«jātipaccayā jarāmaraṇaṃ sokaparidevadukkhadomanassupāyāsā sambhavanti. Evametassa kevalassa dukkhakkhandhassa samudayo hoti ».
«la nascita determina decadimento e morte, e per via di ciò, pena, angoscia, dolore, sofferenza, ed afflizione si manifestano. In questo modo ha origine l’intera massa della sofferenza.»
Definizione di dukkha
Il termine Pali dukkha deriva dall’unione di ‘duh’, ‘difficile’, e ‘kha’, ‘spazio’, ‘foro’ o ‘foro assiale'[1]. Questo vocabolo, che può apparire sia come aggettivo che come sostantivo, indica una carenza, una lacuna, la mancanza di qualcosa, un vuoto interiore (kha), caratterizzato da malessere, da un’insoddisfazione persistente, da tristezza, angoscia e assenza di agio e benessere (duḥ).
Con dukkha si intende uno stato di profonda insoddisfazione, di sofferenza psicofisica ed esistenziale dai molteplici aspetti: pena ed angoscia (soka- parideva), prostrazione fisica e psicologica (dukkha-domanassa), ed afflizione (upāyāsa);
I risveglio del Principe Siddharta consistette proprio nella comprensione profonda di quel processo che è alla base del suo manifestarsi, noto come paṭiccasamuppāda o ‘origine dipendente’ (genesi interdipendente di dukkha) :[3]
«Katamo ca, bhikkhave, paṭiccasamuppādo? Avijjāpaccayā, bhikkhave, Sankhara; saṅkhārapaccayā viññāṇaṃ; viññāṇapaccayā nāmarūpaṃ; saḷāyatanaṃ nāmarūpapaccayā; phasso saḷāyatanapaccayā; phassapaccayā vedanā; vedanāpaccayā Tanha; taṇhāpaccayā upādānaṃ; upādānapaccayā bhavo; bhavapaccayā jati; jātipaccayā jarāmaraṇaṃ sokaparidevadukkhadomanassupāyāsā sambhavanti. Evametassa kevalassa dukkhakkhandhassa samudayo hoti ».
«Ma cos’è, o monaci, l’origine dipendente? l’ignoranza, o monaci, determina i fattori condizionanti, i fattori condizionanti determinano il processo cognitivo, il processo cognitivo determina mente e materia, mente e materia determinano le sei basi sensoriali, le sei basi sensoriali determinano il contatto, il contatto determina la sensazione, la sensazione determina la sete, la sete determina l’afferrarsi, l’afferrarsi determina l’esistere, l’esistere determina la nascita, la nascita determina decadimento e morte, e per via di ciò, la pena, l’angoscia, il dolore, la sofferenza, e l’afflizione si manifestano. Ed è in questo modo che ha origine l’intera massa della sofferenza.»
-Vibhanga sutta, SN.
Il primo insegnamento tenuto da Siddharta dopo il risveglio, noto come ‘La messa in moto della ruota del Dhamma’ o più semplicemente come ‘Il Discorso di Benares’, fu dedicato proprio al tema del dukkha, alla sua origine, alla possibilità di estinguerlo ed all’esposizione del metodo per arrivare alla sua estinzione:
«Idaṃ kho pana, bhikkhave, dukkhaṃ ariyasaccaṃ—jātipi dukkhā, jarāpi dukkhā, byādhipi dukkho, maraṇampi dukkhaṃ, appiyehi sampayogo dukkho, piyehi vippayogo dukkho, yampicchaṃ na labhati tampi dukkhaṃ—saṃkhittena pañcupādānakkhandhā dukkhā.»
«Questa o monaci, è la nobile verità circa la sofferenza: La nascita è dolorosa l’invecchiamento è doloroso, la malattia è dolorosa, la morte è dolorosa, sottostare a ciò che non si ama è doloroso, separarsi da ciò che si ama è doloroso, non ottenere ciò che si desidera è doloroso, I cinque aggregati soggetti all’afferrarsi nel loro complesso sono dolorosi [4].»
-Dhammacakkappavattanasutta, SN 56.11
Forme di dukkha
Nel Dukkhatāsutta (SN, 45.165), il Buddha elenca tre categorie fondamentali di dukkha, entro le quali le differenti manifestazioni summenzionate sono comprese:
1: dukkhadukkhatā: La sofferenza legata al presentarsi ed al persistere di esperienze dolorose, quali malattie, incidenti, traumi fisici e psicologici, violenze etc;
2: vipariṇāmadukkhatā: la sofferenza legata al cambiamento di ciò che reputiamo soggettivamente piacevole, la perdita di una persona cara, la fine di una relazione o di un’amicizia, la perdita del lavoro..
