Aspetti della compassione nel Buddhismo Theravāda

buddha-di-bazira

«Tutti gli esseri che dimorano nel mondo, sono divorati dal fuoco delle passioni, dal fuoco dell’avversione, dal fuoco dell’ignoranza, da nascita, invecchiamento, morte, tristezza, angoscia, dolore, sofferenza e disperazione; ‘Non vi è nessun altro, all’infuori di me, in grado di estinguere tali fiamme’, -vedendo ciò, sorse nel Bhagavan Buddha la grande compassione»

«Āditto lokasannivāso rāgagginā dosagginā mohagginā jātiyā jarāya maraṇena sokehi paridevehi dukkhehi domanassehi upāyāsehi, tassa natthañño koci nibbāpetā aññatra mayāti passantānaṃ buddhānaṃ bhagavantānaṃ sattesu mahākaruṇā okkamati.»

-Paṭi­sam­bhi­dā­magga 1.1 

Karuṇā, la compassione, è un’attività volontaria (kar) finalizzata alla distruzione (Ruppatī, dalla stessa radice indoeuropea dell’italiano rompere) della sofferenza. Il suffisso ‘ṇā’ indica un’attività che sta accadendo nel presente, simile all’inglese -ing.

In accordo ai commentari, il termine Karuṇā è spiegato con «ahita-dukkh-âpanaya-kāmatā», il desiderio (kāmatā) di soffiare via (âpanaya) la sofferenza (dukkha) e ciò che è nocivo (ahita), mentre la benevolenza è definita come il desiderio di dare al prossimo ciò che è salutare e buono (hita-sukh-ûpanayakāmatā, -SnA 128)

Un altro termine per compassione è Anukampā, vocabolo che deriva dal verbo ‘kampati’, ‘tremare’ o ‘vibrare’ unito al prefisso ‘anu’, ‘assieme’, nella stessa direzione. Anukampā è di solito tradotto con empatia, la capacità di sentire la sofferenza dell’altro come propria.

La compassione è altresì definita come «paradukkhe sati sādhūnaṃ hadayakampanaṃ karotī ti», l’agire (karoti) con un cuore compassionevole (hadaya-kampanaṃ), improntato al bene (sādhūnaṃ), essendo consapevoli (sati) della sofferenza altrui (paradukkhe).

Nel sistema Theravāda vengono distinti due tipi di compassione: la compassione in senso generico (Karuṇā), e la compassione del Buddha, detta grande compassione  o mahakaruṇā; a tale proposito, il monaco singalese Ven K. Nyanananda Thero scrive:

«La Compassione è la gentilezza che si genera nella propria mente vedendo gli altri soffrire. Molte persone in questo mondo sono dotate di una simile compassione; I loro cuori si sentono dispiaciuti nel vedere gli altri soffrire, arrivando persino a piangere di dolore nel vedere queste tragedie.

Queste persone offrono il loro aiuto al fine di  alleviare tali sofferenze, senza aspettarsi nulla in cambio; un tale modo di agire è ciò che si dice compassione. Tuttavia essa non rappresenta ciò che noi chiamiamo la “grande compassione”, in quanto tali azioni si limitano ad offrire al prossimo ciò di cui egli ha bisogno nell’immediato; 

La compassione del Buddha non si limita a ciò: Il Buddha vide la grande sofferenza che tutti gli esseri devono affrontare, costretti a nascere e morire in continuazione nel Samsara. noi siamo in grado di comprendere le sofferenze che gli esseri umani affrontano in questa vita, e tuttavia non abbiamo una percezione chiara della sofferenza del Samsara. Il Buddha ebbe una profonda intuizione in riguardo a ciò mentre era ancora un giovane principe:

“Pubbeva me, bhikkhave, sambodhā ana­bhisam­buddhassa bodhi­sattas­seva sato etadahosi: ‘kicchaṃ vatāyaṃ loko āpanno jāyati ca jīyati ca mīyati ca cavati ca upapajjati ca. Atha ca panimassa dukkhassa nissaraṇaṃ nappajānāti jarāmaraṇassa. Kudāssu nāma imassa dukkhassa nissaraṇaṃ paññāyissati jarāmaraṇassā’ti?

Monaci, prima del mio risveglio, non essendo ancora pervenuto al pieno risveglio, ma aspirando ad ottenere il risveglio, questo pensiero sorse in me: ‘Invero questo mondo è caduto nella miseria di nascita, invecchiamento, morte, trapasso e ancora nascita. Ma per questa sofferenza di nascita e morte non si conosce alcuna via d’uscita. Quando sarà manifesta una via d’uscita da questa sofferenza di nascita e morte?’ »

In estrema sintesi, la ‘grande compassione’ praticata del Buddha consistette nel trovare una via d’uscita dal circolo vizioso della sofferenza esistenziale e ad esporla a tutti coloro i quali erano abbastanza saggi e ricettivi da poter comprendere il messaggio liberatorio del Dhamma e a metterlo in pratica.

Tutto ciò che va sotto il nome di Dhammavinaya, l’insegnamento e la disciplina etica insegnata dal Buddha,  è il prodotto della grande sua compassione, in quanto egli non si limitò ad offrire un aiuto pratico per questioni di carattere contingente, prodigandosi invece per far conoscere una via capace di condurre al di là della sofferenza esistenziale, a cui tutti gli esseri senzienti, quelli più sfortunati come anche i più fortunati, i ricchi come i diseredati, i potenti e gli indigenti potevano accedere in accordo alle loro capacità e predisposizioni.

 

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