Nibbindati: il disincanto

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“Sabbe saṅkhārā aniccā”ti,
yadā paññāya passati;
Atha nibbindati dukkhe,
esa maggo visuddhiyā.

“Tutti i condizionanti sono instabili”,
Contemplando ciò con saggezza,
egli prova disincanto in riguardo alla sofferenza.
Questo è il sentiero della purezza.

“Sabbe saṅkhārā dukkhā”ti,
yadā paññāya passati;
Atha nibbindati dukkhe,
esa maggo visuddhiyā.

“Tutti i condizionanti [instabili] sono spiacevoli”,
Contemplando ciò con saggezza,
egli prova disincanto in riguardo alla sofferenza.
Questo è il sentiero della purezza.

“Sabbe dhammā anattā”ti,
yadā paññāya passati;
Atha nibbindati dukkhe,
esa maggo visuddhiyā.

“Tutti i fenomeni condizionati sono non-sé”,
Contemplando ciò con saggezza,
egli prova disincanto in riguardo alla sofferenza.
Questo è il sentiero della purezza.

Dhammapada 277-279

Etimologia:

Il locativo Nibbindati è composto dal prefisso ‘nis’ (Nir), ‘via da’, ‘mettere giù’, e dal verbo ‘vindati’, derivante a sua volta dalla radice verbale ‘Vid’, ‘trovare’, ‘godere di’. In Pali, in accordo alla regola del sandhi, quando un verbo che inizia con la consonante ‘V’ è preceduto da un prefisso che termina per ‘R’, le due lettere si fondono in un unico ‘BB’.Così, Nir+Vindati diventa ‘Nibbindati’.

Significato astratto o Dharmico

Nibbindati è quindi tradotto letteralmente come ‘disincantato’ ‘Stanco di’, ‘disgustato da’, ‘insoddisfatto di’.
Il senso dei versi tratti dal Dhammapada qui presentati è che la persona che contempla saggiamente i condizionanti (saṅkhārā) ed i fenomeni da essi condizionati (dhammā) come instabili (aniccā), insoddisfacenti (dukkhā) e incontrollabili in quanto prodotti da cause e condizioni non governabili dall’individuo  (anattā), svilupperà un atteggiamento di disincanto o disinteresse nei confronti di quei fenomeni quali l’attaccamento causa di sofferenza (dukkha).

Da questa prospettiva, l’attaccamento è visto come il trattenere e rimuginare mentalmente un dato pensiero, serie di pensieri o emozioni, la cui tossicità è aumentata esponenzialmente proprio dal ristagno nella mente prodotto dall’attaccamento.

Il disincanto è paragonabile al disinteresse sperimentato dal bambino nei confronti dei propri giocattoli durante la crescita, ed è determinato, come detto in precedenza, dalla presa di coscienza da parte del praticante della natura precaria, stressante e fuori dal proprio controllo di ogni esperienza.

Questi tre aspetti di precarietà, insoddisfazione e assenza di controllo sono intimamente connessi l’un l’altro; la comprensione della precarietà e dell’incertezza porterà alla percezione della natura insoddisfacente e frustrante, e di conseguenza alla realizzazione che nulla è davvero sotto il controllo dell’individuo, che non vi è niente che in definitiva può essere controllato a proprio piacimento, in quanto, ogni cosa è il prodotto interdipendente di cause e condizioni sulle quali l’individuo ha un libero arbitrio, una facoltà decisionale ed un potere d’intervento molto limitate.

Saṅkhārā e dhammā: determinanti e determinati:

Saṅkhārā è un termine composto dal prefisso ‘saṅ’, insieme, e dal sostantivo ‘khārā’, ‘fare’; Saṅkhārā indica quindi ciò che forma, ciò che determina, ciò che costruisce, predispone o condiziona, e non, come spesso si dice, ciò che è determinato, composto , costruito o formato; Il termine pali/sanscrito per indicare ciò è composto, costruito è Saṅkhata, (con il suffisso -TA ) che è il participio passato del verbo saṅkharoti, dalla quale deriva anche lo stesso termine Saṅkhārā.

l’affermazione ‘Sabbe saṅkhārā aniccā’ti’ non significa quindi che tutti i fenomeni composti sono impermanenti, ma bensì che tutti i determinanti/condizionanti sono instabili, precari.

Il termine saṅkhārā assume diversi significati in diversi contesti in cui viene utilizzato. In senso generale, i fenomeni determinanti sono quegli elementi, quei fattori, quegli aspetti, positivi e negativi, che hanno la facoltà, la funzione di rendere un particolare oggetto gradevole, sgradevole, o indifferente ai nostri occhi, Un saṅkhāra è quindi ciò che determina, condiziona o influenza in qualche modo qualcos’altro.

