
Nascita, Illuminazione e morte del Buddha
Siddhārtha Gotama, conosciuto come il Buddha, nacque a Lumbini nell’odierno Nepal del sud (Madhesh o Terai) e visse la prima parte della sua vita nel nord di quello che oggi è lo stato indiano dell’Uttar Pradesh. A quell’epoca non era stata ancora stabilita l’odierna suddivisione del sub-continente indiano fra India, Nepal, Bangladesh, Afghanistan e Pakistan, e nei testi buddhisti in lingua pali, i territori dove visse il Buddha sono conosciuti con il nome di Majjhima desa, o Regione di mezzo.
La datazione della sua nascita è incerta; Secondo la tradizione dello Sri Lanka, tale evento avrebbe avuto luogo nel 623 a.C. e la morte nel 543 a.C., ma gli studiosi moderni ritengono che in realtà il fondatore storico del Buddhismo sia nato attorno al 566 a.C. e morto attorno al 486 a.C.
La confusione nacque per via di un errore di calcolo contenuto nel testo singalese Mahavamsa o “Cronaca estesa”, una delle poche fonti antiche contenente informazioni di carattere storico ordinate cronologicamente sulla nascita del Buddhismo e del suo fondatore.
Prima di intraprendere la via della ricerca spirituale, Siddhārtha visse una vita di agii presso il palazzo del padre, seguendo l’educazione necessaria a divenire, un giorno, re di una regione che corrisponde all’incirca all’attuale Nepal.
Poco prima di compiere trent’anni il Principe incontrò delle persone che stavano vivendo l’esperienza della malattia, della vecchiaia e della morte, rimanendone molto impressionato e turbato. Allo stesso modo rimase profondamente ammirato dalla serenità mostrata da un saggio eremita.
Maturando tali esperienze, Siddhārtha realizzò la precarietà e la temporaneità del suo stato di agio ed abbandonò la sua casa e la sua famiglia, in cerca di una soluzione definitiva alle grandi sofferenze del mondo. Intraprese in tale ricerca diverse pratiche spirituali ed incontrò molti maestri, finché, insoddisfatto di quanto sperimentato, ricercò la sua via: La via di mezzo tra l’estremo ascetismo e una vita legata ai piaceri dei sensi.
Fu come risultato di questa ricerca che una sera, all’età di trentacinque anni, meditando sotto un albero, poi conosciuto come l’albero della Bodhi o del Risveglio presso Bodhgaya (nell’attuale regione del Bihar, in India), il principe Siddhārtha raggiunse lo stato dell’Illuminazione, lo stato di completa e profonda saggezza, al di là di ogni sofferenza. Da quel giorno fu noto come il Buddha, il Risvegliato.
Egli passò i successivi quarantacinque anni della sua vita girovagando per la pianura del Gange, condividendo con tutti coloro i quali veniva a contatto il frutto delle sue scoperte, mostrando loro il sentiero pratico per l’emancipazione dal circolo vizioso della sofferenza esistenziale.
La datazione della morte del Buddha è invece calcolata sulla base data dell’ascesa al trono dell’imperatore pan-indiano Ashoka, avvenuta nel 268 a.C., ovvero, secondo il testo singalese, 218 anni dopo la dipartita del Buddha, che in questo modo sarebbe avvenuta nel 486 a.C.; Sapendo che il Buddha visse per circa ottant’anni, possiamo datare la nascita di Guatama al 566 a.C.;
Le due tendenze e le diciotto scuole
Circa tre mesi dopo la morte del Buddha, i discepoli superstiti, al fine di preservare il suo insegnamento per le generazioni successive, decisero di tenere un concilio in cui sarebbero stati fissati sia l’insegnamento che le regole della disciplina monastica, sulla base di ciò che era stato udito dai discepoli più vicini al maestro, in special modo Ananda ed Upali, l’ex barbiere dei Shakya, che in quanto addetto alla rasatura dei nuovi ordinandi aveva udito personalmente un’infinità di volte la recitazione delle regole monastiche imposta ad ogni nuovo monaco. Ananda venne invitato a condividere i discorsi da lui uditi, mentre Upali trasmise per intero il corpus della regola monastica. Per questa ragione, ogni discorso della raccolta dei sutta o del Vinaya inizia con la frase: “Evaṃ me sutaṃ”, “Così ho udito.”
Il concilio, presieduto da MahaKassapa e patrocinato dal Re Ajatasattu, venne tenuto in una località tutt’ora esistente chiamata “cava dei sette saggi”, -un terrazzamento roccioso comprensivo di sette cave che si affaccia sulla città di Rajgir, nell’odierno stato del Bihar – e continuò per circa tre mesi.
