Il Puggalavāda, genesi e filosofia di un’eresia buddhista

Puggalavāda, La teoria personalista

Storia e dottrina

Il Puggalavāda, (Pudgalavāda in sanscrito)  “Personalismo” è una teoria sorta in ambito buddhista nel periodo precedente il terzo Concilio Buddhista (III a.C). Tema centrale della teoria Puggalavāda è l’idea secondo la quale, pur non esistendo alcun sé sostanziale, vi sia un’entità, definita puggala o persona, depositaria del karma e dei sui frutti, i quali verrebbero sperimentati, nel corso delle successive esistenze, proprio dal puggala.

Il nome Puggalavāda deriva da puggala (sanscrito: Pudgala) ‘persona’, ‘individuo’, + vāda, ‘dottrina’, ‘teoria’, ‘opinione’. Puggala è sinonimo di satta; satta, ‘essere’ o ‘creatura’, si riferisce ai cinque aggregati soggetti all’afferrarsi, ed è così definito nel seguente brano:
(notare il sottile gioco di parole fra i termini ‘satto’ e ‘visatto’, rispettivamente ‘afferrare’, ‘afferrarsi con tenacia’ e ‘satta’  ‘essere’:

“Rūpe kho, rādha, yo chando yo rāgo yā nandī yā taṇhā, tatra satto, tatra visatto, tasmā sattoti vuccati.
Vedanāya..saññāya …saṅkhāresu …viññāṇe yo chando yo rāgo yā nandī yā taṇhā, tatra satto, tatra visatto, tasmā sattoti vuccati.”.

“Rādha, quel desiderio, quella passione, quel godimento, quella sete in riguardo alla forma, alla sensazione, alla percezione, all’intenzione e alla cognizione; l’aggrapparsi a ciò (satto), l’aggrapparsi con forza (visatto). Ciò si dice “essere”.


-Sattasutta, SN III, Rādhasaṁyutta

Secondo gli ideatori di questa teoria, il puggala è ciò che sperimenta i frutti delle azioni compiute in questa esistenza in quelle successive. La teoria del Puggala, considerata eretica da tutte le altre scuole buddhiste, ha la funzione, secondo i suoi assertori, di dimostrare la validità delle dottrine del karma e della rinascita in assenza di un Atman (anima).

I Pudgalavādin

La teoria del personalismo nacque in seno ai Vātsīputrīya, un gruppo monastico distaccatosi dalla scuola Sarvāstivāda; in seguito, dai Vātsīputrīya si svilupparono altre quattro sotto-scuole, i Saṃmitīya, i Bhadrayanika, i Dhammuttariya e i Sandagarika/Sandagiriya.

Queste sotto scuole, in particolare quella dei Saṃmitīya, svilupparono ulteriormente l’impianto filosofico della dottrina personalista, elaborando una serie di tesi, finalizzate a confutare le critiche mosse alla teoria del puggala dalle altre scuole buddhiste, al punto da superare, per influenza e popolarità, gli stessi Vātsīputrīya.

Nomenclatura

L’appellativo Vātsīputrīya “I Seguaci di Vatsyaputra”, deriva dal nome del leggendario fondatore, l’arahant Vatsyaputra (del paese dei Vatsa), o in alternativa da Vātsīputra (Figlio di Vātsī ), dal nome della madre del fondatore.

Anche le sotto scuole devono il loro nome ai rispettivi fondatori; i Saṃmitīya, “Allievi di Sammita”, “Giusta Misura”, dal monaco Sammita; i Bhadrayanika “Quelli del Veicolo Fortunato” da Bhadrayana, dall’arahant Bhadra; i Dhammuttariya dal maestro di disciplina Dharmottara, “Elevazione del Dharma”; infine, i Sandagiriya (Sandagarika o Sannagarika) , dal luogo di residenza del loro fondatore, una foresta (sanda) situata su di un promontorio (giri).
Dai Saṃmitīya si formarono due correnti:  quella degli Avantaka, “Quelli del paese di Avanti”, e quella dei Kurukula, il “Clan dei Kuru”, dall’omonima regione.

