Il Karma nel Buddhismo

“Il karma, monaci, deve essere compreso, l’origine del Karma deve essere compresa, la varietà del karma deve essere compresa, i risultati del karma devono essere compresi, la cessazione del karma deve essere compresa, il sentiero che conduce alla cessazione del karma deve essere compreso.

1. Monaci, è l’intenzione che io definisco Karma. Essendo sorta un’intenzione, uno agisce tramite il corpo, la parola e la mente.

2.E qual è l’origine del karma? Il contatto è l’origine del karma.

3.E cos’è la varietà del karma? Vi è, o monaci, un karma [i cui risultati] sono sperimentati nel reame infernale, un karma [i cui risultati] sono sperimentati nel reame animale, un karma [i cui risultati] sono sperimentati nel reame degli spiriti famelici, un karma [i cui risultati] sono sperimentati nel reame umano, un karma [i cui risultati] sono sperimentati nel reame divino. Questo, monaci, è la varietà del Karma.

4. E qual è il risultato del karma? Monaci, io affermo che il risultato del karma è triplice: in questa stessa vita, nella successiva, o in qualche altra esistenza.

5. E cos’è la cessazione del Karma? cessando il contatto, cessa il karma; ed è proprio questo Nobile Ottuplice Sentiero la pratica che conduce alla cessazione del karma, ovvero: la retta visione, la retta intenzione, la retta parola, retta azione, retto stile di vita, la retta applicazione, la retta consapevolezza ed il retto raccoglimento.”

– Nibbedhikasutta, AN 6.63

Il termine sanscrito Karma, il cui equivalente pali è Kamma, deriva dalla radice verbale ‘kṛ’, simile all’italiano ‘cr’ in termini quali creare, creazione eccetera; il significato letterale è quindi di azione, atto, attività. Tuttavia, nell’ambito del Buddha-Dharma, questo termine ha assunto il significato di azione intenzionale, un’intenzione ad agire generata sulla base delle tre radici non salutari di attrazione, avversione e ignoranza:

“Monaci, vi sono tre cause per il prodursi del Kamma: Quali tre? Il desiderio è causa per il prodursi del kamma, l’avversione è causa per il prodursi del kamma, l’ignoranza è causa per il prodursi del kamma.”

– Nidānasutta, AN 3.34

Questa atto rivoluzionario del Buddha è mirabilmente espresso nel seguente dialogo fra la monaca Punnika ed un bramino impegnato nelle pratiche rituali per l’accumulazione del kamma positivo:

“Chi insegna questo, ignorante agli ignoranti— ‘Ci si libera, attraverso le abluzioni con acqua, del cattivo karma?’ Allora, rinasceranno nei mondi celesti: rane, tartarughe, serpenti, coccodrilli e tutte le creature che vivono nell’acqua. Macellai, pescatori, cacciatori, ladri, assassini, potrebbero, con le abluzioni con acqua, liberarsi dal cattivo karma.

Se questi fiumi portassero via il cattivo karma compiuto nel passato, porterebbero via anche i meriti, e quindi saremmo completamente abbandonati a noi stessi.
[…]Se hai paura del dolore, se non ti piace il dolore, allora non compiere alcun karma nocivo, sia in segreto che in pubblico. Ma se compirai un karma nocivo, non sarai libero dal dolore, quando lascerai questa vita”.

– Therīgāthā 12.1

La visione buddhista del Kamma

Prima dell’avvento del Buddhismo, il termine karma indicava quelle attività rituali, quali i sacrifici e le cerimonie di offerta rituale agli Dei, capaci di produrre il risultato desiderato dall’officiante, grazie al potere delle divinità propiziate ritualmente.

In seguito, nel bramanesimo, il concetto di Karma assunse il significato più ampio di legge di causa ed affetto, attribuito a tutte le azioni, rituali e non, producenti un qualche risultato, positivo o negativo, in questa vita o nelle prossime.
Come già accennato, il Buddha rivoluzionò il concetto di Karma ridefinendolo nei termini di cetanā, intenzioni, scelte o azioni intenzionali, che una volta messe in atto daranno forma all’essere (Bhava) soggettivo, all’Io-Mio.

Tali intenzioni, tali scelte ed azioni sono paragonate ad un campo fertile nel quale ciascun individuo seminerà, più o meno inconsciamente, i semi del proprio successo o fallimento:

“Perciò Ānanda, l’intenzione è il campo fertile, la cognizione il seme e la sete il fertilizzante.”

Paṭha­ma­bhava­sutta, AN 3.6

Nel Kammanirodhasutta, il Buddha definisce questa nostra esistenza nei termini del manifestarsi delle sedi dei sensi sulla base del karma compiuto in precedenza, detto in gergo ‘vecchio karma’ (purāṇakamma),  spiegando allo stesso tempo che con nuovo karma sono da intendersi quelle azioni compiute in risposta agli stimoli sensuali percepiti tramite quegli stessi organi sensoriali, determinanti a loro volta la nostra situazione esistenziale presente e futura. Nel primo caso, con il termine vecchio karma si intende più che altro il risultato del karma precedentemente compiuto, mentre con nuovo karma sono da intendersi la attività generanti risultati nel futuro, oltreché nel presente.