3: saṅkhāradukkhatā: la sofferenza determinata dai fattori condizionanti (saṅkhāra). Questa forma di dukkha ha a che vedere con la sofferenza che è il prodotto finale dell’origine dipendente di cui parleremo in questo ciclo di post.
Yaṁ kiñci dukkhaṁ sambhoti – sabbaṁ saṁkhāra paccayā
Qualunque forma di sofferenza sorta, tutte queste dipendono dai saṅkhāra,
Saṁkhārānaṁ nirodhena – natthi dukkhassa sambhavo
Con la dissoluzione dei saṅkhāra, non sorgerà più alcuna sofferenza.
Etamādīnavaṁ ñatvā – dukkhaṁ saṁkhāra paccayā
Avendo prendeso lo svantaggio di quella sofferenza determinata dai saṅkhāra,
Sabbasaṁkhāra samathā – saññāya uparodhanā
[avviene] La pacificazione di ogni saṅkhāra, la liberazione dalle percezioni [erronee]:
Evaṁ dukkhakkhayo hoti – etaṁ ñatvā yathātathaṁ
Avendo compreso le cose per come sono in realtà, vi sarà la fine del dukkha.
Sammaddasā vedaguno – sammadaññāya paṇditā
Per il saggio, dotato di visione ed esperto nella conoscenza,
Abhibhuyya mārasaṁyogaṁ – nāgacchanti punabbhavaṁ
avendo trasceso i legami di māra, non vi sarà più alcuna nuova esistenza.
– Dvayatānupassanā S., Sutta Nipāta
Nel contesto dell’origine dipendente, con soka-parideva-dukkha-domanassa-upāyāsā si intendono la pena, l’angoscia, il dolore somatico, la sofferenza psicologica e l’afflizione interiore in riguardo alla propria esistenza (bhava), ovvero, quella sofferenza che inevitabilmente si presenterà con l’approssimarsi dell’invecchiamento e della morte, sofferenza legata alla consapevolezza di non poter governarne questi eventi fondamentali:
«Jarādhammānaṃ…Maraṇadhammānaṃ, bhikkhave, sattānaṃ evaṃ icchā uppajjati ‘aho vata mayaṃ na jarādhammā ….maraṇadhammā assāma, na ca vata no jarā…no maraṇaṃ āgaccheyyā’ti. Na kho panetaṃ icchāya pattabbaṃ, idampi yampicchaṃ na labhati tampi dukkhaṃ.»
«Monaci, a quegli esseri soggetti al decadimento e alla morte, sorge un tale desiderio : ‘Che noi si possa non essere soggetti al decadimento e la morte, che decadimento e morte non sopraggiungano per noi!’ Ma tale desiderio non può essere realizzato. Perciò, non ottenere ciò che si desidera è dukkha. »
-Mahāsatipaṭṭhānasutta
I cinque aspetti del dukkha qui descritti rappresentano la progressione, in termini di intensità, con il quale esso si manifesta. Pena ed angoscia, a cui fanno seguito uno stato di prostrazione fisica e psicologica, seguiti a loro volta da un’intensa afflizione esistenziale.
La nascita come base per il dukkha
La base per il manifestarsi del dukkha sono gli aggregati psicofisici, nel momento in cui questi vengono afferrati da una mente condizionata dall’ignoranza nei termini di Io e Mio; Il Buddha definì gli aggregati come ‘ciò che si manifesta a livello spazio-temporale’ (in un certo luogo o contesto, in un dato momento); In altre parole, la comparsa degli aggregati psicofisici è ciò che si intende con nascita (jāti):
«Katamā ca, bhikkhave, jāti? Yā tesaṃ tesaṃ sattānaṃ tamhi tamhi sattanikāye jāti sañjāti okkanti abhinibbatti khandhānaṃ pātubhāvo āyatanānaṃ paṭilābho. Ayaṃ vuccati, bhikkhave, jāti».
«E cos’è, o monaci, la nascita? Ciò che a questi o quegli esseri, di questa o quella specie è nascita, origine, discesa (dal ventre materno), manifestazione, il formarsi degli aggregati, l’ottenimento delle basi sensoriali. Ciò, o monaci, è chiamata nascita».