Contesto storico e collocazione geografica

La scuola Vātsīputrīya si formò, come del resto tutte le atre, nel periodo compreso fra la fine del secondo Concilio di Veisali, (386 a.C. ) e l’inizio del terzo concilio di Pataliputra ( 250 a.C.  circa). I territori di influenza dei Vātsīputrīya furono le città di Sarnath e Kosambi; i Saṃmitīya furono particolarmente numerosi nel Gujarat, a Mathura e nel Sindh ( Pakistan).

Lingua e vestiario

Secondo il noto pellegrino cinese Xuanzang (Hsüan-tsang), il quale visitò l’India nel Settimo Secolo d.C. ,
“i Saṃmitīya ebbero come precettore il sudra Upali, vestono abiti fatti da 21 o 25 pezze, parlano l’aprabhramsa e come simbolo hanno una foglia di Palma Gialla.”

Il Nikayasangraha, (Nilapatadarshana) un testo tantrico redatto a Sri Lanka presumibilmente attorno al quattordicesimo secolo d.C. , sostiene che i Saṃmitīya vestissero abiti color blu o verde scuro ( nila ); tuttavia, altre fonti attribuiscono l’uso di vesti di colore blu ai Mahāsāṃghika, o più precisamente ad una loro sotto scuola detta Lokottaravāda (trascendentalismo). Questa scuola teorizzava la trascendenza del Buddha, visto non più come un ordinario essere umano, ma bensì come una manifestazione sul piano concreto di un principio metafisico universale e atemporale detto Dharmakaya (corpo della legge) . I Lokottaravādin si stabilirono nei territori a nord della valle dell’Indo, ed in particolar modo, nella valle di Bamiyan, nell’attuale Afghanistan. Furono proprio i seguaci di questa scuola ad erigere i famosi Buddha gemelli di Bamiyan tragicamente distrutti dai Talebani nel 2001.

Letteratura

Pare che in origine i Vātsīputrīya possedessero un proprio Canone, purtroppo andato perduto. Sono giunti fino a noi solamente quattro trattati, nella traduzione cinese e contenuti nel Tipitaka Taisho, il Canone Buddhista cinese:

  1. Tridharmakasastra (Trattato sui Tre Dharma),
  2. Tridharmaka ( I tre Dharma),
  3.  Sammatiya-nikaya-sastra ( Trattato della Scuola Sammitiya),
  4. Vinayadvavimsati-vidyasastra (Trattato sulle Ventidue Stanze Esplicanti il Vinaya) .

Riferimenti scritturali nel Canone Buddhista

I principali riferimenti scritturali canonici citati dai Pudgalavādin a sostegno alle proprie tesi sono il Bhārasutta (SN 22) e l’Attakārī Suttam (AN. 6:38) che qui riproduciamo nello loro parte essenziale, rimandando il lettore alle traduzioni integrali degli stessi sutta pubblicate sul nostro sito.

1.Bhārasutta (Il Fardello)
Saṃyutta Nikāya, 22.22

“I cinque aggregati sono il fardello,
la persona (puggala)è il portatore del fardello;
Addossarsi il fardello è doloroso nel mondo,
felicità è il suo abbandono”.

“Avendo deposto il pesante fardello,
senza addossarsene un altro;
Estirpata la sete dalla radice,
egli è soddisfatto, completamente emancipato.”

2. Attakārī Suttam ( L’Agente)
Anguttra Nikāya 6.38

“[Un certo Brāhmaṇa] : “Amico Gotama, io sostengo questa dottrina e punto di vista: ‘Non esiste alcuna persona che agisce per propria volontà o che agisce per volontà altrui’“.

“Brāhmaṇa, non ho mai visto o sentito una tale dottrina, un tale punto di vista. Come può una persona, muovendosi avanti e indietro per propria volontà dire: ‘Non esiste alcuna persona che agisce per propria volontà o che agisce per volontà altrui’?”

“Cosa ne pensi, Brāhmaṇa, esiste il fenomeno dell’iniziare, del dare il via [ad un’attività]? “
“Esiste, amico.