Circa cento anni dopo questo primo concilio, all’interno della comunità monastica vennero a manifestarsi delle divergenze di opinioni in merito a certi punti minori della disciplina: Un gruppo di monaci di etnia Vajji propose l’abolizione di un decina di restrizioni presenti nel codice etico dei monaci elencate nella seconda sezione del Vinaya Pitaka, il canestro della disciplina e nel Mahavamsa, un testo redatto a Ceylon sulla storia del Buddhismo antico. Le dieci regole in questione erano:
1: La possibilità di conservare del sale per condire gli alimenti non saporiti,
2:La possibilità di mangiare fuori dal tempo prescritto, ovvero anche dopo mezzogiorno,
3: Andare nei villaggi ed accettare altro cibo dopo aver consumato il pasto principale,
4:Celebrare l’assemblea mensile (uposatha) in diverse sedi dello stesso distretto,
5: Prendere decisioni sull’amministrazione dell’ordine in assenza del numero legale,
6:Seguire l’esempio del proprio precettore/maestro anche in caso di comportamenti erronei o contrari al Dharma ed alla disciplina,
7:Bere latte non frullato,
8:Bere bevande alcoliche non fermentate,
9:Utilizzare stuoie per sedersi non rifinite da frange( senza orli),
10:Accettare oro e argento dai laici, cioè il denaro.
Queste proposte suscitarono polemiche e discussioni senza fine, e si formarono due fazioni, i favorevoli e i contrari; Al fine di risolvere la questione, venne indetto un secondo concilio, tenutosi nella città di Vaishali, ma non riuscendo a trovare una posizione comune,la questione venne decisa con un referendum fra gli otto monaci più anziani presenti, che rigettarono in toto le proposte di modifica avanzate dai monaci di etnia Vajji.
Qualche tempo dopo, i monaci Vajji, usciti sconfitti dal concilio tennero un contro-concilio in cui venne elaborato un manifesto in cinque punti dove per la prima volta venivano messe in discussione le qualità di un Arahant. L’intento era evidentemente quello di mettere in cattiva luce i monaci anziani agli occhi dei sostenitori laici, una sorta di rappresaglia messa in atto per punire i monaci anziani per aver rigettato le proposte di modifica alla disciplina monastica. I cinque punti erano:
1: Un Arahant può essere soggetto a sogni erotici accompagnati da polluzioni notturne,
2: Che un Arahant non è ha la piena conoscenza in riguardo ad argomenti non dharmici,
3:Un Arahant può essere soggetto al dubbio in riguardo a cose diverse dal Dharma,
4:Non è possibile ottenere la condizione di Arahant senza l’ausilio di un maestro esterno,
5:Un Arahant potrebbe intraprendere il nobile sentiero sulla base di stati d’animo negativi come la tristezza o la pena.
A questo contro-concilio, presieduto da un monaco di nome Mahadeva, prese parte un grande numero di monaci, e per questa ragione, i suoi partecipanti presero il nome di Mahāsāṃghika, quelli della grande assemblea.
I monaci anziani, rimasti in minoranza, rigettarono simili speculazioni costruite ad arte contro di loro, decisi a preservare l’insegnamento nella sua forma originaria. Si consumò quindi la prima vera e propria scissione nell’ordine monastico: da una parte i Mahāsāṃghika, da cui molto tempo dopo nacque quella corrente di pensiero nota ai giorni nostri come il grande veicolo (mahayana), e dall’altra i monaci anziani dalle idee più conservatrici, conosciuti ai posteri con il termine Staviravadin o Sthavira nikāya, il gruppo dei monaci anziani.
Da queste due tendenze o fazioni, sorsero 18 scuole, sei dai Mahāsāṃghika e 12 dallo Sthavira nikāya, fra le quali vi è la stessa scuola Theravāda delle origini, prima cioè che essa si diffondesse in Sri Lanka e da li nel resto dell’Asia.
Di seguito l’elenco delle dodici scuole sorte dallo Sthavira nikāya con i nomi in sanscrito:
Le sei scuole nate in seno al Mahāsāṃghika:
Il Theravāda
La scuola antica o Theravāda ha origine quindi dalla scuola Vibhajjavāda, detta dei particolaristi o analizzatori, una corrente interna dello Sthavira nikāya;
Il Theravāda è tutt’oggi praticato in Sri Lanka, Bangladesh,Thailandia, Birmania, Cambodia, Malesia,ed Indonesia.
L’origine del Mahāyāna
Dalle scuole nate dal Mahāsāṃghika si originarono poi le due correnti principali del Mahāyāna, la Madhyamaka, (La Via di Mezzo), fondata da Nāgārjuna nel II secolo d.C, e la Yogācāra, conosciuta anche con i nomi di Vijñānavāda (idealisti) e Cittamātra (Mente-Matrice).
