Assutavāsutta: L’inesperto

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Saṃyutta nikāya 12.7

Evaṃ me sutaṃ: ekaṃ samayaṃ bhagavā sāvatthiyaṃ viharati jetavane anāthapiṇḍikassa ārāme. Tatra kho bhagavā bhikkhū āmantesi bhikkhavo’ti. Bhadante’ti te bhikkhū bhagavato paccassosuṃ. Bhagavā etadavoca:

Così ho udito: In una certa occasione il Sublime dimorava a Sāvatthi, nel bosco Jeta, presso il monastero di Anāthapindika. Quindi, il sublime si rivolse ai monaci: “Monaci!”. “Signore”, risposero quei monaci al Sublime. Ed il Sublime parlo così:

“Assutavā bhikkhave, puthujjano imasmiṃ cātummahābhūtikasmiṃ1 kāyasmiṃ nibbindeyya’pi virajjeyya’pi vimucceyya’pi. Taṃ kissa hetu: dissati bhikkhave, imassa cātummahābhūtikassa kāyassa ācayo’pi apacayo’pi ādānampi nikkhepanampi.2 Tasmā tatrāssutavā puthujjano nibbindeyya’pi virajjeyya’pi vimucceyya’pi.

“Monaci, è possibile che l’inesperto uomo comune possa sviluppare il disincanto, il distacco e la libertà in riguardo a questo corpo composto dai quattro grandi elementi; Per quale ragione? Per via del fatto che è possibile osservare in tale corpo una crescita ed un declino, l’appropriazione e l’abbandono. Perciò, l’inesperto uomo comune potrebbe sviluppare il disincanto, il distacco dalle passioni e la liberazione.

Yaṃ ca kho etaṃ bhikkhave, vuccati cittaṃ itipi mano itipi viññāṇaṃ itipi, tatrāssutavā puthujjano nālaṃ nibbindituṃ, nālaṃ virajjituṃ, nālaṃ vimuccituṃ. Taṃ kissa hetu? Dīgharattaṃ hetaṃ bhikkhave, assutavato puthujjanassa ajjhositaṃ mamāyitaṃ parāmaṭṭhaṃ etaṃ mama esohamasmi eso me attāti. Tasmā tatrāssutavā puthujjano nālaṃ nibbindituṃ, nālaṃ virajjituṃ, nālaṃ vimuccituṃ.

Tuttavia, è difficile che un’inesperto uomo comune possa sviluppare il disincanto, il distacco e l’affrancamento in riguardo a ciò che è chiamato cuore, mente o cognizione. E per quale ragione? Per lungo tempo, o monaci,l’inesperto uomo comune ha afferrato, accudito e considerato ciò così: ‘questo è mio, ciò sono io, questo è il mio sè’  Per questa ragione, l’inesperto uomo comune è incapace di sviluppare il disincanto, il distaccoe l’affrancamento.

Varaṃ bhikkhave, assutavā puthujjano imaṃ cātummahābhūtikaṃ kāyaṃ attato upagaccheyya, natveva cittaṃ. Taṃ kissa hetu: dissatāyaṃ bhikkhave, cātummahābhūtiko kāyo ekampi vassaṃ tiṭṭhamāno, dve’pi vassāni tiṭṭhamāno, tīṇi’pi vassāni kiṭṭhamāno, cattārī’pi vassāni tiṭṭhamāno, pañca’pi vassāni tiṭṭhamāno, dasa’pi vassāni tiṭṭhamāno, vīsati’pi vassāni tiṭṭhamāno, tiṃsampi vassāni tiṭṭhamāno, cattārīsampi vassāni tiṭṭhamāno, paññāsampi vassāni tiṭṭhamāno, vassasatampi tiṭṭhamāno bhīyyo’pi tiṭṭhamāno. 

Monaci, sarebbe meglio per l’inesperto uomo comune di afferrare questo corpo composto dai quattro grandi elementi come il proprio sé, piuttosto che la mente-cuore. E per quale ragione? Perché è possibile osservare questo corpo permanere per un anno, per due anni, per tre, quattro, cinque, dieci, venti,trenta,quaranta,cinquanta, cento anni ed anche di più.

Yañca kho etaṃ bhikkhave vuccati cittaṃ itipi mano itipi viññāṇaṃ itipi. Taṃ rattiyā ca divasassa ca aññadeva uppajjati aññaṃ nirujjhati.

Mentre, o monaci, ciò che è chiamato mente-cuore, o mente ed anche cognizione, dal giorno alla notte si manifesta in un modo e si svanisce in un altro.