“Esistendo un tale fenomeno dell’iniziare [un’attività], è possibile discernere degli esseri che danno vita ad azioni? “.
“Certo, amico“.

“Ecco, Brāhmaṇa, essendoci il fenomeno dell’iniziare [un’attività], è possibile osservare degli esseri che danno inizio [a delle attività]; questi sono gli esseri che iniziano [un’attività] da se stessi o per conto di altri.”

L’origine della teoria del Puggala

Secondo diversi studiosi contemporanei, quali Richard Gombrich, la teoria del Puggala avrebbe avuto origine da un’interpretazione oltremodo letterale del termine puggala e da una differenziazione puramente dogmatica fra il “fardello” (gli aggregati) e il “portatore del fardello” (la persona – puggala) di cui si fa accenno nel Bhārasutta.

Contrariamente all’uso fattone nelle Upanisad vediche, nei discorsi del Buddha, il termine puggala o purisapuggala è utilizzato in maniera convenzionale, in una modalità priva di qualunque connotazione metafisica, contrariamente all’uso fattone nelle Upanisad vediche.
Il letteralismo, unito ad un atteggiamento eccessivamente rigido e dogmatico verso le parole del Maestro, furono alla base di molte delle teorie sviluppatesi nei secoli successivi alla morte del Buddha Storico.

In un nota al Samayabhedoparacanacakra di Vasumitra, Jiryo Masuda scrive:

“Una delle dottrine salienti del Buddhismo è la teoria del non-ego. Questa teoria presenta diverse difficoltà logiche. Se non esiste alcun io, come può la teoria della rinascita, la quale è un’altra importante dottrina del Buddhismo, trovare una giustificazione?
I Sarvāstivādin ed altri hanno affermato che la mente (citta) e i fattori mentali ( cetasika dharma) periscono istantaneamente. Stando così le cose, cosa è in grado di preservare le esperienze mentali? Questa domanda sembra essere stata oggetto di molta attenzione da parte dei primi pensatori buddhisti.
A quanto ci dicono gli annali di Hsuan Chwang, pare che l’Arahat Gopā, un contemporaneo di Devasarman, abbia teorizzato l’esistenza dell’Ātman.  Sfortunatamente, non possiamo conoscere con esattezza le teorie dell’Arahat Gopa, in quanto la sua opera non è più reperibile né in cinese né in tibetano. Tuttavia, sembra essere stato un precursore dei Vātsīputriya e dei
Sautrāntika nel riconoscere l’esistenza di un certo tipo di io.

I Vātsīputrīya postularono l’esistenza di un certo tipo di io probabilmente al fine di venire in contro alle difficoltà sopracitate, e tuttavia, la loro nozione di io è totalmente differente da quella dei Samkhya, dei Vaisesika e  di altri sistemi bramanici, nonché dal “Puggala Mondano” dei Sarvāstivādin. Sembra infatti che essi abbiano suddiviso le teoria sull’atman, antiche e contemporanee in due classi:

1. le teorie che affermano l’identicità del pudgala rispetto agli aggregati e 2. Le teorie che affermano che il pudgala sia differente dagli aggregati.
nel negare l’esistenza del pudgala incluso in queste due categorie, essi hanno ideato una loro categoria di pudgala, definita da loro il pudgala che non è né identico agli aggregati né differente da essi. Quali sono, quindi, gli attributi di un tale pudgala? In merito a questa domanda, sembra che essi abbiano assunto una visione agnostica. Ciò è deducibile dal loro postulato sui cinque tipi di esistenza: i tre dharma compositi, i dharma non compositi e i dharma inesplicabili. Il cosiddetto pudgala dei  Vātsīputrīya.


Dobbiamo ricordare che i Vātsīputriya furono accusati di eresia dai Sarvāstivādin e da altri per aver affermato l’esistenza di un certo tipo di Io. Ma non possiamo ignorare il fatto che il loro pensiero contiene il primo germoglio dello sviluppo della teoria sull’Ālayavijñāna del tardo Vijñānavāda. Anche se il Vijñāptimatrasiddhi-sastra ha provato a confutare il punto di vista dei Vātsīputrīya, mi sembra che la teoria Yogacara sia molto in debito verso le idee dei Vātsīputrīya ed anche verso idee similari dei Sautrāntika”.