Le dottrine di queste ultime due scuole sono tutt’ora seguite e praticate dalle scuole ad indirizzo Mahāyāna, ovvero, nel Buddhismo Cinese, Giapponese, Coreano, Vietnamita e Tibetano.
Il Vajrayāna
Dal Mahāyāna si sviluppò un’altra corrente di pensiero. a carattere esoterico, definita Vajrayāna, (Via Adamantina) o Tantrayāna ( Via del Lignaggio esoterico) o anche Mantrayāna (Via dei Mantra o sacri inni).
Secondo la storiografia contemporanea il Buddhismo Vajrayāna compare in India nel VI-VII secolo d.C. Esso consisterebbe in un sincretismo tra alcune dottrine induiste denominate tantrismo, fondate anche su credenze popolari sciamaniche, con il Buddhismo Mahāyāna. I suoi testi fondamentali, denominati Tantra, sono databili intorno a quel periodo. Se questi testi si fondano o meno su tradizioni orali precedenti è argomento ancora oggi controverso e discusso.
Secondo la tradizione Vajrayāna, invece, le proprie dottrine sono assolutamente ortodosse e hanno origine, tra gli altri, dallo stesso Buddha Śākyamuni. Secondo tale tradizione il Buddhismo Vajrayāna è la forma di Buddhismo sviluppatasi a partire da quello che è stato definito il “Quarto giro della ruota del Dharma” da parte, tra gli altri, del Buddha Śakyamuni alla classe di discepoli aventi i requisiti necessari e comunque spiritualmente più maturi.
In accordo con tale tradizione, l’assemblea di coloro che apprendevano i Tantra dal Buddha era composta in gran parte da esseri non umani come i Deva o i Bodhisattva trascendenti. Così la “Storia” sacra del Vajrayāna narra che ad un anno dall’Illuminazione lo Śākyamuni espose sul Gṛdhrakūṭaparvata (Picco dell’avvoltoio, montagna esistente in India situata nei pressi di Rajgir, nello stato indiano del Bihar), lo Śatasāhasrikāprajñā-pāramitāsūtra (Sutra della perfezione della saggezza in centomila stanze) mentre contemporaneamente assumeva la forma di Kālacakra a Dhānyakaṭaka (nell’Andhra Pradesh, India meridionale) per insegnare dentro uno stupa apparso improvvisamente il Kālacakratantra al re Sucandra (a sua volta emanazione di Vajrapāṇi) re di Śambhala. Peraltro è opinione dei seguaci del Buddhismo Vajrayāna che sia impossibile comprendere la genesi di questo Buddhismo partendo dalle ordinarie concezioni spazio-temporali.
Per gli storici contemporanei questa narrazione è puramente mitica essendo, a loro detta, il Kālacakratantra uno dei testi più tardi del Buddhismo Vajrayāna, risalente non prima del X secolo. Nel parere degli studiosi contemporanei il Buddhismo Vajrayana si formò sul tronco del Buddhismo Mahāyāna, anche se insegnamenti tantrici possono essere ascritti ad alcuni secoli precedenti da quelli finora identificati[1].
Dal punto di vista storico possiamo affermare con certezza l’esistenza del Buddhismo Vajrayāna a partire dal VII secolo quando è accertata la presenza in Cina di maestri tantrici come Śubhakarasiṁha (a Chang’an nel 716) e Vajrabodhi (a Luoyang nel 720).
La presenza di elementi tantrici possono essere comunque riscontrate nelle parti, risalenti al IV secolo circa, di alcuni sutra mahāyāna (Sutra del Loto, Vimalakīrti Nirdeśa sūtra); un primo testo tantrico potrebbe essere il Mahāmāyurī risalente al III secolo d.C. La presenza di elementi tantrici può essere tuttavia riscontrata anche in testi appartenenti al Buddhismo dei Nikāya.
Le congetture storiche sulla nascita del Buddhismo Vajrayāna ci dicono della possibilità della presenza di maestri itineranti detti siddha (ovvero detentori del potere sacro denominato siddhi), iconoclasti e critici nei confronti del Buddhismo Mahāyāna tradizionale in quanto considerato troppo intellettuale – e successivamente indicato come Pāramitayāna (Veicolo della Perfezione) -, i quali crearono circoli segreti per trasmettere dottrine e pratiche esoteriche atte a far realizzare rapidamente l’Illuminazione. Il progressivo sviluppo di questi circoli permise nei secoli successivi l’istituzionalizzazione di questo “nuovo” buddhismo e il suo ingresso nei monasteri. Così, nel VII secolo, il monaco buddhista vajrayāna viveva insieme ai confratelli appartenenti ad altri buddhismi, veniva ordinato seguendo il vinaya del Buddhismo dei Nikāya, seguiva i precetti del Buddhismo Mahāyāna ma praticava le tecniche Vajrayāna.
(Per la sezione sul Vajrayāna: Credit: Wikipedia)
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