃ passaṃ, bhikkhave, sutavā ariyasāvako rūpasmimpi nibbindati, vedanāyapi … saññāyapi … saṅkhāresupi … viññāṇasmimpi nibbindati. Nibbindaṃ virajjati; virāgā vimuccati. Vimuttasmiṃ vimuttamiti ñāṇaṃ hoti. ‘Khīṇā jāti, vusitaṃ brahmacariyaṃ, kataṃ karaṇīyaṃ, nāparaṃ itthattāyā’ti pajānāti.»

«Così vedendo o monaci, l’esperto nobile discepolo prova disincanto per la forma, la sensazione, il riconoscimento, i determinanti e la cognizione; disincantato egli è distaccato dalle passioni; con il distacco, egli diviene libero; essendo libero, sorge in lui la conoscenza della liberazione. Ed egli riconosce: ‘esaurita è la nascita, completato l’addestramento spirituale, fatto è ciò che doveva essere fatto, non vi sarà più alcun esistere in futuro. »

«Ayaṃ vuccati, bhikkhave, bhikkhu nevācināti na apacināti, apacinitvā ṭhito neva pajahati na upādiyati, pajahitvā ṭhito neva visineti na ussineti, visinetvā ṭhito neva vidhūpeti na sandhūpeti vidhūpetvā ṭhito.»

«Questo è detto, o monaci, un monaco che non riduce né incrementa, ma dimora avendo ridotto, che non abbandona né afferra, ma dimora avendo abbandonato, che non dissipa né accumula ma dimora avendo dissipato, che non estingue né attizza ma dimora avendo estinto. »

«Kiñca nevācināti na apacināti apacinitvā ṭhito; rūpaṃ nevācināti, na apacināti, apacinitvā ṭhito. Vedanaṃ nevācināti, na apacināti, apacinitvā ṭhito. Saññaṃ nevācināti, na apacināti. Apacinitvā ṭhito. Saṃkhare nevācināti, na apacināti. Apacinitvā ṭhito. Viññāṇaṃ nevācināti, na apacināti. Apacinitvā ṭhito.» 

«E cosa, egli non riduce né incrementa, ma dimora avendo già ridotto? la forma, la sensazione, il riconoscimento, i determinanti, la cognizione.»
 
«Kiñca neva pajahati na upādiyati pajahitvā ṭhito: rūpaṃ neva pajahati na upādiyati pajahitvā ṭhito. Vedanaṃ neva pajahati na upādiyati pajahitvā ṭhito. Saññaṃ neva pajahati na upādiyati. Pajahitvā ṭhito. Saṃkhare neva pajahati na upādiyati. Pajahitvā ṭhito. Viññāṇaṃ neva pajahati na upādiyati. Pajahitvā ṭhito.» 

«E cosa, egli non abbandona né afferra, ma dimora avendo già abbandonato? la forma, la sensazione, il riconoscimento, i determinanti, la cognizione.»
 
«Kiñca neva visineti, na ussineti, visinetvā ṭhito: rūpaṃ neva visineti na ussineti visinetvā ṭhito vedanaṃ neva visineti na ussineti visinetvā ṭhito. Saññaṃ neva visineti na ussineti visinetvā ṭhito. Saṃkhāre neva visineti na ussineti visinetvā ṭhito. Viññāṇaṃ neva visineti na ussineti visinetvā ṭhito.»

«E cosa, egli non dissipa né accumula, ma dimora avendo già dissipato? la forma, la sensazione, il riconoscimento, i determinanti, la cognizione.»
 
«Kiñca neva vidhūpeti na sandhūpeti vidhūpetvā ṭhito: rūpaṃ neva vidhūpeti na sandhūpeti, vidhūpetvā ṭhito. Vedanaṃ neva vidhūpeti na sandhūpeti vidhūpetvā ṭhito. Saññaṃ neva vidhūpeti na sandhūpeti vidhūpetvā ṭhito. Saṃkhāre neva vidhūpeti na sandhūpeti vidhūpetvā ṭhito. Viññāṇaṃ neva vidhūpeti na sandhūpeti vidhūpetvā ṭhito.»

«E cosa, egli non estingue né attizza, ma dimora avendo già estinto? la forma, la sensazione, il riconoscimento, i determinanti, la cognizione.»
 
«Evaṃ vimuttacittaṃ kho bhikkhave, bhikkhuṃ saindā devā sabrahmakā sapajāpatikā ārakāva namassanti:»

«Ad un monaco dalla mente emancipata anche i deva assieme ad Indra a Brahma e Pajāpati rendono omaggio anche a distanza: »

 

«namo te purisājañña namo te purisuttama, 
Yassa te nābhijānāma yampi nissāya jhāyasīti.» 