Significati specifici: i cinque aggregati

Nell’ambito dei cinque aggregati psicofisici costituenti la persona, con saṅkhārā si intendono l’insieme delle intenzioni relative alle sei facoltà sensoriali e ai rispettivi oggetti sorti sulla base del contatto fra questi due:

“Katame ca, bhikkhave, saṅkhārā? Chayime, bhikkhave, cetanākāyā—rūpasañcetanā, saddasañcetanā, gandha­sañ­cetanā, rasasañcetanā, ­phoṭṭhab­ba­sañ­cetanā, dhamma­sañ­cetanā. Ime vuccanti, bhikkhave, saṅkhārā. Phassasamudayā saṅ­khā­ra­sa­mudayo; phassanirodhā saṅ­khā­ra­nirodho.”

“E cosa sono, o monaci, i saṅkhārā? O monaci, I sei gruppi di intenzioni, intenzioni relative agli oggetti, intenzioni relative agli odori, intenzioni relative al gusto, intenzioni relative al tatto, intenzioni relative agli oggetti mentali. Questi o monaci, sono detti saṅkhārā. Con il contatto sorgono i saṅkhārā, con lo svanire del contatto, svaniscono anche i saṅkhārā.”

-Upādā­na­pari­pa­vat­ta­sutta, SN 22.56

In questo contesto quindi, saṅkhārā è sinonimo di intenzioni (cetanā) , ovvero di quelle attività mentali la cui funzione è di incitare e indirizzare le nostre azioni, determinando così le nostre dinamiche esistenziali.

La funzione dei condizionanti è quindi quella di creare le condizioni per il manifestarsi della coscienza o processo cognitivo, che essendo condizionata dai condizionanti, a loro volta sorti sulla base di una mente corrotta dall’ignoranza,  sarà di conseguenza un processo cognitivo distorto che vede un sé o io sostanziale dove invece vi sono solo dei processi dinamici e contingenti. La funzione dei saṅkhārā è esposta nel Khajjaniya Sutta:

“Kiñca bhikkhave, saṃkhāre vadetha? saṃkhataṃ abhisaṃkharontīti bhikkhave, tasmā saṃkhārāti vuccanti. Kiñca saṅ­kha­ta­mabhi­saṅ­kha­ronti? Rūpaṃ rūpattāya saṅ­kha­ta­mabhi­saṅ­kha­ronti, vedanaṃ vedanattāya saṅ­kha­ta­mabhi­saṅ­kha­ronti, saññaṃ saññattāya saṅ­kha­ta­mabhi­saṅ­kha­ronti, saṅkhāre saṅkhārattāya saṅ­kha­ta­mabhi­saṅ­kha­ronti, viññāṇaṃ viññāṇattāya saṅ­kha­ta­mabhi­saṅ­kha­ronti. Saṅ­kha­ta­mabhi­saṅ­kha­ron­tīti kho, bhikkhave, tasmā ‘saṅkhārā’ti vuccati.”

“Perché, o monaci vengono chiamati saṃkhāra? condizionano ciò che è condizionato, perciò sono chiamati condizionanti. E quali fenomeni condizionati essi condizionano? Condizionano Il fenomeno condizionato del corpo proprio come corpo, condizionano il fenomeno condizionato delle sensazioni proprio come sensazioni, condizionano il fenomeno condizionato delle percezioni proprio come percezioni, condizionano il fenomeno condizionato delle intenzioni proprio come intenzioni, condizionano il fenomeno condizionato della coscienza proprio come coscienza.” 

-Khaj­ja­nīya­sutta, SN 22.79

Di contro, i dhammā, al plurale (e senza maiuscole!) sono i fenomeni condizionati o letteralmente ‘costruiti’ dai saṅkhārā mentali dell’individuo. Detto in altre parole, il modus percipiendi soggettivo dei fenomeni (dhammā) da parte di una mente condizionata dall’ignoranza è determinato proprio dalle intenzioni, come spiegato negli insegnamenti buddhisti sull’origine dipendente:

“Avijjāpaccayā saṅkhārā;saṅkhārapaccayā viññāṇaṃ  pe  evametassa kevalassa dukkhakkhandhassa samudayo hoti.” 

“L’ignoranza condiziona le intenzioni; le intenzioni condizionano la cognizione; la cognizione condiziona lo psicosoma; lo psicosoma condiziona la sestuplice facoltà sensoriale; la sestuplice facoltà sensoriale determina il contatto; il contatto determina il sentire; il sentire determina la sete; la sete determina l’attaccamento; l’attaccamento determina l’esistere; l’esistere determina la nascita; la nascita determina decadimento e morte, e così, angoscia e disperazione,  dolore, sofferenza e turbamento vengono a manifestarsi. Ed è in questo modo che l’intera massa della sofferenza esistenziale ha origine.”

Note:

*Leggasi:
“Tutti i fenomeni condizionati [da condizionanti precari ed insoddisfacenti] sono non-sé, ovvero, fuori dal dominio soggettivo dell’individuo.

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