
“Monaci, prima di pervenire al risveglio, non avendo ancora realizzato il risveglio ma anelando ad esso, questa consapevolezza sorse in me: Questo mondo è caduto in disgrazia, si nasce, si invecchia e si muore, si trapassa e si risorge, ma non si conosce alcuna via d’uscita da questa sofferenza di decadimento e morte. Chi mai renderà nota tale via d’uscita da questa sofferenza di decadimento e morte?”
-Gotama Sutta, SN 12.10
“Così, monaci, essendo io stesso soggetto alla nascita, avendo compreso il pericolo in ciò che è soggetto alla nascita, e cercando la non nata suprema libertà dai legami, il Nibbana, realizzai quella non nata suprema libertà dai legami, il Nibbana;
essendo io stesso soggetto all’invecchiamento, avendo compreso il pericolo in ciò che è soggetto all’invecchiamento, cercando quella suprema libertà dai legami non soggetta all’invecchiamento, il Nibbāna, realizzai quella suprema libertà dai legami non soggetta all’invecchiamento, Nibbāna;
essendo io stesso soggetto alla malattia, avendo compreso il pericolo in ciò che è soggetto alla malattia, cercando quella suprema libertà dai legami non soggetta alla malattia, il Nibbāna, realizzai quella suprema libertà dai legami non soggetta alla malattia, il Nibbāna;
essendo io stesso soggetto alla morte, avendo compreso il pericolo in ciò che è soggetto alla morte, cercando l’immortale suprema libertà dai legami, il Nibbāna, realizzai l’immortale suprema libertà dai legami, il Nibbāna;
essendo io stesso soggetto al dolore, avendo compreso il pericolo in ciò che è soggetto al dolore, cercando la suprema libertà dai legami priva di dolore, il Nibbāna, realizzai la suprema libertà dai legami priva di dolore, il Nibbāna;
MN 26
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Il Buddha affermò di aver raggiunto lo stato del non-nato (ajatam) , del non- invecchiamento (ajaram), e della non-morte (amatam); tuttavia, la persona comune vede i Buddha e gli arahant nascere, invecchiare e morire proprio come gli altri.
Dunque, qual è la differenza fra le persone comuni e i Buddha? Per semplicità, prenderemo per prima cosa in esame l’invecchiamento. La definizione di invecchiamento è data dal Buddha stesso nei sutta in questo modo:
“Ma cosa sono, o monaci, invecchiamento e morte? Ciò che a questi o quegli esseri, di questa o quella specie di esseri è decadimento, invecchiamento, caduta dei denti, incanutirsi dei capelli, comparsa delle rughe, accorciarsi della vita e decadimento delle facoltà sensoriali, ciò è detto invecchiamento”.
-Saṃyutta Nikāya 12 1. Buddhavagga
In questa definizione, la cosa importante è che l’invecchiamento è definito in relazione al concetto di ‘essere’, in pali ‘satta’. Il termine satta, ‘essere’ o ‘creatura’, si riferisce ai cinque aggregati soggetti all’afferrarsi, ed è così definito nel seguente brano:
(notare il sottile gioco di parole fra i termini ‘visatto’ e ‘afferrarsi con tenacia’ e ‘satta’ ‘essere’ ) :
“‘satto, satto’ti, bhante, vuccati.Kittāvatā nu kho, bhante, sattoti vuccatī”ti?
“Rūpe kho, rādha, yo chando yo rāgo yā nandī yā taṇhā, tatra satto, tatra visatto, tasmā sattoti vuccati.Vedanāya …saññāya …saṅkhāresu …viññāṇe yo chando yo rāgo yā nandī yā taṇhā, tatra satto, tatra visatto, tasmā sattoti vuccati.
Signore, ‘essere’, ‘creatura’, si dice; ma in che misura si può parlare di ‘essere’?