La teoria del Puggala

Per i Pudgalavādin, il puggala non è né un fenomeno condizionato (samkhata) né tantomeno un fenomeno incondizionato (asankhata) come il Nibbana, ma  una mera designazione (prajiñapti). Per questa ragione, il puggala non è né identifico agli aggregati né tantomeno qualcosa di totalmente disgiunto da essi. Non essendo né identico né totalmente differente dagli aggregati, è definito come  ineffabile, indefinibile, inconcepibile (avyākata).

Va da sé che l’idea che esista una terza opzione fra i fenomeni condizionati e quelli incondizionati fu rigettata dai Theravādin, come dimostrato nel celebre dibattito fra gli stessi  Theravādin e i Vātsīputrīya di cui si ha un resoconto nel Kathāvattu, (Le controversie), il quinto libro dell’Abhidhamma.

Le tre designazioni

La letteratura dei sammitiya-puggalavadin elenca tre tipi di designazione:

1..Il Puggala designato attraverso la base (asraya-prajiñapta-pudgala).
La base è costituita dai fattori di composizione (sankhara). Secondo questa dottrina, la relazione fra il puggala e la base designazione è paragonabile a quella fra la fiamma e il combustibile. Nella similitudine, gli aggregati sono rappresentati dal combustibile, il puggala dalla fiamma.

Le altre scuole di pensiero buddhiste identificano il puggala convenzionale ( la persona pura e semplice) con gli aggregati, ma tuttavia, secondo i Pudgalavādin, ciò costituirebbe una visione errata, in quanto alla morte, la dissoluzione degli aggregati, (in particolar modo il corpo) provocherebbe la simultanea dissoluzione del puggala, portando così ad una visione nichilista che negherebbe le dottrine della rinascita e della retribuzione degli atti nelle vite successive.   

2.Il Puggala designato dalla trasmigrazione (sankrama-prajiñapta-pudgala).
Per i Personalisti, la trasmigrazione è la continuità della persona nei tre tempi, passato , presente e futuro. È sulla base di questa designazione che è possibile identificare l’Essere nella sua continuità da un’esistenza all’atra. Questa dottrina rappresenta l’espediente attraverso cui i Pudgalavādin tentarono di confutare l’apparente contraddizione fra l’idea della continuità personale e l’assenza di un sé o anima.
Il principio della ‘designazione per via della trasmigrazione’ è una posizione mediana che afferma la continuità della persona senza contraddire il principio fondamentale del non sé .
Corollario di questa seconda forma di designazione è la dottrina dello stato di esistenza intermedio (antarābhava) che fungerebbe da collegamento fra la vita presente e quella immediatamente successiva.

3.Il Puggala designato dalla cessazione (nirodha-prajiñapta-pudgala).
La cessazione è l’estinzione dei cinque aggregati soggetti all’attaccamento e delle afflizioni. Secondo questa dottrina, non si può dire che un Buddha o un arahant esista dopo la morte, né che non esista, né entrambe le opzioni ( esiste e non esiste) né la negazione di entrambe ( né esiste né non esiste). [1]

La prima designazione definisce il puggala come una mera designazione sulla base degli aggregati psicofisici; la seconda designazione giustifica la dottrina della continuità esistenziale della persona nei tre tempi, mentre l’ultima contrasta la concezione quasi nichilista dell’estinzione assoluta.

Lo stato intermedio (antarābhava) e la non distruzione (avipranasa)  

Due postulati dottrinali caratteristici dei pudgalavādin sono il perdurare (lett. ‘non distruzione’, avipraṇaśa) del karma non maturato e di uno stato d’esistenza intermedio (antarābhava) fra la vita attuale e quella successiva.

La perduranza (avipranasa) del karma è la base per la retribuzione degli atti eticamente sensibili; questa teoria, aveva, nell’ottica dei suoi ideatori, la funzione di prevenire il rischio di cadere in posizioni nichiliste, rischio dettato da un’interpretazione radicale della dottrina della vacuità di esistenza inerente di tutte le cose. Per i pudgalavādin, vacuità non significa nichilismo.

