Gli elementi del Paticcasamuppada: Nāmarūpa

Nāmarūpa (‘psicosoma’) è un termine tecnico del Buddhismo indicante quegli elementi fisici e mentali che, assieme al processo cognitivo o viññāṇa, formano la base dell’esperienza soggettiva all’interno del vortice samsarico, il quale è alimentato dal desiderio (non a caso definito dal Buddha ‘āhāra’, ‘nutrimento’) e cristallizzato nell’essere (bhava) dall’afferrarsi (upādāna).

L’unità di nāma e rūpa forma quindi un binomio inscindibile fra mente e corpo, fra oggetto e soggetto, fra la componente ideale e quella materiale dell’esperienza. Interrogando un giovane aspirante monaco di nome Sopāka, il Buddha chiarì la natura composita del nāmarūpa :

“Dve nāma kiṁ?”
“Cosa è chiamato due?”
“Nāmañca rūpañca.”
Nāma e rūpa.”
-KN, Khuddakapāṭha 4, Kumārapañhā


DEFINIZIONE IN ACCORDO AI SUTTA

“E cos’è, monaci, il ‘nome e forma’? Sensazione, percezione, intenzioni, contatto ed attenzione: ciò, monaci, è detto ‘nome’; i quattro elementi fondamentali e l’immagine sorta dall’aggrapparsi ad essi: ciò è detta forma. Così, questo è il nome, e questa è la forma, Ciò, monaci, è detto ‘nome e forma’”.

-Paticcasamuppada vibhaga sutta, SN

ETIMOLOGIA

1. Rūpa. Il termine rūpa può essere tradotto con ‘oggetto’, ‘forma’, ‘materia’, ‘immagine’ o semplicemente ‘corpo’, a seconda del contesto. Il sostantivo rūpa deriva dalla stessa radice sanscrita ‘rup’ di rūppati (deteriorarsi, donde il latino rumpo) Questa parentela etimologica va perduta nelle traduzioni.

“Ruppatīti kho, bhikkhave, tasmā ‘rūpan’ti vuccati.”
“Si rompe, o monaci, perciò è chiamato rūpa.”

-Khajjanīasutta, SN 22.7

Da questo punto di vista, ogni oggetto possiede quattro caratteristiche o comportamenti (mahābhūtāni):
1.Pathavī: (terra), la qualità dell’inerzia o resistenza (pathiga);
2. āpo: (acqua), la qualità della coesione;
3.tejo: (fuoco), la qualità del calore;
4.vāyo: (vento), la qualità della motilità o movimento.


2. nāma. Per quanto riguarda il fattore nāma o ‘nome’ ( dal verbo ‘namati’, ‘inclinare’), esso rappresenta l’insieme di quei fattori mentali deputati alla designazione degli oggetti: contatto (phasso), sensazione (Vedanā), percezione (saññā), intenzione (cetanā) e attenzione (manasikāra).

Ad ogni data esperienza di un oggetto, si manifesterà la cognizione; dalla presenza simultanea di oggetto e cognizione, e con la presenza dell’attenzione, sorgerà il contatto; il contatto è l’interazione fra il soggetto cosciente e l’oggetto; tale contatto darà origine alla sensazione, alla percezione e all’intenzione.

LA NATURA INTERDIPENDENTE DEL NAMARUPA

Dalla prospettiva buddhista, l’aspetto materiale di una data esperienza, la controparte mentale e la cognizione possono esistere solo in un rapporto di mutua dipendenza:

“Proprio come due fasci di canne si sostengono l’uno con l’altro, allo stesso modo, nāmarūpa è la base di viññāṇa, e viññāṇa è la base del nāmarūpa; nāmarūpa è la base per le sedi sensoriali, le sedi sensoriali sono base per il contatto … ed in questo modo che tutta questa intera massa di sofferenza viene a manifestarsi.”

-Naḷakalāpīsutta, (SN 12.67)


Il venerabile Bhante Punnaji definiva la cognizione come l’atto di conoscere; nello specifico, ciò che viene conosciuto è l’oggetto, o più precisamente, la sua immagine mentale (rūpa, ‘ciò che appare’) a cui viene associato un nome (nāma).

Secondo Punnaji, “Quando percepiamo un oggetto attraverso i nostri occhi, ciò che viene percepito con l’organo di senso visivo è semplicemente la luce riflessa dall’oggetto, che entra nel bulbo oculare, colpisce la retina nella parte posteriore del bulbo oculare, stimolando le milioni di terminazioni nervose sensibili alla luce poste nella retina, la quale invia impulsi al cervello attraverso i nervi ottici. Questi milioni di impulsi inviati al cervello di momento in momento vengono elaborati dal cervello, che costruisce un’immagine mentale dell’oggetto – la chiamiamo l’esperienza del “vedere”. Il processo di costruzione a livello cerebrale è detto “saṅkhāra”, il quale produce la cognizione (viññāṇa) dell’oggetto sotto forma di un’immagine mentale (rūpa) che identifichiamo dandogli un nome (nāma).”

D’altro canto, Bhikkhu Bodhi spiega che: “una differenza nella sensazione potrebbe decidere se una persona è definita come amico o nemico; una differenza nella percezione se un frutto venga considerato maturo o acerbo, una differenza nell’intenzione se una tavola di legno venga designata come una futura porta oppure una futura scrivania, una differenza nell’attenzione se un oggetto in lontananza venga designato come in movimento oppure come fermo. Quando la designazione è attribuita all’oggetto, avviene l’unione della coscienza designante con l’oggetto designato attraverso la designazione.”

NAMARUPA E IL VORTICE DEL DIVENIRE

Il processo che conduce a nuova esistenza nel vortice samsarico è determinato dai tre tipi di sete (taṇhā): sete di gratificazione, sete di esistenza e di non-esistenza, nonché dalla volontà di perseguirli (cetanā) e dall’agire kamma. Per il Buddha, ciò che è soggetto al divenire non è né l’anima, né la mente, né il Karma, ma l’unità dinamica degli aggregati psicofisici associati alla cognizione; il flusso della cognizione o sotaviññāṇa non trasmigra e non permane immutato nel ciclo del samsāra ma bensì fluisce evolvendosi costantemente.

I seguenti passaggi tratti dal Mahānidānasutta possono essere intesi come risposta all’obiezione: “se non c’è un sé o un anima, allora chi o cosa rinasce?

“Ananda, se il viññāṇa non fosse ben stabilito nel nāmarūpa, forse che si sperimenterebbero ancora nascita, invecchiamento, morte, ed il sorgere della sofferenza?”

“No di certo Signore”.

”Perciò, Ananda, questa è la causa, la base, l’origine e il fondamento del viññāṇa: il nāmarūpa”.

[… ]

“Ed è In questo modo, Ananda, che esistono la nascita, l’invecchiamento, la morte, il trapasso ed il riapparire; in questo modo esiste un sentiero per la designazione (adhivacana), per la descrizione (nirutti), e la manifestazione (paññatti); in questo modo esiste la sfera del discernimento (paññā) finalizzata a rendere manifesto questo stato dell’essere; ed è in questo modo che il circolo vizioso [del samsara] continua a vorticare, ovvero : con nāmarūpa che fluiscono assieme alla cognizione, sostenendosi l’un l’altro”.

-Mahānidānasutta (DN15)


Il divenire (punabbhava) non è quindi un processo di TRASMIGRAZIONE di un qualcosa ma la CREAZIONE reiterata della propria esistenza soggettiva (bhava) attraverso le proprie scelte, intenzioni ed azioni in una determinata sfera spazio temporale.

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