«Upādāparitassanañca vo, bhikkhave, desessāmi anupādāaparitassanañca. Taṃ suṇātha, sādhukaṃ manasi karotha, bhāsissāmī”ti. «Evaṃ, bhante»ti, kho te bhikkhū bhagavato paccassosuṃ. Bhagavā etadavoca:
A Savatti.
«Monaci, vi parlerò di come l’ansia nasca dall’afferrarsi, e di come la calma nasca dal non afferrarsi; ascoltate e fate bene attenzione a ciò che dirò.”
«Bene Signore», risposero in assenso quei monaci al Bhagavan. Ed il Bhagavan così disse:
«kathañca, bhikkhave, upādāparitassanā hoti? Idha, bhikkhave, assutavā puthujjano rūpaṃ ‘etaṃ mama, esohamasmi, eso me attā’ti samanupassati. Tassa taṃ rūpaṃ vipariṇamati aññathā hoti. Tassa rūpavipariṇāmaññathābhāvā uppajjanti sokaparidevadukkhadomanassupāyāsā. Vedanaṃ etaṃ mama … pe … saññaṃ etaṃ mama … saṅkhāre etaṃ mama … viññāṇaṃ ‘etaṃ mama, esohamasmi, eso me attā’ti samanupassati. Tassa taṃ viññāṇaṃ vipariṇamati aññathā hoti. Tassa viññāṇavipariṇāmaññathābhāvā uppajjanti sokaparidevadukkhadomanassupāyāsā. Evaṃ kho, bhikkhave, upādāparitassanā hoti.»
«In che modo, monaci, l’afferrarsi genera l’ansia? Ecco, una persona comune priva di istruzione considera il corpo … la sensazione … la percezione … le intenzioni … la cognizione … in questo modo: ‘Ciò è mio, ciò sono Io, questo è il mio Sé’; ma il corpo, la sensazione, la percezione, le intenzioni e la cognizione cambiano, diventando differenti; con il cambiamento e l’alterazione del corpo … in lui sorgono tristezza e angoscia, dolore e dispiacere e disperazione».
-Dutiyaupādāparitassanāsutta SN 5.7
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Nel contesto dell’Origine Dipendente, con soka-parideva-dukkha-domanassa-upāyāsā si intendono la pena, l’angoscia, il dolore somatico, la sofferenza psicologica e l’afflizione interiore in riguardo alla propria esistenza, ovvero, quella sofferenza che inevitabilmente si presenterà con l’approssimarsi dell’invecchiamento e della morte, sofferenza legata alla consapevolezza di non poter governarne questi eventi fondamentali:
«Jarādhammānaṃ…Maraṇadhammānaṃ, bhikkhave, sattānaṃ evaṃ icchā uppajjati ‘aho vata mayaṃ na jarādhammā ….maraṇadhammā assāma, na ca vata no jarā…no maraṇaṃ āgaccheyyā’ti. Na kho panetaṃ icchāya pattabbaṃ, idampi yampicchaṃ na labhati tampi dukkhaṃ.»
«Monaci, a quegli esseri soggetti al decadimento e alla morte, sorge un tale desiderio : ‘Che noi si possa non essere soggetti al decadimento e la morte, che decadimento e morte non sopraggiungano per noi!’ Ma tale desiderio non può essere realizzato. Perciò, non ottenere ciò che si desidera è dukkha. »
Commento:
Quando le cose cambiano in un maniera sgradevole, ci preoccupiamo, diventiamo stressati, andiamo in pezzi;
Ci aspettiamo che tutto e tutti nella nostra vita rimangano sempre gli stessi, e ce la prendiamo con agli altri quando cambiano.
Ma nel Dhamma viene insegnato ad accettare il cambiamento per quello che è.
Tuttavia, c’è bisogno di una grande forza per rimanere saldi in mezzo ai cambiamenti e ciò è possibile solo se abbiamo coltivato la consapevolezza e compreso la natura dell’ego.
Ciò che dovremmo fare quando qualcosa cambia non è recitare la parola “anicca” (impermanenza) come un mantra, ma osservare qual è la causa della nostra preoccupazione, qual è il nostro punto debole …
-Ven Samanthabhadra Thero
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