Seyyathāpi, bhikkhave, makkaṭo araññe pavane caramāno sākhaṃ gaṇhati, taṃ muñcitvā aññaṃ gaṇhati, taṃ muñcitvā aññaṃ gaṇhati; evameva kho, bhikkhave, yamidaṃ vuccati cittaṃ itipi, mano itipi, viññāṇaṃ itipi, taṃ rattiyā ca divasassa ca aññadeva uppajjati aññaṃ nirujjhati. 

Proprio come una scimmia che, girovagando per la foresta afferrasse un ramo, e dopo averlo lasciato ne afferrasse un altro, e dopo averlo lasciato ne afferrasse un altro ancora:allo stesso modo, o monaci, ciò che è chiamato mente-cuore, mente o cognizione, dal giorno alla notte sorge in un modo e si dissolve in un altro.

Tatra, bhikkhave, sutavā ariyasāvako paṭiccasamuppādaṃyeva sādhukaṃ yoniso manasi karoti: ‘iti imasmiṃ sati idaṃ hoti, imassuppādā idaṃ uppajjati; imasmiṃ asati idaṃ na hoti, imassa nirodhā idaṃ nirujjhati — yadidaṃ:

In questo contesto, o monaci, l’esperto nobile discepolo, contempla attentamente e con saggia introspezione l’origine dipendente in questo modo: ‘Con la presenza di questo, quello si manifesta, con il sorgere di questo, sorgerà quello; con l’assenza di questo, non vi sarà quello, con lo svanire di questo, svanirà anche quello, ovvero: 

avijjāpaccayā saṅkhārā;saṅkhārapaccayā viññāṇaṃ  pe  evametassa kevalassa dukkhakkhandhassa samudayo hoti. 

L’ignoranza condiziona le intenzioni; le intenzioni condizionano la cognizione; la cognizione condiziona lo psicosoma; lo psicosoma condiziona la sestuplice facoltà sensoriale; la sestuplice facoltà sensoriale determina il contatto; il contatto determina il sentire; il sentire determina la sete; la sete determina l’attaccamento; l’attaccamento determina l’esistere; l’esistere determina la nascita; la nascita determina decadimento e morte, e così, angoscia e disperazione,  dolore, sofferenza e turbamento vengono a manifestarsi. Ed è in questo modo che l’intera massa della sofferenza esistenziale ha origine.

Avijjāya tveva asesavirāganirodhā saṅkhāranirodho; saṅkhāranirodhā viññāṇanirodho  pe  evametassa kevalassa dukkhakkhandhassa nirodho hotī’ti.

Ma con il completo svanire e la cessazione dell’ignoranza cessano le intenzioni; con la cessazione delle intenzioni cessa la cognizione; con la cessazione della cognizione cessa lo psicosoma; con la cessazione del psicosoma cessa la sestuplice facoltà sensoriale; con la cessazione della sestuplice facoltà sensoriale cessa il contatto; con la cessazione del contatto cessa il sentire; con la cessazione del sentire cessa la sete; con la cessazione della sete cessa l’attaccamento; con la cessazione dell’attaccamento cessa l’esistere; con la cessazione dell’esistere cessa la nascita; con la cessazione della nascita cessano decadimento e morte, e così, angoscia e disperazione, dolore e sofferenza e turbamento si dissolvono. Ed è in questo modo che l’intera massa della sofferenza esistenziale viene a cessare.

Evaṃ passaṃ, bhikkhave, sutavā ariyasāvako rūpasmimpi nibbindati, vedanāyapi nibbindati, saññāyapi nibbindati, saṅkhāresupi nibbindati, viññāṇasmimpi nibbindati; nibbindaṃ virajjati, virāgā vimuccati, vimuttasmiṃ vimuttamiti ñāṇaṃ hoti.

Contemplando ciò, l’esperto nobile discepolo sperimenta disincanto in relazione alla materia, al sentire, alla percezione, alle intenzioni ed alla cognizione. Disincantato prova distacco, distaccato sperimenta libertà. In relazione alla liberazione, egli sa: ‘Libertà’.

‘Khīṇā jāti, vusitaṃ brahmacariyaṃ, kataṃ karaṇīyaṃ, nāparaṃ itthattāyā’ti pajānātī”ti.

Ed egli ciò riconosce: ‘esausta è la nascita, completata la disciplina spirituale, fatto ciò che era da fare, non vi sarà più alcun ulteriore rinascita’”.

 

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