La pratica di Vipassanā

Consapevolezza, Calma e Visione Profonda

« Cos’è, o monaci, l’incondizionato? la distruzione della bramosia, dell’avversione e dell’ignoranza: ciò, o monaci, è chiamato ‘incondizionato’.
E qual è il sentiero per l’incondizionato? il calmo dimorare e la visione profonda: questo, o monaci, è detto il sentiero verso l’incondizionato.»

Sama­tha­vi­passa­nā­sutta, SN 43.2

Il termine Pāli Vipassanā deriva dalla combinazione dei vocaboli vividha, ‘discernere vividamente’ e passati, vedere, nel senso di vedere o riconoscere con chiarezza la realtà delle cose.

Secondo il monaco birmano Ashin Thittila (1896-1997), “passanā significa vedere, ma vi ha due significati: visesana e vividha. Visesana significa specialmente, non nella maniera convenzionale dove uno non riesce ad andare oltre le apparenze, oltre la superficie delle cose. Vividha significa differentemente, alla luce delle tre caratteristiche”.

Per il venerabile Anālayo, “Il termine vipassanā significa “Visione profonda”. Penso che il punto importante da tenere presente sia che questa non è una tecnica. In realtà è una qualità. Questo è abbastanza diverso dalla comprensione che molti hanno oggigiorno. Quando diciamo “vipassanā”, spesso sentiamo dire che questa è una tecnica particolare, una particolare forma di meditazione da praticare. Ma in realtà, vipassanā è una qualità – la qualità della visione profonda.

Quando osservo in profondità, ciò mi porta ad un crescente apprezzamento della vera natura della realtà: yathābhūta: vedere e conoscere le cose come realmente sono. Più vedo e conosco le cose per come sono realmente, più mi rendo conto che sono davvero impermanenti, incapaci di dare una soddisfazione duratura, e che non c’è un sé permanente – che tutto è condizionato, e che le Quattro Nobili Verità sono davvero un framework significativo per progredire verso la liberazione.

La cosa fondamentale è la comprensione dell’impermanenza: sperimentare tutto come un processo, non come un’entità stabile. Più questo modo di sperimentare le cose nei termini di processi si radica in noi, più siamo in grado di lasciar andare la nostra infatuazione verso le cose, e di vedere cos’è dukkha (insoddisfacente), ciò che non è in grado di darci una soddisfazione duratura.

È attraverso la visione di dukkha che la sete diminuisce, che l’attaccamento si affievolisce – e quando ciò accade, allora diminuisce anche il senso di identificazione con le cose – l’intero costrutto che costruisce le fondamenta del nostro senso dell’ego. Questo è un aspetto importante dell’insegnamento del non-sé”.

Consapevolezza e visione profonda

Il monaco americano Ajhan Sumedho enfatizza così la stretta correlazione fra pratica di consapevolezza e Vipassanā:

«Praticate la consapevolezza del respiro per dieci o quindici minuti, invece di pensare di meditare tutta la notte. L’ānāpānassati è qualcosa di immediato, e conduce alla chiara visione di Vipassanā. La natura impermanente del respiro non è vostra, vero? Voi non controllate nulla, il respiro appartiene alla natura, non vi appartiene, è non-sé. Quando fate ciò, state praticando Vipassanā, la chiara visione; è qualcosa di naturale.» 

 Samatha e vipassanā

“Monaci, queste due qualità conducono alla conoscenza. Quali due? Calma (Samatha) e Visione profonda (Vipassanā). Monaci, qual è il beneficio del coltivare la calma? La mente-cuore viene a maturare; E qual è il beneficio di un cuore maturo? La bramosia viene abbandonata. E qual è o monaci il beneficio del coltivare la Visione profonda? Si sviluppa la saggezza. E qual è il benefico del coltivare la saggezza? L’ignoranza è abbandonata. Contaminata dalla bramosia, la mente è priva di libertà. Contaminata dall’ignoranza, la saggezza non si sviluppa. Così, o monaci, con lo svanire della bramosia la mente è liberata, dissolvendosi l’ignoranza vi è liberazione per via della saggezza.”

– AN 2.31

Nella pratica del Dharma buddhista, la coltivazione di stati mentali salutari quali la letizia, la gioia, e la felicità giocano un ruolo fondamentale nel processo di trasformazione interiore. L’approccio buddhista per l’emancipazione dalla sofferenza consiste nel creare uno stato dell’essere calmo, gioioso e sereno, capace di depurare temporaneamente la mente dai veleni interiori. Tale stato è noto come samatha (calma).

Sulla base di tale stato di quiete, è possibile attualizzare un processo introspettivo capace di riconoscere i nodi emotivi alla base della sofferenza, nonché di metterne a nudo le radici profonde. Tale stato interiore è detto Visione profonda o Vipassanā.

Samatha e Vipassanā non sono tecniche di meditazione contrapposte, ma aspetti della stessa pratica. L’idea che Samatha e Vipassanā siano due tecniche, per altro distinte fra loro, è frutto di un tragico fraintendimento sorto in epoca recente, con il proliferare dei centri di meditazione che si rifanno ad una visione modernista, tecnocentrica ed utilitarista della meditazione. Tuttavia, per Ajahn Chah:

Non si può separare Samatha e Vipassanā . Samatha è tranquillità, Vipassanā è contemplazione. Per contemplare bisogna essere tranquilli, e per essere tranquilli bisogna contemplare per conoscere la mente. Voler separarli sarebbe come afferrare un ceppo di legno nel mezzo e volere si sollevi solo un’estremità del ceppo. Entrambe le sue estremità devono necessariamente sollevarsi contemporaneamente. Non puoi separarli. Nella nostra pratica non è necessario parlare di Samatha o Vipassanā. Chiamatela semplicemente la pratica del Dhamma, è abbastanza”.

Nello Yuganaddha Sutta è detto che questi due aspetti della meditazione possono essere combinati fra loro in tre modalità diverse: nella prima, la visione profonda precede lo sviluppo della calma, nella seconda modalità è la calma a precedere la visione profonda; infine, vi è una modalità di pratica nella quale la calma e la visione profonda vengono sviluppate simultaneamente:

“ Amici, un monaco coltiva la visione profonda preceduta dal calmo dimorare. In chi coltiva la visione profonda preceduta dal calmo dimorare, per via di ciò, sorge il sentiero. Ed egli persegue il sentiero, lo coltiva, lo sviluppa; seguendo il sentiero, coltivandolo e sviluppandolo, i legami sono abbandonati, le tendenze latenti si esauriscono. 

Inoltre amici, un monaco coltiva la calma preceduta dalla chiara visione. In chi coltiva la calma preceduta dalla chiara visione, per via di ciò, sorge il sentiero. Ed egli persegue il sentiero, lo coltiva, lo sviluppa; seguendo il sentiero, coltivandolo, sviluppandolo, i legami sono abbandonati, le tendenze latenti si esauriscono.  

Inoltre amici, un monaco coltiva la calma congiuntamente alla visione profonda. In chi coltiva la calma congiuntamente alla visione profonda , si manifesta il sentiero. Ed egli persegue il sentiero, lo coltiva, lo sviluppa; seguendo il sentiero, coltivandolo e sviluppandolo, i legami sono abbandonati, le tendenze latenti si esauriscono.” 

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