«Atha kho āyasmā ānando yena bhagavā tenupasaṅkami; upasaṅkamitvā bhagavantaṃ abhivādetvā ekamantaṃ nisīdi. Ekamantaṃ nisinno kho āyasmā ānando bhagavantaṃ etadavoca: “bhavo, bhavoti, bhante, vuccati. Kittāvatā nu kho, bhante, bhavo hotī”ti?»
«Quindi, Il Venerabile Ānanda si avvicinò dal Beato, ed avendolo raggiunto, gli rese omaggio e si sedette al suo fianco. E sedendogli a fianco, il Venerabile Ānanda chiese al Beato:» «Signore, si parla di esistenza, di divenire – ma in che modo avviene il divenire?»
1:«Kāmadhātuvepakkañca, ānanda, kammaṃ nābhavissa, api nu kho kāmabhavo paññāyethā”ti? “No hetaṃ, bhante”. “Iti kho, ānanda, kammaṃ khettaṃ, viññāṇaṃ bījaṃ, taṇhā sneho. Avijjānīvaraṇānaṃ sattānaṃ taṇhāsaṃyojanānaṃ hīnāya dhātuyā viññāṇaṃ patiṭṭhitaṃ evaṃ āyatiṃ punabbhavābhinibbatti hoti. »
«Ānanda, se non ci fosse alcun intenzione (kamma)[1] maturante nella sfera della sensualità (Kāmadhātu)[2], forse che sarebbe possibile fare esperienza dell’esistenza nella sfera sensuale?
«No, signore.»
«Perciò Ānanda, il kamma è il terreno, la cognizione il seme e la sete il fertilizzante. La cognizione degli esseri viventi, ottusa dall’ignoranza ed incatenata dalla sete[di piaceri sensoriali], viene in questo modo a stabilirsi in una sfera d’esistenza inferiore, ed è in questo modo che si manifesta il sorgere di una nuova esistenza (punabhavabhinibatti).»
2:«Rūpadhātuvepakkañca, ānanda, kammaṃ nābhavissa, api nu kho rūpabhavo paññāyethā”ti? “No hetaṃ, bhante”. “Iti kho, ānanda, kammaṃ khettaṃ, viññāṇaṃ bījaṃ, taṇhā sneho. Avijjānīvaraṇānaṃ sattānaṃ taṇhāsaṃyojanānaṃ majjhimāya dhātuyā viññāṇaṃ patiṭṭhitaṃ evaṃ āyatiṃ punabbhavābhinibbatti hoti.»
«Ānanda, se non ci fosse alcun Kamma maturante nella sfera della forma (Rūpadhātu), forse che sarebbe possibile fare esperienza dell’esistenza nella sfera formale?
«No, Signore.»
«Così, Ānanda, il kamma è il terreno, la cognizione il seme e la sete il fertilizzante. La cognizione degli esseri viventi, ottusa dall’ignoranza ed incatenata dalla sete[di esistere], viene in questo modo a stabilirsi in una sfera d’esistenza intermedia, ed è in questo modo che si manifesta il sorgere di una nuova esistenza.»
3«Arūpadhātuvepakkañca, ānanda, kammaṃ nābhavissa, api nu kho arūpabhavo paññāyethā”ti? “No hetaṃ, bhante”. “Iti kho, ānanda, kammaṃ khettaṃ, viññāṇaṃ bījaṃ, taṇhā sneho. Avijjānīvaraṇānaṃ sattānaṃ taṇhāsaṃyojanānaṃ paṇītāya dhātuyā viññāṇaṃ patiṭṭhitaṃ evaṃ āyatiṃ punabbhavābhinibbatti hoti. Evaṃ kho, ānanda, bhavo hotī”ti.»
«Ānanda, se non ci fosse alcun Kamma maturante nel reame del senza forma (Arūpadhātu),forse che sarebbe possibile fare esperienza dell’esistenza nella sfera priva di forma?
«No, signore.»
«Così, Ānanda, il kamma è il terreno, la cognizione il seme e la sete il fertilizzante. La cognizione degli esseri viventi, ottusa dall’ignoranza ed incatenata dalla sete[di non esistere], viene in questo modo a stabilirsi in una sfera d’esistenza superiore, ed è in questo modo che si manifesta il sorgere di una nuova esistenza.»
-Paṭhamabhavasutta – Il discorso sul divenire, AN 3.76
Note:
1: «Cetanāhaṃ bhikkhave kammaṃ vadāmi, cetayitvā kammaṃ karoti kāyena vācāya manasā.»
«Monaci, l’intenzione Io intendo per Karma; uno agisce tramite il corpo, la parola e la mente sulla base di un’intenzione.»
-Nibbēdhika Sutta – A.N. 6th Nipātha
In merito al kamma, K. Ñāṇananda Thero scrive:
Il Karma o intenzione si manifesta come risultato del contatto, descritto come l’interazione fra le facoltà interne, gli oggetti esterni e il Viññāna (cognizione)
Per esempio, la coscienza visiva (chakkhu-viññāna ) nasce per via dell’interazione fra l’occhio (La facoltà interna) e le immagini (L’oggetto esterno), e la concomitanza di questi tre è detto contatto visivo.
Tale contatto visivo è anche chiamato Rūpasañcetanā (Intenzione connessa ad un immagine), il manifestarsi dell’intenzione sulla base di un immagine vista tramite gli occhi. Come risultato di ciò, vengono compiute azioni mentali, fisiche e verbali. Ed è in un tale background che il Karma si manifesta.