Il concetto di esistenza intermedia (antarābhava) spiega come il puggala trasmigri da una vita all’altra nonostante la disgregazione della base d’imputazione dell’esistenza – gli aggregati psicofisici di corpo, sensazione, percezione, attività intenzionali e coscienza- al momento del trapasso.

Le sette opinioni contrarie e le contro tesi dei pudgalavādin
 
Il Sammatiya-nikaya-sastra (Trattato della Scuola Saṃmitīya), elenca in maniera particolareggiata le sette opinioni contrarie alle tesi dei pudgalavādin e le articolate contro repliche di quest’ultimi. Di seguito, le sette posizioni contrarie:

Le sette opinioni contrarie

1. La persona non esiste, perché:

a. esistono solo gli aggregati e le basi sensoriali, e il dukkha, ma non esiste alcuna persona sofferente;
b. la persona on esiste;
c. solo gli ignoranti considerano il corpo come la persona;
d. la realtà della persona e di ciò che riguarda la persona non è provata;
e. la persona è irreale;

2. È impossibile sia che la persona esiste che non esiste, perché:

a. la natura della persona non può essere definita né in relazione ai fenomeni compositi (samkhata) né in relazione all’increato (asankhata);
b. l’esistenza o la non esistenza della persona è una domanda a cui il Buddha non ha dato risposta (aviyakata);
c. l’indeterminatezza della persona in riguardo ai fenomeni compositi e in riguardo all’increato ;
d. la confusione circa la permanenza e la caducità;
e. il fatto di non appartenere né all’esistenza né alla non esistenza.   

3. La persona è realmente esistente, perché:

a. è la persona, legata ai cinque aggregati a trasmigrare da una esistenza all’atra;
b. la visione della persona è la retta visione, proprio come è retta visione la visione concernente gli esseri nati spontaneamente (opapatika);
c. l’insegnamento relativo ai Quattro Fondamenti della Consapevolezza affermano che vi è una persona che contempla il corpo, le sensazioni, la mente e i fenomeni;
d. le parole del Buddha ai suoi discepoli in merito al fuoco ha prodotto la credenza secondo la quale esiste una persona che dirige l’atto del bruciare i corpi, e che accetta l’ordine di bruciare i corpi;
e. il termine ‘persona’ (puggala) usata dal Buddha in frasi come: ‘ la persona virtuosa quando appare nel mondo, porta felicità molti individui’;

4. La persona è identica agli aggregati, in quanto il Buddha disse:

a. i sei organi di senso e i sei oggetti di senso costituiscono la persona;
b. la forma, il carattere eccetera della persona che costituiscono la persona, non vi è nulla oltre a ciò.

5.La persona è diversa dagli aggregati, in quanto:

a. il Buddha disse che il fardello – i cinque aggregati – differisce dal portatore degli aggregati – la persona;
b. Il Buddha disse che la persona si appropria della sete (Taṇhā), quale seconda natura nel ciclo di nascita e morte (samsara);
c. la rinascita di una persona in una nuova vita al fine di subire o godere dei risultati delle azioni (Kamma) in questa vita;
d. l’identità della persona in esistenze differenti, per esempio, l’identità del Buddha e le personalità nelle sue vita precedenti con i nomi di Sunetra, Mahādeva eccetera;
e. Il Buddha non ha affermato che la natura della persona sia permanente o mutevole, mentre ha affermato la natura mutevole degli aggregati.

6. La persona è eterna

a. per via del fatto che essa non ha un principio, in quanto l’origine del ciclo di nascita e morte è inconcepibile (di conseguenza, la persona è eterna);
b. la conoscenza del ricordo delle vite precedenti;
c. perché esiste una sfera eterna (Il Nirvana N.d.T), dove non esistono sofferenza e regresso;
d. e l’esistenza di una gioia imperturbabile della quale è possibile godere.

