
«Sabbe saṅkhārā aniccāti, yadā paññāya passati; Atha nibbindati dukkhe, esa maggo visuddhiyā.»
«Tutti i determinanti sono incostanti: quando uno realizza ciò attraverso la saggezza, egli si divincola dalla sofferenza. Questa è la via per la purificazione.»
«Sabbe saṅkhārā dukkhāti, yadā paññāya passati; Atha nibbindati dukkhe, esa maggo visuddhiyā.»
«Tutti i determinanti sono insoddisfacenti: quando uno realizza ciò tramite la saggezza,egli si divincola dalla sofferenza. Questa è la via per la purificazione.»
«Sabbe dhammā anattāti, yadā paññāya passati; Atha nibbindati dukkhe, esa maggo visuddhiyā.»
«Tutti i fenomeni sono non-sé: quando uno realizza ciò attraverso la saggezza, egli si divincola dalla sofferenza. Questa è la via per la purificazione.»
Aññāsikoṇḍaññattheragāthā
La triplice definizione di incostante, insoddisfacente e non-sé compare spesso nei Sutta, ma perché proprio in questa forma particolare? Perché il Buddha ha affermato che tutte le cose le quali determinano altre cose (saṅkhārā) sono incostanti ed insoddisfacenti, omettendo di dire che tutte i fenomeni (dhammā) sono incostanti e insoddisfacenti?
La risposta è che il Buddha non stava fornendo una spiegazione né una descrizione delle cose, ma un Insegnamento attraverso il quale l’afferrarsi al sé (attavādupādāna) può essere abbandonato.
Vediamo ora come questa triade conduca all’abbandono dell’afferrarsi al sé.
Il Puthujjhana[1] afferra i cinque aggregati come se questi fossero sé, in una modalità o nell’altra; I cinque aggregati, afferrati come il (mio) sé ((my-)self) sono visti ‘me stesso’. (my self).
Ora, il ‘me stesso’ (il mio sé) è sempre concepito come qualcosa di statico; quando il ‘mio sé’ viene compreso come incostante, esso si dissolverà.
Tuttavia, per via del fatto che il Puthujjhana percepisce il ‘me stesso’ come statico, egli è portato a pensare che, benché ogni altra cosa sia incostante, questo ‘me stesso’ sia essenzialmente un fenomeno costante, permanente.
Stando così le cose, se il Puthujjhana aspira a realizzare che il ‘me stesso’ è incostante, egli necessiterà di metodi indiretti per aggirare tale ostacolo.
Perciò il Buddha invitava ad osservare che il ‘me stesso’ è innanzitutto determinato da qualcos’altro, per sua natura incostante. Quando il Puthujjhana realizza che il ‘me stesso’ è dipendente da un determinante incostante, egli realizzerà che anche il ‘me stesso’ è necessariamente incostante, che il ‘me stesso’ è strutturalmente inconstante.
Quando egli comprende che il ‘me stesso’ è incostante, egli realizzerà che il ‘me stesso‘ è un inganno. In altre parole, egli arriverà a comprendere che tale ‘me stesso’ è una sua creazione sorta afferrando ciò che in realtà non è un sé (i cinque aggregati), come se ciò fosse il suo sé. A quel punto, egli realizzerà che quei fenomeni (i cinque aggregati) sono non-sé.
Così, quando i determinanti (saṅkhārā) sono compresi come incostanti, il fenomeno (dhamma) viene altresì compreso come incostante, e quindi come non-sé.
Nel comprendere che tutti (sabbe) i determinanti sono incostanti, egli comprenderà che tutti i fenomeni sono non-sé. In questo modo la comprensione che «tutti i determinanti sono incostanti» conduce a comprendere che «tutti i fenomeni sono non-sé».
Due cose degne di nota:
- Un fenomeno (dhamma) è sempre una cosa afferrata esplicitamente come il (mio) sé o potenzialmente afferrabile come il (mio) sé; è un fenomeno determinato (sankhata dhamma), distinto dal determinante (saṅkhārā); in altre parole, si tratta dei cinque aggregati soggetti all’afferrarsi.
- Tutti i fenomeni sono compresi come non-sé tramite la comprensione che essi sono incostanti, e ciò accade grazie alla comprensione dell’incostanza dei determinanti. Ciò rappresenta il ‘metodo indiretto’ impiegato per aggirare l’ostacolo, l’aspetto pratico del sentiero.
Allo stesso modo, quando si comprende che tutti i determinanti (saṅkhārā) sono insoddisfacenti, si arriverà a comprendere che tutti i fenomeni (dhamma) sono ugualmente insoddisfacenti, e quando i fenomeni vengono compresi come incapaci di produrre una soddisfazione duratura, si realizzerà che tutti i fenomeni sono non-sé.
Così, la comprensione che «tutti i determinanti sono insoddisfacenti» conduce alla comprensione che «tutti i fenomeni sono non-sé».
Tratto da: R.G. De S. Wettimunny,The Buddha’s teaching and the ambiguity of existence.
Note:
1: Puthujjhana: l’uomo comune, privo di comprensione della vera natura delle cose.
Rispondi