
Ci sono tempi in cui la palude del senso comune tende a consolidarsi in isole, pretende di farsi arcipelago. Allora la navigazione dell’intelligenza si fa pericolosa perché si illude di poter navigare spedita tra queste isole, mentre ben presto vi si incaglia. Come altre grandi espressioni dell’intelligenza, anche gli insegnamenti del Buddha hanno subito le conseguenze di queste periodiche basse maree del pensiero.
In particolare, l’ampiezza con cui questi insegnamenti sono dilagati lungo le coste della cultura occidentale è stata per lo più accompagnata da una riduzione della loro profondità e purezza: l’oceano della tradizione buddhista ha rapidamente incrementato la sua espansione ad Ovest, ma in questo suo allargamento è finito anche a formare ampi specchi d’acqua che di “speculativo” non hanno nulla: vi galleggiano infatti frammenti di parole esotiche, frantumi di idee ridotte a formule evocative, residui di ragionamenti trasformati in piccole certezze.
In queste acque rese infide da relitti di superstizione e fatte opache da spiritualità in polvere, ogni riflessione è diventata impossibile. Per guadagnare profondità e chiarezza è necessario sottrarsi a simili basse maree e bassi fondali e riprendere il largo.
Nel caso della tradizione buddhista è il caso di ritornare ai luoghi originari, dove minimi siano i fremiti delle mode e i brusii della chiacchiera.
Contrariamente a quanto si crede il senso comune e a quanto fanno credere sedicenti “pensatori”, gli insegnamenti del Buddha sono stati e rimangono tra le forme più potenti e coerenti di “esercizio della ragione”: non solo per i risultati prodotti dal lavoro analitico sulla realtà interna ed esterna, ma anche per la loro costante attenzione nel porre i limiti della ragione stessa.
Tratto da:Illuminismo e Illuminazione,
Giangiorgio Pasqualotto.
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