 7. La persona è un fenomeno mutevole, in quanto:

a. essa ha un’origine, come per esempio, la nascita del Buddha, la quale apporta felicità a tante persone;
b. questa vita può trasformarsi in un’esistenza divina;
c. le condizioni di vita cambiano a seconda della vita;
d. gli esseri viventi appaiono e scompaiono;
e. stati come la nascita, l’invecchiamento, la malattia e la morte sono manifestazioni di mutevolezza.  

Le contro repliche dei Saṃmitīya:

 1. La persona esiste, in quanto:

a. il Buddha non ha negato la persona, perché il suo intento era di illustrare la natura della sofferenza, il sorgere e lo svanire della sofferenza, enfatizzando l’esistenza della sofferenza;
b. Il Buddha ha dichiarato ai seguaci di altre dottrine che la persona esiste come designazione che si basa sui fenomeni compositi;
c. (di conseguenza), l’idea circa la sostanzialità dei cinque aggregati è una visione erronea;
d. il Buddha non nega la persona, ma al fine di eliminare l’attaccamento, ha insegnato la natura insostanziale della persona e di ciò che la riguarda;
e. certamente,la persona è irreale, ma, al fine di abbandonare l’attaccamento verso l’esistenza, il Buddha ha parlato della non-esistenza; ciò non significa che abbia negato la persona.

2. È possibile affermare che la persona esiste, in quanto:

a. nonostante sia impossibile asserire che la persona sia permanente o mutevole, è possibile affermare che la persona esiste, in quanto il Buddha disse: ‘ esistono persone le quali bruciano i propri corpi’ o anche ‘l’ignorante assume le cattive azioni come la propria natura, l’intelligente assume le buone azioni come la propria’;
b. le domande da rigettare sono quelle formulate in maniera incorretta, in quanto il Buddha non ha mai rigettato proposizioni quali ad esempio ‘l’ignoranza è male, l’intelligenza è bene’;
c. l’indeterminazione costituisce parte della persona in quanto la persona è allo stesso tempo né identica ai fenomeni compositi né differente da essi;
d. asserire che la persona non esiste è una visione erronea, in quanto il Buddha ha dichiarato che l’attaccamento alle due visioni di esistenza e non esistenza è errata; perciò questa è una domanda da rigettare (avyakata) in quanto conduce alle idee di permanenza ed mutevolezza. È una visione corretta quando si ammette che la persona esiste incondizionatamente e non appartiene né ai fenomeni compositi e mutevoli né a ciò che è permanente e composito;
e. è possibile affermare che la persona esiste ( condizionatamente) in quanto il Buddha ha affermato che esistono le basi.

3. La persona non esiste come realtà, in quanto:

a. anche se non esiste una persona incatenata, esiste la catena, proprio come in una prigione vi sono delle catene anche quando non vi sono prigionieri;
b. un’opinione circa l’esistenza della persona è una retta visione, perché il Buddha, basandosi sugli aggregati contaminati, ha dichiarato che la persona esiste, in quanto vi è un individuo che percepisce la persona;
c. in realtà, solo la mente (citta) è esistente, la quale interviene nella pratica dei Quattro Fondamenti della Consapevolezza, e nient’altro;
d. il Buddha ha dichiarato ai suoi discepoli che i fenomeni (dharma) esistono sulla base degli elementi, e che non vi è null’altro;
e. Il Buddha ha dichiarato che la persona esiste come designazione (prajnapti). Il rifiuto della persona implica il rifiuto della moralità (sila), delle Quattro Nobili Verità insegnate dal Buddha eccetera.

4. È impossibile affermare che la persona sia identica agli aggregati o che gli aggregati siano identici alla persona, in quanto la persona è ineffabile (avaktavya), diversamente dagli aggregati. Inoltre, se la persona fosse identica agli aggregati, quando questi scompaiono o appaiono, anche la persona dovrebbe scomparire o apparire.  
  

