Le Cinque Facoltà (Pañca-indriyāni)

“Monaci, queste cinque facoltà, allorché coltivate e incrementate conducono alla cessazione degli inquinanti mentali. Quali cinque? La facoltà della fiducia (saddhā), del vigore (viriya), della consapevolezza (sati), del raccoglimento (samādhi) e della saggezza (pañña). Monaci, queste cinque facoltà, allorché coltivate e incrementate, condurranno all’abbandono dei legami (saṃyojana), allo sradicamento delle tendenze latenti (anusaya) , alla piena comprensione del flusso temporale ed alla cessazione degli inquinanti mentali.”  

-Āsavakkhayasutta, SN 48.64

Il Buddhismo è stato spesso definito “La religione delle liste”; fra gli innumerevoli insegnamenti attribuiti al Buddha compaiono “Le Quattro Nobili Verità”, “Le Cinque Facoltà”, ” “I sette Fattori del Risveglio”, “Il Nobile Ottuplice Sentiero”, “I Dieci Legami”, “I Dodici Anelli Dell’Origine Dipendente” eccetera. Ciò è  dovuto al fatto che all’epoca del Buddha la conoscenza filosofica e religiosa veniva trasmessa da maestro a discepolo unicamente oralmente, non essendosi ancora diffusa la scrittura. Inoltre, è noto che il Buddha era un asceta girovago, e spesso si trovò nelle condizioni di dover trasmettere il proprio insegnamento a persone che probabilmente non avrebbe mai più rivisto, persone le quali necessitavano di istruzioni da mettere in pratica autonomamente. Per queste ragioni, l’insegnamento veniva esposto schematicamente, sotto forma di liste nelle quali l’ultimo punto era spesso quello di maggiore importanza, come affermato esplicitamente nel Sālasutta:

“ye keci bodhipakkhiyā dhammā, paññindriyaṁ tesaṁ aggamakkhāyati, yadidaṁ—bodhāyā”ti.”

“la facoltà della saggezza è definita come la suprema fra le qualità che portano al risveglio.”

Sālasutta, SN 48.51

Nello schema delle cinque facoltà (pañca-indriyāni) esposto in questo Sutra, i due fattori “periferici” di fiducia e saggezza fungono da fattori equilibranti. Al centro, vi è la facoltà della consapevolezza a fungere da perno. La consapevolezza, sostenuta dal vigore, è il fondamento per la coltivazione del raccoglimento.
Nel Paṭi­sam­bhi­dā­magga, le cinque facoltà vengono descritte in questo modo:

“Sad­dhindriyassa adhimokkhaṭṭho abhiññeyyo; ­vīriyin­driyassa paggahaṭṭho abhiññeyyo; satindriyassa upaṭṭhānaṭṭho abhiññeyyo; samā­dhindriyassa avikkhepaṭṭho abhiññeyyo; paññindriyassa dassanaṭṭho abhiññeyyo”.

“La fiducia deve essere intesa nei termini di ‘risolutezza’ (adhimokkha); il vigore è da intendersi nei termini di ‘applicazione’ (paggaha); la consapevolezza è da intendersi nei termini di ‘fondamento’ (upaṭṭhāna); Il raccoglimento è da intendersi nei termini di ‘equilibrio’ (avikkhepa); la saggezza è da intendersi nei termini di ‘visione’ (dassana).

-Pts 1.1. –  Ñāṇakathā

In merito alle Cinque Facoltà, Bhikkhu Bodhi scrive:

“Sia la fiducia che la saggezza hanno bisogno di essere attivate, cioè hanno bisogno di vigore, di energia (viriya). Ma per impedire che l’energia prenda la mano e diventi un eccessivo entusiasmo, dobbiamo equilibrarlo con il raccoglimento, con la compostezza mentale. E questa è samādhi o raccoglimento.”

1.Saddhafiducia: Il termine Saddhā è composto dalla radice verbale ‘Sad’ , la quale indica ciò che è ‘vero’ e quindi ‘buono’, e dal suffisso ‘dha’, ‘sostenere’. Saddhā può essere tradotto come “adottare ciò che è vero e buono”. Nei discorsi canonici, il concetto di saddhā è spiegato nei termini di una fiducia nata dalla comprensione (aveccap­pasā­dena), in contrasto con la bhatti (bhakti), la devozione emotiva che prescinde dall’esperienza diretta. L’ideale buddhista di fiducia si fonda su tre fattori:
1: la comprensione dalla natura insoddisfacente dell’esistenza;
2: l’aspirazione alla liberazione;
3: la fiducia che l’insegnamento del Buddha sia il mezzo idoneo a tal fine.

L’aspirazione alla liberazione è basata sull’aver sperimentato personalmente la bontà dell’insegnamento. Il Vimamsaka sutta definisce tale sentimento come una ‘solida fiducia, basata sull’evidenza’ (ākāravatī saddhā dassanamūlikā, daḷhā).

2.Viriyavigore: questo vocabolo è chiaramente imparentato con il latino ‘vĭr’, dal quale nascono parole come ‘virum’ (eroe) o ‘virile’; nel linguaggio del Dharma, il termine viriya è spesso tradotto come ‘energia’, ‘sforzo energetico’, ‘sforzo entusiastico’, ‘perseveranza’ o ‘applicazione’. Di fatto, si tratta di una forma di “entusiasmo volontario” nei riguardi della pratica del Dharma.

Nel Meghiya Sutta, il Buddha definisce il viriya come una delle cinque qualità conducenti alla maturazione del praticante immaturo:

“Meghiya, un monaco dimora coltivando il vigore al fine di abbandonare gli elementi nocivi, di generare gli elementi salutari, fermo, energetico, senza trascurare i propri doveri in relazione agli elementi salutari. Questa, o Meghiya, è la quarta qualità che conduce una mente non matura alla maturazione.”

