Mahā­puṇṇama­sutta: non-sé e ridivenire

 

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Mahā­puṇṇama­sutta, MN 109

Il Discorso esteso della notte di plenilunio

(Estratto)

Atha kho aññatarassa bhikkhuno evaṃ cetaso parivitakko udapādi: «iti kira, bho, rūpaṃ anattā, vedanā anattā, saññā anattā, saṅkhārā anattā, viññāṇaṃ anattā; anattakatāni kammāni kamattānaṃ phusissantī”ti?»

Quindi, ad un certo monaco venne in mente questa riflessione: «Se la forma è non-sé, la sensazione è non-sé, la percezione è non-sé, le intenzioni sono non-sé, la cognizione è non-sé, quale sé verrà raggiunto [dai risultati] delle azioni compiute da ciò che non possiede un sé?» [1]

Atha kho bhagavā tassa bhikkhuno cetasā ceto­pari­vitak­ka­maññāya bhikkhū āmantesi: «ṭhānaṃ kho panetaṃ, bhikkhave, vijjati yaṃ idhekacco moghapuriso avidvā avijjāgato taṇ­hādhipa­teyyena cetasā satthu sāsanaṃ atidhāvitabbaṃ maññeyya:»

Quindi il Bhagavan, intuendo con la propria mente i pensieri di quel monaco, disse ai monaci: «È possibile, o monaci, che uno stolto – con la mente dominata dall’ignoranza ed ottenebrata dalla sete [d’esistenza] – possa così pensare di superare in astuzia l’insegnamento del maestro:

‘iti kira, bho, rūpaṃ anattā, vedanā anattā, saññā anattā, saṅkhārā anattā, viññāṇaṃ anattā; anattakatāni kammāni kamattānaṃ phusissantī’ti.’ 

‘Se la forma è non-sé, la sensazione è non-sé, la percezione è non-sé, le intenzioni sono non-sé, la cognizione è non-sé, quale sé verrà raggiunto [dai risultati ] delle azioni compiute da ciò che non possiede un sé?’

«Paṭivinītā kho me tumhe, bhikkhave, tatra tatra dhammesu.»

«Monaci, non foste voi da me istruiti a dissipare i dubbi su questo o quell’aspetto dell’insegnamento?»

La risposta del Buddha

«Taṃ kiṃ maññatha, bhikkhave, rūpaṃ niccaṃ vā aniccaṃ vā”ti? “Aniccaṃ, bhante”. “Yaṃ panāniccaṃ dukkhaṃ vā taṃ sukhaṃ vā”ti? “Dukkhaṃ, bhante”. “Yaṃ panāniccaṃ dukkhaṃ vipari­ṇāma­dhammaṃ, kallaṃ nu taṃ samanupassituṃ: ‘etaṃ mama, esohamasmi, eso me attā’”ti? “No hetaṃ, bhante”»

«Che cosa ne pensate o monaci, la forma è permanente o impermanente? »
«Impermanente, Signore.»
«E ciò che è impermanente, è insoddisfacente o piacevole?»
«insoddisfacente, Signore.»
«E ciò che è impermanente, insoddisfacente, soggetto per sua natura al cambiamento, è forse profittevole considerarlo come:  “Questo è mio, ciò sono Io, questo è il mio sé”?»
«No di certo Signore»
[ Così per la sensazione, la percezione, le volizioni e la cognizione]

«Tasmātiha, bhikkhave, yaṃ kiñci rūpaṃ atītā­nāgata­pac­cup­pan­naṃ ajjhattaṃ vā bahiddhā vā oḷārikaṃ vā sukhumaṃ vā hīnaṃ vā paṇītaṃ vā yaṃ dūre santike vā, sabbaṃ rūpaṃ: ‘netaṃ mama, nesohamasmi, na meso attā’ti evametaṃ yathābhūtaṃ sammappaññāya daṭṭhabbaṃ. Yā kāci vedanā … yā kāci saññā … ye keci saṅkhārā … yaṃ kiñci viññāṇaṃ atītā­nāgata­pac­cup­pan­naṃ … pe … yaṃ dūre santike vā, sabbaṃ viññāṇaṃ: ‘netaṃ mama, nesohamasmi, na meso attā’ti evametaṃ yathābhūtaṃ sammappaññāya daṭṭhabbaṃ.»

«Pertanto. o monaci, qualunque forma, qualunque sensazione, percezione, volizione e cognizione, passata, futura o presente, interna o esterna, grossolana o sottile, inferiore o superiore, lontana o vicina, deve essere compresa, con saggezza, secondo realtà; ‘Questo non è mio, ciò non sono Io, questo non è il mio Sé’.»