5. È impossibile affermare che la persona sia diversa dagli aggregati in quanto:
a. I Discorsi non affermano la separazione fra la vita di un uomo e la persona, ma affermano che vi è una persona che sopporta il fardello; per questa ragione esiste il fardello;
b. quando la sete è eliminata, non vi sarà più ulteriore trasmigrazione nel ciclo di nascita e morte;questo significa che la persona e gli aggregati non sono separati;
c. è sulla base degli aggregati che questa vita e le vite future ricevono i risultato delle azioni (karman); ciò significa che la persona e gli aggregati non sono separati;
d. l’’Io’ di cui parlava il Buddha è una designazione indicante la trasmigrazione attraverso le differenti  esistenze della persona;
c. le caratteristiche delle cose (dharmalaksana) non possono essere definite come permanenti o mutevoli. Lo stesso vale per la persona. Le la persona fosse diversa dagli aggregati:

a. la persona potrebbe essere rinvenuta o nel corpo o comprenderne la totalità;
b. con la distruzione degli organi di senso, i cinque oggetti di senso dovrebbero essere comunque percepibili;
c. la persona potrebbe viaggiare da questo corpo ad un altro, per poi tornare al primo;
d. la persona non deve rinascere in destini differenti; altrimenti, potrebbe rinascere in qualunque destino in qualunque momento; di conseguenza, potrebbe non risiedere sempre nello stesso corpo; perciò la liberazione sarebbe difficile da ottenere; se la persona dovesse passare da un destino all’altro, non creerebbe azioni (karman); se non ci fossero azioni o risultati, non ci sarebbero neanche meriti (puniya); similmente, non vi sarebbe il distacco dai legami, né la pratica della meditazione; è in questo modo che la liberazione deve essere operata.

6. La persona non è eterna, in quanto:

a. non si può affermare che il ciclo di nascita e morte sia eterno in quanto la sua origine è inconcepibile. Similmente, è impossibile sostenere che la persona sia eterna in quanto non ha un’origine visibile;
b. la conoscenza del ricordo delle vite precedenti non permette di arrivare alla conclusione che la persona sia eterna, in quanto la persona è differente dagli aggregati; quando gli aggregati scompaiono, la persona non scompare. Perciò, il ricordo del passato non riguarda questa vita e non si estende alle altre vite, mentre il ciclo di nascita e morte è senza fine;
c. indubbiamente, il Buddha ha parlato del Nirvana con residuo (sopadhisesanirvāna) e di un Nirvana senza residuo, (nirupadhisesanirvāna), ma non ha mai parlato di un persona eterna;
d. la gioia imperturbabile esiste nel Nirvana senza residuo, ma per la persona eterna, non vi è gioia imperturbabile, per essa, gioia e dolore non sono importanti;

7. La persona non è (assolutamente) mutevole in quanto:
a. la persona è designata sulla base dell’apparire degli aggregati; ciò non significa che gli aggregati siano differenti dalla persona. Perciò, è impossibile parlare dell’apparenza della persona, si può parlare solo della sua designazione;
b. se la persona fosse totalmente differente, non ci sarebbe alcuna relazione tra le vite passate e quelle future. Di conseguenza, non ci sarebbero risultati delle azioni, meriti, ricordi eccetera. La mutevolezza della persona si basa sulla scomparsa degli aggregati di un dato destino e il loro riapparire in un altro destino.

Le quindici tesi secondarie dei pudgalavādin

Parallelamente alla teoria sul puggala, i Vātsīputrīya e i Saṃmitīya elaborarono un serie di quindici tesi secondarie qui riassunte:

1. Esiste un fenomeno imperituro (avipraṇaśadharma) depositario delle impressioni karmiche, diverso dalla mente ordinaria, la quale è un fenomeno mutevole. Questo fenomeno imperituro continua ad esistere attraverso le successive esistenze, e rappresenta la base per la fruizione del risultato delle azioni compiute in una vita passata.

