Evaṃ me sutaṃ— ekaṃ samayaṃ bhagavā uruvelāyaṃ viharati najjā nerañjarāya tīre ajapālanigrodhamūle paṭhamābhisambuddho.
Così ho udito: In una certa occasione il Bhagava dimorava ad Uruvelā, sulla riva del fiume Nerañjarā, ai piedi di un albero di Ajapāla[1], avendo da poco conseguito il completo risveglio.
Atha kho bhagavato rahogatassa paṭisallīnassa evaṃ cetaso parivitakko udapādi: “mutto vatamhi tāya dukkarakārikāya. Sādhu mutto vatamhi tāya anatthasaṃhitāya dukkarakārikāya. Sādhu vatamhi mutto bodhiṃ samajjhagan”ti.
Ed al Bhagava che così dimorava in solitudine, venne in mente questa riflessione:
«Libero, invero, io sono da questo doloroso ascetismo! è un bene che io mi sia liberato da questo inutile ascetismo! è davvero un bene che io, stabile e consapevole, abbia raggiunto il risveglio!»
Atha kho māro pāpimā bhagavato cetasā cetoparivitakkamaññāya yena bhagavā tenupasaṅkami; upasaṅkamitvā bhagavantaṃ gāthāya ajjhabhāsi:
Allora Māra il maligno[2], intuendo i pensieri del Bhagava con la propria mente, si diresse verso di lui, ed avendolo avvicinato, lo apostrofò con questi versi:
«Tapokammā apakkamma,
yena sujjhanti māṇavā;
Asuddho maññasi suddho,
suddhimaggā aparaddho ”ti.»
«Hai abbandonato l’ascetismo[3]
tramite cui gli esseri si purificano;
Impuro, pensi di essere puro,
hai deviato dal sentiero della purificazione.»
Il Buddha:
«Anatthasaṃhitaṃ ñatvā,
yaṃ kiñci amaraṃ tapaṃ;
Sabbaṃ natthāvahaṃ hoti,
phiyārittaṃva dhammani.»
«Avendo compreso l’inutilità
di qualunque pratica ascetica finalizzata all’immortalità,
che esse non portano alcun beneficio,
come remi e timone sulla terra ferma.
«Sīlaṃ samādhi paññañca,
Maggaṃ bodhāya bhāvayaṃ;
Pattosmi paramaṃ suddhiṃ,
Nihato tvamasi antakā”ti.»
Etica, raccoglimento e saggezza:
coltivando il sentiero per il risveglio,
ho realizzato la purezza trascendente:
Sei sconfitto, Distruttore!.»
Atha kho māro pāpimā “jānāti maṃ bhagavā, jānāti maṃ sugato”ti, dukkhī dummano tatthevantaradhāyīti.
Quindi, Māra il maligno, realizzando: «Il Bhagava mi ha riconosciuto, il Sugata[4] mi ha riconosciuto!», triste e scontento, scomparve istantaneamente.
Note:
1: ajapālanigrodha, il Baniano della Capraio (Ficus benghalensi):
Il baniano (Ficus benghalensis L., 1753) è una pianta sempreverde diffusa nel subcontinente indiano. La sua caratteristica più evidente sono le radici aeree che, partendo dai rami e raggiunto il terreno, si trasformano in altrettanti tronchi, allargando così la superficie coperta da ogni albero. I semi racchiusi nei fichi germogliano più facilmente se preventivamente mangiati da mammiferi o uccelli e dispersi dopo il passaggio nell’apparato digestivo.
Il Ficus benghalensis è simbolo nazionale dell’India ed è considerato sacro. Un esemplare gigantesco fu descritto da Nearco durante la spedizione di Alessandro Magno lungo le sponde del fiume Narmada.
Fonte: wikipedia.
2: Māra, la personificazione allegorica del male e dell’ignoranza, causa radice di tutte le sofferenze; il nome Māra deriva dal vedico mṛ, uccidere, causare la morte, dar battaglia, simile al latino mors e morbus, da cui derivano l’italiano morte, e morbo.
Nei sutta, Māra può comparire in forma mitica come un demone (yaksha) il cui obiettivo è quello di sviare i praticanti con insegnamenti falsi e devianti o con lusinghe, spesso accompagnato dalle sue figlie simbolizzanti le diverse afflizioni interiori, oppure in maniera allegorica, a simbolizzare lo stato interiore di oscurazione, afflizione e conflitto.
Māra può comparire sotto diversi nomi fra i quali: Namuci (Il Distruttore), Kaṇha (l’Oscuro), Adhipati (Il Dominatore), Antaka (colui che pone fine), Pamattabandhu (L’Amico Negligente), Pāpimā (Il Maligno).
3: Tapa, Le rigide pratiche ascetiche, tutt’oggi diffuse nel sub continente indiano, tese a mortificare il desiderio causante afflizione tramite la mortificazione del corpo. Il termine Tapa deriva da tapati, (bruciare, brillare), cognato del Latino tepor (tepore, calore), sovente tradotto con ‘fuoco interiore'( Tib. Tummo).
In origine, con questo termine ci si riferiva ad alcune pratiche yogiche finalizzate allo sviluppo del ‘fuoco interiore’; la funzione di tali pratiche è di sciogliere i ‘blocchi energetici’ presenti nel corpo sottile, in accordo alla fisiologia dello Yoga; in seguito, questo termine venne ad indicare tutte quelle pratiche ascetiche basate sul principio della mortificazione e della penitenza, da coltivare in luoghi isolati e non privi di pericoli reali o presunti.
4: Sugata: Il ‘Ben Andato’, colui il quale ha percorso per intero il Sentiero per la liberazione. Epiteto del Buddha.
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