Dubbaṇṇiyasutta
(La bruttezza)
Presso Sāvatthi, al Jetavana…
Quindi il Sublime disse: “In passato, o monaci, un certo demone, brutto e deforme, si sedette sul trono di Sakka, Signore degli dèi. Così, o monaci, gli dèi del reame dei Trentatré si lamentavano e disperavano in questo modo: ‘E’ davvero assurdo, è davvero incredibile amici, che questo demone, così sgradevole ed insignificante, si sia insediato sul trono di Sakka, Signore degli dèi !’.
Ma tanto più gli dèi si lamentavano e disperavano in tal modo, tanto più quel demone diventava bello, piacevole alla vista, gradevole.
Quindi, o monaci, gli dèi si recarono da Sakka, Signore degli dèi, ed avendolo raggiunto gli dissero: ‘Proprio ora, o signore, un certo demone, dall’aspetto sgradevole e deforme, si è insediato sul vostro trono. E gli dèi, caro signore, si lamentano e disperano così :
“E’ davvero inconcepibile, è incredibile, che questo demone, così sgradevole ed insignificante, si sia insediato sul trono di Sakka, Signore degli dèi”.
Ma caro signore, più gli dèi si lamentano e disperano in tal modo, più quel demone diventa bello, piacevole alla vista, e gradevole. Caro Signore, sarà forse uno Yakkha che si nutre della rabbia?’.
Quindi, o monaci, Sakka, Signore degli dèi, si recò dove si trovava il demone che si nutre di rabbia, ed avendolo raggiunto portò il mantello su una sola spalla, si inchinò con il ginocchio destro a terra, e giungendo le mani verso il demone annunciò per tre volte il proprio nome:
‘Caro signore, Io sono Sakka, Signore degli dèi!, Illustre, io sono Sakka, Signore degli dèi!.’
E tanto più Sakka, Signore degli dèi, annunciava il proprio nome, tanto più il demone che si nutre di rabbia diventava sgradevole e piccolo, fino a scomparire del tutto.
Quindi monaci, Sakka, Signore degli dèi, essendosi seduto sul proprio trono, dopo aver rassicurato gli dei del reame dei trentatré, recitò questi versi:
“Il mio animo non si irrita facilmente,
difficilmente viene attratto dal vortice [della rabbia].
Non rimango mai arrabbiato con voi a lungo,
La collera non persiste a lungo in me”.
“Quando sono arrabbiato, non profferisco parole violente,
evitando di manifestare i miei stati mentali [alterati];
Coltivo l’autocontrollo,
avendo in vista il mio benessere.”
saṃyutta nikāya 11
3. tatiyavagga
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