La nascita è la conditio sine qua non per il manifestarsi delle varie forme di sofferenza, in particolare quella legata alla presa di coscienza dell’ineluttabilità del decadimento e della morte; ciò significa che il dukkha necessita di tempo e spazio per manifestarsi, ed è per questa ragione che il rimedio a tale stato di cose consiste nella coltivazione dell’attenzione al qui ed ora e nell’abbandono del pensiero ossessivo verso ciò che è stato in passato, ciò che accade nel presente e delle preoccupazioni per ciò che potrebbe accadere in futuro; non a caso, l’introduzione al Mahāsatipaṭṭhānasutta, il Discorso esteso sui fondamenti della consapevolezza, recita testualmente:
«Ekāyano ayaṃ, bhikkhave, maggo sattānaṃ visuddhiyā, sokaparidevānaṃ samatikkamāya dukkhadomanassānaṃ atthaṅgamāya ñāyassa adhigamāya nibbānassa sacchikiriyāya, yadidaṃ cattāro satipaṭṭhānā»
«Monaci, questo è il sentiero ad un’unica direzione (=scopo), per la purificazione degli esseri viventi, la pacificazione della pena e dell’angoscia, l’estinzione del dolore e della sofferenza, l’ottenimento della conoscenza, la realizzazione del nibbāna, ovvero: i Quattro fondamenti della consapevolezza»[2]
-DN 22
Nel prossimo post, parleremo del concetto di nascita nel contesto dell’origine dipendente, e delle sue cause.
Note:
1: Il riferimento è al foro assiale su cui venivano installate le ruote dei veicoli che gli antichi popoli nomadi originari delle steppe mongoliche e del caucaso (come gli antenati dello stesso Buddha) usavano per spostarsi nei loro viaggi migratori che li condussero ad insediarsi nel nord dell’India.
L’immagine della ruota roteante, imperniata su di un asse, rende assai bene l’idea della natura ciclica e ripetitiva dell’insoddisfazione (Samsara), il suo costante dispiegarsi esperienza dopo esperienza, alimentata proprio dalla vana ricerca di una soddisfazione stabile e duratura.
A questo proposito, Winthrop Sargeant spiega:
«Gli antichi popoli Ariani che portarono la lingua sanscrita in India erano popoli nomadi dediti all’allevamento di cavalli e bestiame, e viaggiavano in veicoli trainati da cavalli o buoi. I prefissi Su e dus stanno ad indicare il ‘buono’ ed il ‘cattivo rispettivamente. La parola kha, che in sanscrito che significa “cielo”, “etere” o “spazio”, era originariamente la parola per “foro”, in particolare il foro assiale di uno di quei veicoli utilizzati dagli aria nei loro spostamenti. Così, sukha significava in origine “avere un foro assiale buono”, mentre con duhkha si intendeva “avere un foro assiale rovinato”, causa quindi di disagio per i viaggiatori.»
dal dizionario etimologico:
2: Una traduzione semplificata di questo passo:
«Monaci, Quello dei Quattro Fondamenti della consapevolezza è un sentiero con un unico scopo, ovvero: la purificazione degli esseri viventi, la pacificazione della pena e dell’angoscia, l’estinzione del dolore e della sofferenza, l’ottenimento della conoscenza, la realizzazione del nibbāna.»
3: “yo paṭiccasamuppādaṃ passati so dhammaṃ passati; yo dhammaṃ passati so paṭiccasamuppādaṃ passatī.”
“Chi comprende l’origine dipendente comprende il Dhamma; chi comprende il Dhamma, comprende l’origine dipendente.”
-Mahāhatthipadopamasutta, MN 28.
Il paṭiccasamuppāda è il processo di condizionamento alla base del dukkha. Questo termine deriva dall’unione di ‘paṭicca’, traducibile come ‘dipendente da’, ‘Sam’ che significa ‘insieme’, e ‘uppāda’, il manifestarsi di qualcosa. paṭiccasamuppāda può essere tradotto come ‘sorgere dipendente’, ‘origine dipendente’ o ‘produzione co-dipendente’.
Secondo i resoconti storici, nella prima parte della sua vita il Principe Siddharta condusse un’esistenza relativamente agiata e priva di problemi di ordine materiale o economico, fino a quando, -prendendo coscienza della caducità della vita e dell’inevitabilità di malattia, invecchiamento e morte – venne travolto da un forte senso di smarrimento e angoscia esistenziale che lo spinsero ad abbandonare la vita agiata condotta fino ad allora per cercare una soluzione al problema fondamentale della nascita e della morte e del dolore ad esse associato.
Siddharta si immerse totalmente nella ricerca spirituale praticando sotto la guida di diversi maestri, fino a quando comprese che la soluzione a tale angoscia non può essere trovata né nell’edonistica ricerca del piacere dei sensi, né tanto meno nella loro negazione, e neppure nelle tecniche estatiche o nell’ascetismo estremo, ma solo tramite la comprensione profonda e l’uso sistematico della saggia attenzione (yoniso Manasikara), attraverso un processo di introspezione entro i profondi meccanismi interiori che si celano dietro le diverse forme di sofferenza sperimentate.