“Rādha, quel desiderio, quella passione, quel godimento, quella sete in riguardo alla forma, alla sensazione, alla percezione, all’intenzione e alla cognizione; l’aggrapparsi a ciò (satto), l’aggrapparsi con forza (visatto). Ciò si dice “essere”.
-Sattasutta, SN III, Rādhasaṁyutta
L’invecchiamento, quindi, è l’invecchiamento delle facoltà di senso e degli organi di senso considerati come ‘Io’. È il concetto che la persona comune ha in riguardo ad un particolare cambiamento che avviene nelle proprie facoltà di senso. È il suo punto di vista in riguardo al cambiamento, e questo punto di vista è sempre associato al dukkha. Questo stato di cose è percepito come sgradevole in quanto trattasi di un cambiamento non gradito delle mie facoltà, delle facoltà di ciò che ‘io sono ’, del mio ‘sé’.
Il punto è che la persona comune non percepisce questo cambiamento come un cambiamento puro e semplice; è un cambiamento che riguarda ‘me’, il ‘mio sé’. Un cambiamento che riguarda il mio sé, sarà percepito come gradito oppure sgradito; deve cioè determinare piacere o dolore.
Un cambiamento nelle facoltà è concepito come un cambiamento in meglio o in peggio solamente quando concepito come un cambiamento di ciò che io sono. Comprendere ciò è di importanza vitale.
La persona comune designa questo stato di cose come ‘invecchiamento e morte’ solo perché si tratta di un cambiamento sgradito, un cambiamento palesemente sgradevole, un cambiamento che allorché percepito, determinerà in lui dolore.
La percezione del cambiamento puro e semplice, non è di per sé sgradevole; è la (sgradevole) sensazione mentale, la quale è sempre determinata dalla percezione del cambiamento in quanto cambiamento di ciò che è ’io’, che rende il cambiamento apertamente doloroso.
L’arahant è descritto come ‘non-esistente’, ‘non-essere’ (abhutam); nell’arahant non vi è soggetto, nessun ‘io’, nessun ‘sé’; non essendoci un soggetto, non vi sono facoltà relative al soggetto; e quando non vi sono facoltà relative ad un soggetto, non vi sono facoltà esistenti, ovvero, non vi è alcun ‘io sono queste facoltà’, in quanto per esistere, le facoltà devono essere identificate con un soggetto, un ‘io’ o ‘sé’.
Le facoltà necessitano di essere appropriate, il che significa che devono essere identificate con un ‘io’ o ‘mio’; devono cioè essere etichettate con il concetto di ‘io’e quindi erroneamente concepite come fenomeni che permangono nel tempo senza subire mutamenti, come fenomeni permanenti, come fenomeni esistenti.
Il loro cambiamento diventa un problema solo perché percepito come un mutare di qualcosa erroneamente immaginato come un sé permanente, non soggetto al cambiamento.
L’arahant percepisce il cambiamento, ma, a differenza della persona comune, non percepisce alcun cambiamento in cose erroneamente immaginate come permanenti, come un ‘sé’ eterno. Tale percezione del cambiamento da parte dell’arahant non è perciò fonte di dukkha.
D’altro canto, la persona comune, nelle profondità del proprio essere, erroneamente, percepisce l’esistenza di un sé non soggetto al cambiamento, finendo poi col percepire un cambiamento in ciò che egli aveva erroneamente afferrato come un fenomeno statico. Perciò, vi è nell’uomo comune una perenne contraddizione, un’ambiguità esistenziale; ed è tale ambiguità a determinare il dukkha.
I capelli dell’arahant ingrigiscono, la pelle diventa grinzosa, e cadono i denti, proprio come per le altre persone; ma mentre per i non arahant tutto ciò è detto ‘invecchiamento’ e ‘morte’, per l’arahant le cose non stanno così; per lui, si tratta solo di cambiamento privo di alcun significato doloroso, e perciò, nel suo caso, non di parla di invecchiamento e morte, in quanto queste parole implicano necessariamente dukkha.
-Wettimunny
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