«Omaggio a te essere nobile essere, omaggio a te essere eccelso!

Noi non conosciamo qual’è l’oggetto della tua meditazione!»

Note:
1: Ruppatīti kho, bhikkhave, tasmā ‘rūpan’ti vuccati: letteralmente: “Si rompe, o monaci, perciò è chiamato rūpa” (forma);

Il sostantivo rūpa deriva dalla stessa radice sanscrita ‘rup’ di ppati (deteriorarsi, donde il latino rumpo) Questa parentela etimologica va perduta nella traduzione. 

rómpere v. tr. [lat. rŭmpĕre] (io rómpo, ecc.; pass. rem. ruppirompésti, ecc.; part. pass. rótto). – 1. a. Spezzare, dividere qualche cosa in due o più parti, con movimento rapido e taglio non preciso:

Secondo il dizionario etimologico etimo online:

Il termine forma con la sua pluralità di accezioni e derivazioni (si pensi all’aggettivo formale o formoso o ai numerosi usi che la filosofia ne ha fatto di questo termine) ha un’origine particolarmente interessante; infatti, esso, deriva sia dal latino forma che dal greco μορφή (morphé) lemmi quasi sovrapponibili ma che presentano sfumature diverse.
Infatti, il primo trae origine dalla radice sanscrita dhar che significa tenere, sostenere, da cui deriva anche il termine firmus, per cui forma significherebbe letteralmente “figura stabile”.
La versione greca ha, invece, un’origine più composita, infatti, alla base mor- che esprime il senso del vedere, dell’apparire è stata unita la radice -fé che pare risalire dall’ebraico af, con il significato di faccia, per cui la forma sarebbe la “faccia visibile” della realtà.
Interessante è dunque la sintesi di questi due termini, il primo dei quali è legato indissolubilmente alla bellezza come visione (si pensi al latino formositas), mentre, il secondo, a ciò che colpisce direttamente lo sguardo; in ogni caso, l’origine di questo vocabolo è strettamente legata alla sensibilità del soggetto più che alla sua sfera prettamente psichico-interiore e chissà, se alla luce di questa interpretazione, la traduzione del kantiano “forme a priori” non rappresenti una leggera forzatura del significato originario del termine….. 



2:Il sostantivo saṅkhāra deriva dalla radice verbale samkr, ‘costruire’ ‘creare’, ‘determinare’, ‘condizionare’, ‘formare’; i saṅkhāra  sono quei fattori la cui funzione è di costruire, determinare, plasmare o configurare gli aggregati psicofisici in una determinata modalità; i determinanti per eccellenza sono i costrutti mentali di “Io sono” e “questo mio”.  vedasi : cosa sono i Sankhara?

Dal dizionario etimologico:
L’etimologia della parola creare è da ricondursi alla radice sanscrita kar- = fare, infatti, sempre in sanscrito, kar-tr  è  il creatore cioè “colui che fa dal nulla”. Ritroviamo una simile radice nello zendo in cui kere = fare e nel greco in cui κραίνω (kraino) significa fare, compiere, realizzare. La stessa etimologia vale per parole che derivano da creare, come creatore, creatività, creazione, creatura, etc



3: Vijānātī, dal prefisso ‘Vi’, discernere o distinguere (lett. separare), e jānātī, conoscere; viññāṇa è la chiara cognizione, la consapevolezza della presenza di un dato oggetto dei sensi entro il campo della facoltà sensoriale corrispondente, la primissima fase del processo mentale di percezione. Il pali jānātī è deriva dalla radice vedica ‘jña’, cognato dell’italiano conoscere:

conóscere (ant. cognóscere) v. tr. [lat. cognoscĕre, comp. di co– e (g)noscĕre «conoscere»] (io conóscotu conósci, ecc.; pass. rem. conóbbiconoscésti, ecc.; part. pass. conosciuto). – Nel significato più ampio e filosofico, apprendere e ritenere nella mente una nozione. Nell’uso ha però un più concreto valore semantico, e può indicare i varî gradi della conoscenza, dall’iniziale percezione dell’esistenza di una cosa alla cognizione piena del suo essere, dei suoi modi e qualità.

dal PTS Pali English Dictionary :

ñāṇa from jānāti. See also jānana. *gené, as in Gr. γν ̈ω σις (cp. gnostic), γνώμη; Lat. (co)gnitio; Goth kunpi; Ogh. kunst; E. knowledge

 

 

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