
L’aggettivo pāli suñña, tradotto in italiano con vuoto, e il sostantivo suññatā (vacuità) assumono significati diversi a seconda del contesto.
Tipi di vacuità
In accordo ai discorsi del canone pāli vi sono tre significati associati al termine suñña:
1.Il vuoto come assenza di un sé sostanziale, padrone degli eventi interni ed esterni;
2.Il vuoto come assenza di emozioni perturbanti e pensiero discorsivo durante gli stati avanzati di raccoglimento (suññato -samadhi);
3. Il vuoto come consapevolezza liberante circa la vera natura delle cose (suññatācetovimutti).
1.Il vuoto come assenza di un sé autonomo
Il primo significato di vacuità sta ad indicare la reale modalità di esistenza dell’individuo, il suo essere per natura privo di qualcosa: nella fattispecie, l’individuo è definito come privo di un sé esistente in modo autonomo capace di esercitare la facoltà di dominio assoluto su se stesso e gli oggetti esterni:
“Sedendo accanto al Sublime, il venerabile Ananda chiese: ‘Il mondo è vuoto, il mondo è empio’, così si dice; ma in che senso, Signore, è possibile affermare che il mondo è vuoto?”
“Ananda, nella misura in cui esso è vuoto di sé e di ciò che riguarda il sé, in questo senso il mondo è definito vuoto”.
“L’occhio, Ananda, è vuoto di sé e di ciò che appartiene al sé; le immagini sono vuote di sé e di ciò che appartiene al sé.. la coscienza visiva è vuota di sé e di ciò che appartiene a sé; Il contatto visivo è vuoto di sé e di ciò che appartiene al sé; qualunque sensazione sorta sulla base del contatto visivo, piacevole, spiacevole, o neutra, è vuota di sé o di ciò che appartiene al sé..” [1]
In questo senso, il concetto di vacuità è strettamente legato a quello di non-sé; d’alto canto, se l’esperienza fosse effettivamente sotto il dominio ed il libero arbitrio di un sé , allora, come chiosa il Buddha in un suo celebre discorso l’individuo potrebbe manipolare i suoi aggregati a proprio piacimento:
“Il corpo, o monaci, è non-sé; la sensazione..la percezione..l’intenzione, la cognizione sono non-sé; se, o monaci, la cognizione fosse sé, essa non condurrebbe all’afflizione, e in riguardo alla cognizione si potrebbe ottenere: ‘che questa mia cognizione sia/diventi così, che questa mia cognizione non sia/diventi così’; ma siccome la cognizione è non-sé, essa conduce all’afflizione[2], e dalla cognizione non è possibile ottenere: ‘che questa mia cognizione sia così, che questa mia cognizione non sia così'” [2a].
2. Il vuoto come spaziosità nella meditazione profonda
In secondo luogo, suññatā sta ad indicare il progressivo svuotamento della mente dalle percezioni caratteristico delle fasi avanzate della meditazione profonda (samadhi):
“In passato, così come nel presente, io dimoro prevalentemente nello stato del vuoto.
proprio come questa magione della madre di Migara è vuoto di elefanti, vacche, cavalli e giumente, vuoto di oro ed argento, vuoto di assembramenti di donne e uomini; ma solamente di una cosa non è vuoto, ovvero, dell’unità dell’ordine dei monaci.
Allo stesso modo, Ananda, un monaco, senza dare attenzione alla percezione del villaggio, senza dare attenzione alla percezione degli esseri umani, focalizza la propria attenzione in quell’univocità dipendente dalla percezione della foresta; la sua mente diventa zelante, fiduciosa, stabile ed intenta verso tale percezione della foresta.
Ed egli realizza: ‘In questo stato non vi è stress dipendente dalla percezione del villaggio, né vi è stress dipendente dalla percezione delle genti; vi è solo una minima quantità di stress relativo a quell’univocità dipendente dalla percezione della foresta’”. [3]
3. il vuoto come consapevolezza liberante
Infine, nella sua fase più alta, la realizzazione della vacuità indica il riconoscimento della natura effimera e illusoria di ogni fenomeno del mondo manifesto, realizzazione a cui potrà pervenire quel praticante che ha coltivato in profondità la consapevolezza-saggezza:
“Mogharaja, sii sempre consapevole, e considera questo mondo come vuoto; abbandonando l’errata visione del Sé, la morte viene trascesa. Chi contempla il mondo in questo modo, diverrà invisibile al re della morte. “[4]
Questa realizzazione avrà come risultato la liberazione del cuore dalla contaminazioni causa di sofferenza:
Note:
(Suññalokasuttaṃ, SN 35.85)
“Incostante, Signore”.
“Ma ciò che è incostante, è soddisfacente o insoddisfacente?”
“Insoddisfacente, Signore”.
“Ma ciò che è incostante, insoddisfacente, soggetto alla legge naturale della dissoluzione, è forse saggio considerarlo nei termini di ‘Questo è mio, questo sono Io, questo è il mio Sé?'”
“No di certo, Signore”.
3. Pubbepāhaṃ, ānanda, etarahipi suññatāvihārena bahulaṃ viharāmi. Seyyathāpi, ānanda, ayaṃ migāramātupāsādo suñño hatthigavassavaḷavena, suñño jātarūparajatena, suñño itthipurisasannipātena atthi cevidaṃ asuññataṃ yadidaṃ— bhikkhusaṃghaṃ paṭicca ekattaṃ; evameva kho, ānanda, bhikkhu amanasikaritvā gāmasaññaṃ, amanasikaritvā manussasaññaṃ, araññasaññaṃ paṭicca manasi karoti ekattaṃ. Tassa araññasaññāya cittaṃ pakkhandati pasīdati santiṭṭhati adhimuccati.
So evaṃ pajānāti: ‘ye assu darathā gāmasaññaṃ paṭicca tedha na santi, ye assu darathā manussasaññaṃ paṭicca tedha na santi, atthi cevāyaṃ darathamattā yadidaṃ— araññasaññaṃ paṭicca ekattan’ti. (MN 121)
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