«Evaṃ passaṃ, bhikkhave, sutavā ariyasāvako rūpasmimpi nibbindati, vedanāyapi … saññāyapi … saṅkhāresupi … viññāṇasmimpi nibbindati. Nibbindaṃ virajjati; virāgā vimuccati. Vimuttasmiṃ vimuttamiti ñāṇaṃ hoti. ‘Khīṇā jāti, vusitaṃ brahmacariyaṃ, kataṃ karaṇīyaṃ, nāparaṃ itthattāyā’ti pajānāti.»

«Così vedendo o monaci, l’esperto nobile discepolo prova disincanto per la forma, la sensazione, il la percezione, le volizioni e la cognizione; disincantato egli è distaccato dalle passioni; con il distacco, egli diviene libero; essendo libero, sorge in lui la conoscenza della liberazione. Ed egli riconosce: ‘esaurita è la nascita, completato l’addestramento spirituale, fatto è ciò che doveva essere fatto, non vi sarà più alcun esistere in futuro.»

-Mahā­puṇṇama­sutta, MN, 109

Testo completo: http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/mn/mn.109.than.html

Note:

1: in altre parole: se non vi è alcun sé negli aggregati, né come loro somma, né come entità ad essi collegata, chi (quale sé) sperimenterà, in questa o nelle vite successive i risultati delle azioni compiute da ciò che è privo di un sé sostanziale? 

la domanda si basa su un fraintendimento in senso nichilistico dell’insegnamento buddhista sul non-sé, e sull’evidente incapacità della persona non risvegliata a pensare in termini diversi da quelli soggettivi, per i quali la concezione di un sé o io è il fondamento.

Bisogna innanzitutto comprendere cosa si intenda con sé o atman, ed in cosa consista la visione erronea concernente questo sé. Se ci fosse qualcosa che noi potessimo controllare in base ai nostri desideri, quel qualcosa sarebbe definita ‘sé’; tuttavia, nulla in questo mondo, incluso la nostra stessa vita, può essere controllato sulla mera base delle nostre aspettative.

Un essere è composto di forma materiale(corpo), sensazioni, percezioni, attività intenzionali e cognizione; Quando qualcuno pensa di poter controllare tutto ciò in base ai propri desideri, considerando tale essere nei termini di ‘me’, ‘mio’, ‘me stesso’, questo rappresenta la visione erronea relativa al sé.

Chi è attaccato a questa visione è convinto che il suo sé esisterà in eterno dopo la morte o che esso si estinguerà per sempre. Entrambe queste due prospettive dipendono dal fatto che il sé viene concepito come un entità controllabile.

Vi sono delle religioni che asseriscono che il sé o anima possa essere controllata, che cioè essa possa essere considerata nei termini di ‘me’, ‘mio’, ‘il mio sé’,  e che questa continuerà ad esistere in eterno dopo la morte. Queste religioni vengono classificate come religioni proponenti la teoria di un sé o anima.

Ma comunque sia, niente in questo mondo può essere controllato in accordo ai nostri voleri per via del fatto che ogni cosa è soggetta al mutamento ed alla distruzione. Prendiamo ad esempio le nostre stesse vite:

Questo corpo è soggetto all’ammalarsi, all’invecchiamento, e un giorno perirà; niente di tutto ciò può essere evitato come noi vorremmo.

Sperimentiamo diversi tipi di dolore, e tuttavia non possiamo cambiarli in piacere o farli scomparire come vorremmo; I pensieri che sorgono nella mente sono anch’essi contingenti e non possono essere controllati; Questo significa che essi non possono essere considerati come ‘Io’ o ‘miei’. Sono, in altre parole, non-sé; sono fenomeni che si manifestano per via di certe cause e smettono di esistere quando le cause si sono dissolte; non appartengono a nessuno, perciò sono definite non-sé.

Tutte gli oggetti in questo mondo sono transienti; tutte le forme di sensazione, piacevole, sgradevole o neutra sono solo temporanee; la percezione o riconoscimento di immagini, suoni, odori, gusti, sensazioni e pensieri, è anch’essa impermanente, cambiando in continuazione.

Le nostre aspettative e percezioni sono ugualmente soggette al cambiamento; per via del fatto che esse cambiano con il tempo, e che neanche la cosa più insignificante può essere vista come permanente, non vi è nulla che possiamo controllare in accordo alle nostre aspettative; che ci piaccia o meno, tutti dobbiamo invecchiare, ammalarci e morire.

Questo stato di cose è dovuto al fatto che nulla di tutto ciò ci appartiene davvero. Per questa ragione, ogni cosa deve compresa come non-sé; questo significa che non possiamo assoggettare nulla al nostro controllo né cambiarne la natura in base ai nostri desideri.

In altre parole, la visione eternalista dell’individuo non risvegliato tende a concepire in senso meramente nichilistico l’insegnamento sul non-sé, fraintendendolo per un mera negazione di un’entità permanente ed autonoma (l’Io o sé) che di fatto -nell’ottica del Buddha- semplicemente non esiste (e quindi non necessita di essere negato).

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