Gli esseri di questo Mondo vivono e agiscono asserviti al Karma; Essi sono così tanto legati al Karma da non potersene sbarazzare, come la ruota di un carro saldamente bloccata da un perno di ferro; il Karma è così influente che si può ben dire che esso sia la forza che determina il benessere e la sofferenza di ciascuno.
«Monaci, tutti gli esseri vivono avendo il Karma come loro proprietà; Vivono come eredi del loro Karma, Nascono dal karma, e sono imparentati con il Karma. Il Karma è il loro rifugio; se si compie un karma salutare o malvagio, quel Karma sarà la loro eredità.»
Sansappanii Pariyāya Sutta – A.N. 10th Nipātha
2: Secondo questo discorso, vi sono tre modalità d’esistenza o bhava : l’esistenza sensuale (Kāmabhava), l’esistenza formale (Rūpabhava) e l’esistenza informale (Arūpabhava); la prima è quella in cui tutti noi ci muoviamo ordinariamente, dove la ricerca di benessere tramite il godimento dei sensi (che per il Buddhismo include anche la mente) la fa da padrone; In questa situazione, ci barcameniamo fra il desiderio di sperimentare piacere tramite la ricerca di esperienze piacevoli ed il tentativo costante di sfuggire da tutto ciò che consideriamo indesiderabile.
Il secondo tipo di esistenza, detta esistenza formale, è quella in cui vivono gli esseri assorti negli stadi meditativi con oggetto, altrimenti noti con il nome di RupaJhana; in questo stato d’esistenza, la sfera sensuale viene temporaneamente trascesa ed il meditante prova gioia tramite il distacco dagli oggetti sensuali, piacevoli, dolorosi e neutri.
L’ultimo tipo di esistenza è chiamato esistenza informale, un termine tecnico che sta ad indicare la condizione dell’essere propria di quei rari individui la cui mente dimora per la maggior parte del tempo negli stadi di raccoglimento meditativo senza oggetto.
Il Buddha paragona il Karma ad un campo coltivabile (khetta), a sottolineare che le azioni da noi compiute determinano la qualità della nostra esistenza in divenire; In questo contesto, con karma si intendono le azioni intenzionali compiute sulla spinta di una motivazione (Cetanā), basata a sua volta su una delle tre radici non salutari di bramosia, avversione ed ignoranza o su una delle tre radici salutari di assenza di bramosia, amore e saggezza, al fine di ottenere gratificazione e soddisfazione.
Il Kamma è definito campo in quanto esso rappresenta il campo d’azione pressoché infinito per l’individuo spinto dalle intenzioni; coltivando azioni di un certo tipo, si sperimenterà una corrispondente esperienza esistenziale. Si raccoglie ciò che si è seminato.
Sulla base delle azioni compiute, si sperimenterà il frutto o risultato corrispondente alle azioni che lo hanno prodotto, nei termini di una delle tre sfere di esistenza: quella sensuale, quella formale e quella sottilissima della sfera esistenziale del senza forma. Per il Buddha quindi, la nostra esistenza, in questa vita e nelle successive, è costantemente plasmata e ridefinita dalle nostre attività mentali, fisiche e verbali.
Il Buddha poi prosegue affermando che la sete è il fertilizzante (sneho) o alimento (ahara), ad indicare che le azioni determinanti la qualità della nostra vita in termini di felicità o sofferenza sono alimentate o nutrite dalla sete (Tanha), l’impulso radicato nella non conoscenza della realtà instabile delle cose a possedere o essere, dettato dall’aspettativa di protezione e dalla ricerca di gratificazione e felicità.
In altre parole, noi tutti ricerchiamo la felicità e aborriamo il dolore, ma non conoscendo la realtà incerta ed insoddisfacente degli oggetti a cui ci afferriamo, proiettiamo inconsciamente su di esse una capacità di soddisfare stabilmente le nostre aspettative che esse non posseggono. Questa sete di felicità innesca il meccanismo delle azioni rivolte ad ottenere tale gratificazione; al fine di ottenere ciò che vogliamo compiamo un’infinita serie di azioni -mentali, verbali e fisiche – con l’obiettivo di raggiungere l’agognata felicità, e queste azioni a loro volta determinano il nostro vissuto esistenziale (Bhava).
Se quindi, continuando con l’analogia del sutta, il karma è il campo dove noi coltiviamo la nostra esistenza e i desideri ne sono il nutrimento, la cognizione è il seme, a significare che una data condizione esistenziale è tale solo in quanto vi è coscienza da parte dell’individuo della propria condizione particolare.
Il desiderio di possedere (kamatanha), di esistere (bhavatanha) e di non esistere (vibhavatanha), nutrono tale senso di essere un individualità concreta sorto all’atto della presa di coscienza di noi stessi in quanto individui specifici dotati di personalità, opinioni, aspirazioni e di una vasta gamma di idee e valori di riferimento.
È abbastanza semplice comprendere come questo processo avvenga costantemente, in ogni momento della nostra vita; più arduo è invece pensare che secondo la concezione buddhista, tale processo non si arresti con la morte ma continui a perpetuarsi anche dopo di essa, nella forma di una nuova aggregazione di elementi psico-fisici afferrati da una mente percipiente come “questo sono Io” e “questo è il mio corpo, la mia mente etc.”
Nel Buddhismo infatti, elementi di natura prettamente psicologica quali il desiderio e l’avversione ed altri di natura cosmologica si mescolano in un unica concezione circa l’origine e la sorte della nostra esistenza in questo universo.
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