Nel Sutra del Fuoco, il Buddha spiega l’utilità pratica del coltivare lo sforzo entusiastico:

“Quando la mente è fiacca, quello è il momento idoneo di coltivare il fattore risvegliante dell’investigazione della realtà, il fattore risvegliante del vigore, il fattore risvegliante della gioia interiore. E per quale ragione? Perché è facile stimolare la mente fiacca attraverso queste pratiche.

3. Sati, consapevolezza. Il termine sati significa ‘ricordare’, che in italiano a sua volta vuol dire ‘riportare al cuore’; nelle discipline indiane come il Buddhismo, il cuore è considerato il fulcro dell’esperienza intellettuale ed emotiva, la sede della mente, e per questa ragione, l’atto di riportare qualcosa all’attenzione della mente era detto ri-cor-dare.

Quando si tratta di riportare all’attenzione della mente eventi accaduti nel passato si parla di ricordo, mentre se si sta prestando attenzione a qualcosa che sta accadendo nel momento presente parliamo di osservazione consapevole, consapevolezza. Sati è così sinonimo di consapevolezza o attenzione al presente.

L’attenzione al presente di cui parla il Buddha è consapevolezza diretta, non mediata e priva di giudizio, ma tuttavia è pur sempre consapevolezza di qualcosa a cui stiamo deliberatamente prestando attenzione.

La differenza fra coscienza e consapevolezza sta nel grado di valutazione dell’oggetto osservato: la coscienza si limita a registrare la presenza di un dato oggetto entro il campo dell’attenzione cosciente, mentre la sati produce una valutazione dell’oggetto esperito.

Assieme alla sati, il Buddha raccomandava la coltivazione di sampajañña, la chiara comprensione. Se il compito della sati è di osservare quanto sta accadendo nel presente per quello che è, quello di sampajañña è di comprenderne la natura generale.

Il binomio sati-sampajañña è quindi lo strumento per eccellenza nel sentiero verso l’emancipazione dalla sofferenza emotiva. in sintesi , sati è osservazione, sampajañña è chiara comprensione.

4. Samādhi, raccoglimento. Il termine samādhi deriva da saṃ + ā + dhā, dove ‘saṃ‘ significa ‘assieme’ e ‘dhā’ ‘tenere’samādhi  significa quindi tenere assieme’ o più semplicemente ‘raccoglimento’; secondo una spiegazione alternativa, samādhi deriverebbe da ‘sama’, ‘equilibrio’, ‘bilanciato’ e ‘dhi’, saggezza, intelligenza.
La funzione del samādhi è di portare la mente in uno stato di chiarezza e rilassamento idonei allo sviluppo della comprensione della realtà. La coltivazione del samādhi  è propedeutica alla comprensione diretta delle Quattro Nobili Verità:

“Monaci, coltivate il Samādhi; Il monaco la cui mente è raccolta, comprenderà le cose secondo realtà. Ma cosa egli comprenderà secondo realtà? ‘Questa è la sofferenza’, ciò egli comprenderà secondo realtà; ‘questa è l’origine della sofferenza’, ciò egli comprenderà secondo realtà; ‘questa è la cessazione della sofferenza’, ciò egli comprenderà secondo realtà; ‘questa è la via che conduce alla cessazione della sofferenza’, ciò egli comprenderà secondo realtà.”

-Samādhisutta, SN 56.1 

Per coltivare il samādhi, è necessario sviluppare la consapevolezza (sati). La pratica della consapevolezza è di fatto il precursore del samādhi:

“l’unificazione della mente, ciò costituisce il samādhi; i quattro fondamenti della consapevolezza sono l’oggetto del samādhi; i quattro sforzi armoniosi sono il prerequisito al samādhi; la pratica costante di questi fattori, la loro coltivazione e sviluppo costante  costituisce la coltivazione del samādhi.”

-Cūḷa­ve­dalla­sutta, MN 44.

5. Paññāsaggezza: la saggezza o comprensione è la facoltà di comprendere la reale natura delle cose; come detto nel paragrafo sul samādhi, la saggezza è la capacità di penetrare le Quattro Nobili Verità, o da un’altra angolazione, di comprendere in profondità l’origine dipendente del dukkha (paticcasamuppada) e le tre caratteristiche dell’esistenza: l’incostanza di qualunque fenomeno, l’insoddisfazione insita in ogni esperienza mutevole, e la natura dipendente, impersonale ed effimera o vuota, tipica di tutto ciò che mutevole ed insoddisfacente. Secondo Punnaji:

“la saggezza è comprendere il Dhamma correttamente, ovvero comprendere tre cose: anicca, dukkha, anattā.
1. anicca: ogni cosa nel mondo va e viene, ogni cosa sorge e svanisce;
2. dukkha: Ciò che accade nel mondo non va come noi vorremmo; i nostri desideri sono in conflitto con la realtà della vita; le cose sorgono per poi svanire; noi vorremmo che le cose (piacevoli) fossero permanenti, ma queste sono incostanti e non obbediscono alle nostre aspettative, è ciò ci rende infelici;
3. anattā: In questo mondo nulla è realmente sotto il nostro potere, incluso il nostro corpo: nulla ci appartiene realmente; niente in questo mondo è realmente sotto il mio controllo; il corpo non è mio, la mente non è realmente mia. Non c’è nulla che possiamo definire realmente come ‘Mio’ in questo mondo. Comprendendo questi aspetti nella vita, possiamo abbandonare l’attaccamento, e questo produrrà la fine di ogni forma di sofferenza ed infelicità
.”

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