In questo modo, viene a configurarsi un circolo vizioso in cui le nostre azioni vanno a determinare il manifestarsi di una nuova unità psicofisica provvista delle sei sedi dei sensi, attraverso le quali si sperimentano quegli stimoli sensoriali in risposta ai quali vengono compiute nuove azioni determinanti a loro volta una nuova configurazione esistenziale in cui non è possibile sperimentare alcuna pace duratura…

“Cos’è, o monaci, il vecchio karma? L’occhio, o monaci, è il vecchio karma, costruito sulla base delle intenzioni, di cui è possibile fare esperienza; la lingua è il vecchio karma, costruito sulla base delle intenzioni, di cui possibile fare esperienza […] l’intelletto è il vecchio karma, costruito sulla base delle intenzioni, di cui possibile fare esperienza.”

“E cos’è, o monaci, il Karma nuovo? Quelle azione che, o monaci, vengono compiute nel presente attraverso il corpo,la parola e la mente, questo, o monaci, è detto essere il Karma nuovo.”

-Nava­purā­ṇa­vagga, SN 35.146.

Cognizione, pensiero, emozione ed intenzione: 

Nei testi pali, vi sono differenti termini tecnici impiegati per designare la mente; fra questi, i più importanti sono viññāṇa (cognizione), mano (mente), citta (cuore) e cetanā, intenzione.  La differenza fra questi quattro è sottile, e spesso vengono impiegati in maniera intercambiabile; ciò ha portato ad una certa confusione fra gli studiosi e i praticanti.

In generale, con viññāṇa si intende la primissima fase del processo cognitivo, mentre con mano la successiva elaborazione concettuale; mano infatti deriva dalla radice verbale ‘man’, pensare. Con mano si intende quindi l’elaborazione mentale dei dati sensoriali dei cinque sensi. Il terzo termine, citta, spesso tradotto in italiano con ‘mente-cuore’ si riferisce alla reazione emotiva sorta in base al pensiero concettuale. Infine, con cetanā si intende l’ultima fase del processo mentale: la scelta: sulla base di quanto esperito attraverso le sei coscienze, la elaborazione mentale e la successiva reazione emozionale, l’individuo sceglie di agire in accordo al proprio stato d’animo.

Opinioni erronee sul Karma

Fra le molte opinioni distorte riguardanti il concetto di kamma, vi è quella secondo la quale “ogni cosa è determinata dal Kamma”, che “Tutto è kamma”. Questa idea distorta è supportata da letture incaute e parziali di affermazioni contenute in alcuni discorsi come la seguente:

“Monaci, gli esseri sono i padroni del proprio karma, gli eredi del kamma; Il kamma è il loro progenitore, il parente stretto, il rifugio. Qualunque atto compiuto – salutare o nocivo – esso diventerà il loro rifugio.” 

-Saṃsappanīyasutta, AN 10.216

Tuttavia, ciò non significa affatto che il kamma sia l’unico fattore determinante la buona e cattiva sorte degli esseri. Il seguente brano, tratto da un dialogo fra il Buddha ed un asceta di nome Moḷiyasīvaka, offre una chiara indicazione su quale fosse la visione del Risvegliato in merito a questo punto di vista estremo:

“Vi sono, Venerabile Gotama, alcuni asceti e bramini che insegnano tale dottrina, tali punto di vista: ‘Qualunque cosa un individuo sperimenti come piacevole, doloroso o neutro, tutto ciò è determinato dal [karma]precedente. Ora, cosa ne pensa il Venerabile Gotama?”

“Alcune esperienze, o Sīvaka, sorgono in relazione ai disordini dell’umore bile, alcune per via dell’umore flemma…dell’umore vento..o per la combinazione di queste tre..o per il cambio di stagione..per la mancanza di cura di sé..o per attacchi dall’esterno…o come risultato delle azioni.”

“Sīvaka, che alcune esperienze sorgano come risultato dell’umore bile..dell’umore flemma..dell’umore vento…o per la combinazione di queste tre…o per il cambio di stagione…per la mancanza di cura di sé..o per attacchi dall’esterno…o come risultato delle azioni, è una cosa che ognuno può osservare da sé, e ciò è considerato come vero nel mondo. Ora, quando quegli asceti e quei bramini predicano tale dottrina e punto di vista quale: ‘Qualunque cosa un individuo sperimenti come piacevole, doloroso o neutro, tutto ciò è determinato dal [karma]precedente’, essi oltrepassano ciò che è conoscibile da sé stessi travalicando ciò che è considerato vero nel mondo. Pertanto, io dico quegli asceti e bramini sono in errore”.

L’abbandono del Kamma e la fine della sofferenza

Tuttavia, non bisogna pensare che quello dell’abbandono delle attività intenzionali sia un problema di natura esclusivamente etica; al contrario, come evidenziato in precedenza, per il Buddha l’enfasi è posta sulla natura squisitamente psicologica del kamma, e lo stretto legame fra esso e gli stati afflittivi:

“Ora, Udāyi, un monaco coltiva il fattore risvegliante della consapevolezza sulla base dell’indipendenza, del distacco dalle passioni, dell’abbandono, del lasciar andare;[Una consapevolezza] estesa, vasta, senza limiti, priva di malevolenza. Ed in colui che ha coltivato un simile consapevolezza la ‘sete’ è abbandonata. Con l’abbandono della sete, il kamma è dissolto. Con la dissoluzione del Kamma la sofferenza è abbandonata. 

-Taṇhakkhayasutta SN 46.26

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