Ajapālakathā: All’Albero di Ajapāla

bamyan
L’albero di Banyan (Ficus benghalensis )

Pāli Theravāda Vinaya

Khandhaka, Mahāvagga

Mahākhandhaka

2. Ajapālakathā

Atha kho bhagavā sattāhassa accayena tamhā samādhimhā vuṭṭhahitvā bodhi­rukkha­mūlā yena ajapā­la­nigrodho tenupasaṅkami, upasaṅkamitvā ajapā­la­nigrodha­mūle sattāhaṃ ekapallaṅkena nisīdi vimutti­su­kha­paṭi­saṃ­vedī.

Quindi, passati che furono quei sette giorni, il Bhagavan, riemergendo da quel raccoglimento profondo ai piedi dell’albero del risveglio, si diresse verso il Banyan del pastorello (ajapā­la), e raggiuntolo, si sedette ai suoi piedi, rimanendovi per sette giorni, sperimentando la gioia della liberazione.

Atha kho aññataro huṃhuṅkajātiko brāhmaṇo yena bhagavā tenupasaṅkami. Upasaṅkamitvā bhagavatā saddhiṃ sammodi. Sammodanīyaṃ kathaṃ sāraṇīyaṃ vītisāretvā ekamantaṃ aṭṭhāsi.

Quindi, un certo bramino huṃhuṅkajātika[1] si diresse verso il Bhagavan, ed avendolo avvicinato, lo salutò amichevolmente, e, dopo aver scambiato con lui saluti di cortesia e parole amichevoli, rimase in piedi al suo fianco.

Ekamantaṃ ṭhito kho so brāhmaṇo bhagavantaṃ etadavoca—“kittāvatā nu kho, bho gotama, brāhmaṇo hoti, katame ca pana brāhmaṇakaraṇā dhammā”ti? Atha kho bhagavā etamatthaṃ viditvā tāyaṃ velāyaṃ imaṃ udānaṃ udānesi—

E stando in piedi al suo fianco, quel Bramino disse al Bhagavan: “Amico Gotama, in che misura una persona è un brāhmaṇa[2], e inoltre, quali sono gli elementi che costituiscono un brāhmaṇa?”  Allora il Bhagavan, afferrando il senso di ciò, in quel momento profferì questi versi ispirati:

“Yo brāhmaṇo bāhita­pāpa­dhammo,
Nihuṃhuṅko nikkasāvo yatatto;
Vedantagū vusitab­rahma­cariyo,
Dhammena so brahmavādaṃ vadeyya;
Yassussadā natthi kuhiñci loke”

“Quel brāhmaṇa che ha purgato da sé gli elementi nocivi,

non ripete “humhum”, è libero dai veleni interiori e dotato di autocontrollo;

che ha raggiunto la fine della conoscenza[3], ha realizzato la vita pura,

egli può parlare [della via che conduce] al Brahman in accordo al Dhamma:

Per costui non vi sono più ‘ramificazioni’ [4]in questo mondo.”

NOTE:

1: Huṃhuṅkajātika: della gente che recita “HumHun”. Nome di un bramino che visitò il Buddha all’Ajapāla-nigrodha sette giorni dopo la sua illuminazione  al fine di porre domande circa l’autentico bramino. Buddhaghosa spiega che il bramino era superstizioso (diṭṭhamaṅgalika), pieno di alterigia e ira, e girovagava pronunciando il suono “huṃ huṃ.” Da qui il nomignolo.

Fonte: Dictionary of Pāli Proper Names • G.P. Malalasekera.

2: Brāhmaṇa: un membro della casta dei Bramini; un insegnante di Br. Nella terminologia buddhista, il termine B. è usato per indicare una persona che conduce una vita pura e ascetica, spesso anche sinonimo di arahant, colui o colei che raggiunto la liberazione.

Fonte: PTS Pali English Dictionary

3:Vedantagū: ‘colui che ha raggiunto il limite estremo, la fine (anta) della conoscenza (veda)‘, ovvero, colui che ha realizzato la perfezione della saggezza (PTS). Con il consueto gioco di parole, il Buddha prende a prestito concetti e termini propri dell’antica tradizione spirituale vedica, riadattandoli al suo messaggio liberatorio.

4:ussadā: “Escrescenze”, in senso metaforico: protuberanze dell’ego altezzosità, arroganza: bramosia, avversione, ignoranza, arroganza e visioni erronee.

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