Ārogyaparamā lābhā, Santuṭṭhiparamaṃ dhanaṃ;
Vissāsaparamā ñāti Nibbānaṃ nibbāṇaparamaṃ sukhaṃ.
La salute è il guadagno più alto, la contentezza la ricchezza maggiore, la persona affidabile è il miglior parente, il Nibbāna è la felicità suprema.
Dhammapada, 204
di Ajhan Brahmavamso
Da quando il buddhismo è diventato di moda, vi è la tendenza a modificare il senso del concetto di nibbāna per accontentare più persone. Le pressioni che nascono dalla popolarità piegheranno la verità per renderla più accomodante.
Gli insegnamenti vengono accolti positivamente quando dicono alle persone solo quello che esse vogliono sentire. Inoltre, la vanità induce alcuni insegnanti di Dhamma a spiegare cos’è il nibbāna in modalità che non mettano in discussione il loro stato non illuminato.
Tutto ciò sta portando alla banalizzazione dell’idea di nibbāna.
Nella letteratura buddhista moderna, leggiamo che l’illuminazione non è altro che una passiva sottomissione al modo in cui le cose sembrano essere (distinte dal modo in cui le cose sono veramente, percepibili quando uno ha sviluppato i jhāna), o che
l’incondizionato è semplicemente una sorta di ‘consapevolezza del momento presente’ facilmente accessibile, nella quale rientra ogni cosa – assolutamente tutto.
Oppure, che il “senza morte” è semplicemente una consapevolezza non-duale, un rifiuto di tutte le distinzioni e un’affermazione che “tutto è uno”, che tutto è bene.
L’obiettivo più alto del buddhismo (La liberazione) diventa quindi poco più che una “arte di vivere in un modo meno problematico”, una resa senza speranza agli alti e bassi della vita e una negazione del dukkha come inerente a tutte le forme di esistenza, come un prigioniero nevrotico che celebra la sua incarcerazione invece di cercare la via d’uscita.
Un simile Dhamma banalizzato, può sembrare accogliente e rassicurante, ma è una grossolana sottovalutazione del vero senso di nibbāna. E quelli che compreranno queste incantevoli distorsioni realizzeranno di aver preso una fregatura.
Tratto da: Mindfulness, Bliss and Beyond;
Traduzione italiana: Consapevolezza, beatitudine e oltre, Ubaldini editore.
Dumbing down Nibbāna
Health is the most precious gain,
contentment the greatest wealth.
A trustworthy person is the best kinsman,
Nibbana the highest bliss.
(Dhp 204)
Whenever Buddhism becomes fashionable, there is a tendency to change the meaning of nibbāna to suit more people. The pressures born of popularity will bend the truth to make it more accommodating. Teachings are very well received when they tell people only what they want to hear. Furthermore, vanity induces some Dhamma teachers to explain nibbāna in ways that do not challenge their own unenlightened state. This all leads to a dumbing down of nibbāna.
One can read in modern Buddhist literature that enlightenment is nothing more than a passive submission to the way things seem to be (as distinguished from the way things truly are, seen only after jhāna). Or that the unconditioned is merely the easily accessible mindfulness-in-the-moment, within which anything goes—absolutely anything.
Or that the deathless state is simply a nondual awareness, a rejection of all distinctions, and an affirmation that all is one and benign. The supreme goal of Buddhism then becomes little more than the art of living in a less troubled way, a hopeless surrender to the ups and downs of life, and a denial of dukkha as inherent in all forms of existence. It is like a neurotic prisoner celebrating his incarceration instead of seeking the way out. Such dumbed-down Dhamma may feel warm and fuzzy, but it is a gross understatement of the real nibbāna. And those who buy into such enchanting distortions will find they have bought a lemon.
– Ajahn Brahmavamso, Mindfulness, Bliss and Beyond
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