2. Nel sentiero della visione (darsanamarga) vi sono dodici conoscenze;
3. La concentrazione di accesso (Upacarasam
ādhi) è composto di quattro stati: pazienza, nome,percezione e dharma mondano superiore;
4. La chiara comprensione (abhisamaya) è un processo progressivo;
5. Le cinque conoscenze superiori possono essere ottenute anche dai mondani (puthujjana) e dagli eretici (i non buddhisti N.d.T.);
6. La moralità designa le azioni fisiche e verbali;
7. I meriti si accumulano in continuazione, anche durante il sonno;
8. È impossibile affermare che il tratto caratteristico di ogni cosa (dharmalaksana) (La mutevolezza stessa N.d.T.) sia permanente oppure mutevole;
9 . Esiste un assorbimento meditativo intermedio fra il primo ed il secondo Jh
āna ;
10. Esiste una sola verità assoluta: il Nirv
āna;
11. Esistono cinque, sei o sette destini (gati) ( I reami d’esistenza N.d.T.);
12. La conoscenza (
jñana) è altresì detta Sentiero (Marga);
13. Un Arahant è suscettibile di regressione;
14. Esiste un’esistenza intermedia
(antarābhava) nel reame del desiderio. ed in quello della forma;
15. Nel reame della forma vi sono diciassette categorie di esseri celestiali.

Conclusioni

L’invenzione del pudgalavāda ha rappresentato una sorta di espediente metafisico – dottrinale ideato con lo scopo di risolvere l’apparente contraddizione fra la teoria, tipicamente buddhista, dell’assenza di un sé sostanziale e la dottrina, altrettanto buddhista della rinascita e del karma.
Per questa ragione, i puggalavādin postularono l’dea di uno “stato intermedio” (antarābhava) fra la vita presente e quella successiva. Tale teoria fu fortemente avversata dai Theravāda e da tutte le altre scuole del primo buddhismo, ma trovò in parte accoglienza fra i seguaci della scuola Mahāyāna dei Vijñānavāda, Gli idealisti del Buddhismo, la quale a sua volta influenzò gli autori del Guhagarba Tantra dal quale prende spunto il famoso Libro Tibetano dei Morti.

Secondo Bhiksu Thiện Châu, fra i più importanti studiosi di questa tradizione:
“La creazione della teoria del pudgala rappresenta una reazione contro la “spersonalizzazione” tipica della tradizione abhidharmika. I Pudgalavadin, d’altra parte, cercarono di preservare l’essenza della dottrina dell’assenza di sostanza (anatmavada). La teoria del pudgala è stata male interpretata dalla letteratura polemica; tuttavia, essa offre molto interesse dottrinale ai pensatori buddhisti.
I Puggalavādin non erano probabilmente soddisfatti dell’interpretazione secondo cui un uomo è semplicemente il risultato di una combinazione di fattori psicofisici, in quanto un uomo è qualcosa di diverso da un carro; il secondo è solo un assemblaggio di parti e pezzi separati mentre il primo è essenzialmente un essere con la sua totalità di cui le parti psicofisiche si sviluppano dopo il concepimento e la nascita.”

NOTE

1.Queste quattro proposizioni sono da rigettare in toto, in quanto formulate sulla base di un presupposto errato. Un Buddha (o un arahant), avendo realizzato la cessazione di qualunque essere determinato dall’afferrarsi ad un sé (upadananirodho bhavonirodha), è per definizione oltre qualsiasi definizione che implichi le idee di essere e non-essere, ed anche di qualunque posizione intermedia fra i due.

Bibliografia

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Lamotte, É., History of Indian Buddhism, Université catholique de Louvain, Institut orientaliste, 1988 

Kalupana, D.J., Mūlamadhyamakakārikā, Delhi, Motilal Banarsidass, 2012

Pande, C.G, The Origins of Buddhism, Delhi, Motilal Banarsidass, 1957,

Tissa, M. , Katavatthu, Point of Controversy or Subjects Of Disclosure, London, Pali Text Society, 1915

Vasumitra ,Samayabhedoparacanacakra, trad. inglese a cura di Jiryo Masuda, Princeton University Press, 2017

Gombrich, R. How Buddhism Began: The Conditioned Genesis of the Early Teachings, New Delhi, Munishram Manoharlal, 2014

Davide Puglisi

Questo scritto è dedicato alla memoria dell’amico e confratello nel Dharma Mario “Sambota” Manzoni.

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