Partendo dalla sofferenza del momento presente e guardando in profondità dentro se stesso, Il principe fattosi asceta Siddharta riuscì a comprendere nella sua interezza il meccanismo attraverso il quale la sofferenza legata al pensiero angoscioso di nascita,malattia, invecchiamento e morte vanga a manifestarsi.
Nell’ambito dell’insegnamento Buddhista, questo processo prende il nome di paṭiccasamuppāda, l’origine dipendente [della sofferenza]. Di fatto, tutto l’insegnamento Buddhista può essere visto come una dettagliata esposizione del funzionamento di tale processo e del modo per liberarsene.
Il principio fondamentale di questo processo è la legge di causa ed effetto o legge dell’interdipendenza, secondo la quale ogni cosa esiste per via di un complesso intreccio di cause e condizioni; applicando questo principio al manifestarsi della sofferenza, è possibile giungere all’individuazione della sua causa più profonda, al fine di eliminarla.
In un famoso dialogo con Sariputta, Assaji, (uno dei primi cinque discepoli del Buddha, n.d.r.) spiega in maniera concisa il principio di causa ed effetto:
“ye dhammā hetuppabhavā tesam hetum Tathāgato āha tesañ ca yo nirodho, evaṃvādī Mahāsamano.”
“Di quei fenomeni che sorgono da cause e condizioni, Il Tathāgata ne ha spiegata l’origine e la cessazione; Questo è l’insegnamento del Grande Asceta. ”
-Vinaya, I, 40.
Nella fattispecie, con ‘fenomeni’ si intendono gli elementi costituenti la catena del sorgere dipendente quali l’ignoranza, e non, come spesso si pensa, i fenomeni in generale; l’insegnamento del Buddha ha un carattere notoriamente pragmatico, e come tale, non mira ad una mera confutazione sul piano ontologico dell’esistenza o della non-esistenza dei fenomeni del mondo manifesto, ma alla trascendenza, -nel qui ed ora – della sofferenza, e nell’approcciare il suo insegnamento, bisogna tenere ben a mente questa sua natura pragmatica.
4: “la nascita è dolorosa…il non avere ciò che si desidera è doloroso…” In questo contesto, il termine dukkha è usato in qualità di aggettivo anziché di sostantivo: la traduzione: “la nascita è sofferenza/dolore” (sostantivo) è quindi errata. Nella grammatica Pali e sanscrita, l’aggettivo si accorda sempre con il numero (singolare o plurale), il genere (maschile, neutro o femminile), ed il caso (accusativo, ablativo, nominativo etc.) del sostantivo a cui si accompagna.
In questo caso specifico, il fatto che si tratti di un aggettivo è facilmente riscontrabile da una semplice osservazione delle declinazioni dei nomi e dalle desinenze, qui evidenziate con diversi colori ed in grassetto:
«Idaṃ kho pana, bhikkhave, dukkhaṃ ariyasaccaṃ—/jātipi dukkhā/, /jarāpi dukkhā/, /byādhipi dukkho/, /maraṇampi dukkhaṃ/, /appiyehi sampayogo dukkho/, /piyehi vippayogo dukkho/, /yampicchaṃ na labhati tampi dukkhaṃ/—/saṃkhittena pañcupādānakkhandhā dukkhā/.»
A questo proposito, Thanissaro Bhikkhhu scrive:
Pain: dukkha. The basic everyday meaning of the word dukkha as a noun is “pain” as opposed to “pleasure” (sukha). These, with neither-dukkha-nor-sukha, are the three kinds of feeling (vedanā) (e.g., S iv 232). S v 209-10 explains dukkha vedanā as pain (dukkha) and unhappiness (domanassa), i.e., bodily and mental dukkha. This shows that the primary sense of dukkha, when used as a noun, is physical “pain,” but then its meaning is extended to include mental pain, unhappiness. The same spread of meaning is seen in the English word “pain,” for example in the phrase, “the pleasures and pains of life.” That said, the way dukkha is explained in this discourse shows that it is here “pain” in the sense of “the painful”, that which is painful, i.e. which brings pain, whether in an obvious or subtle sense.
Painful:dukkha as an adjective refers to things which are not (in most cases) themselves forms of mental or physical pain, but which are experienced in ways which bring mental or physical pain. When it is said “birth is painful” etc, the word dukkha agrees in number and gender with what it is applied to, so is an adjective. The most usual translation “is suffering” does not convey this. Birth is not a form of “suffering,” nor is it carrying out the action of “suffering,” as in the use of the word in “he is suffering.”
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