Immagine, materia, corporeità: tre approcci alla meditazione corporale

In accordo alla tradizione contemplativa del Buddhismo Theravāda, vi sono tre differenti modi di meditare sulla componente materiale dell’esperienza soggettiva:
1. prendendo come oggetto di meditazione un’immagine esteriore visualizzata;
2. meditando su di un oggetto materiale di uso comune;
3. focalizzando l’attenzione al proprio corpo fisico.

1.L’oggetto esteriore e la pratica della visualizzazione

Per quanto riguarda gli oggetti esterni, Il dotto commentatore Buddhagosha, autore del celebre Visuddhimagga, spiega che innanzitutto si dovrebbe fissare il proprio sguardo su di un oggetto materiale (Kasina) posto di fronte a sé; l’oggetto non dovrà essere né troppo distante né troppo vicino; lo sguardo non dovrà indugiare sui particolari o sulle imperfezioni dell’oggetto, ma se ne dovrà cogliere l’aspetto generale; una volta che l’immagine dell’oggetto sarà divenuta chiara e ben definita agli occhi dell’osservatore, si dovranno chiudere gli occhi e cercare di riprodurre mentalmente l’oggetto ricreandone le fattezze, la forma e il colore. La pratica dell’osservare un oggetto di meditazione di questo tipo è finalizzata allo sviluppo dei jhana, gli stadi di raccoglimento profondo propedeutici alla Vipassana (introspezione) vera e propria.

Il Visuddhimagga elenca dieci tipi di kasina: bianco, giallo, rosso e blu; Il kasina dell’elemento terra, fuoco, aria, vento, luce e spazio/etere. Le istruzioni sulla preparazione e la contemplazione di tali supporti materiali alla meditazione sono descritti con dovizia di particolari in questo stesso testo.

Tuttavia, come spiegato dallo stesso Buddhaghosa, l’oggetto più adatto al temperamento di ciascun praticante dovrebbe essere individuato assieme al proprio insegnante di Dharma ( vedasi la storia del monaco Panthaka riportata di seguito).

2. L’oggetto esteriore e la saggia riflessione

Un’altra pratica consiste nel prendere un oggetto materiale e osservarne la trasformazione con il passare del tempo; lo scopo di questa pratica è di familiarizzare la propria mente con la realtà universale di tutti i fenomeni fisici e mentali. A tal fine, si utilizzeranno oggetti fatti di materiali altamente deperibili come ad esempio un bastoncino di incenso, una candela o un mazzo di fiori posti su di un tavolo o un altare; questa pratica viene compiuta quotidianamente in tutti i templi e monasteri buddhisti in occasione della Puja giornaliera, recitando i seguenti versi:

“Puppham milayati yatha idamme Kayo tatha yati vinasabhavam”

“Proprio come questi fiori sono soggetti ad appassire, allo stesso modo questo mio corpo è [per sua natura] soggetto al decadimento.”

Un altro “mezzo abile” consiste nel prendere in esame un pezzo di tessuto bianco, un fazzoletto da tenere in mano o uno strofinaccio, il quale naturalmente cambierà colore con l’utilizzo e la manipolazione; questo genere di espediente è ideale se si vuole investigare la natura mutevole ed effimera delle cose. In seguito, il meditante dovrà applicare la stessa consapevolezza-comprensione al proprio corpo. I seguenti versi del Dhammapada descrivono si riferiscono a questo genere di pratiche:

“Uṭṭhānenappamādena,saṃyamena damena ca;
Dīpaṃ kayirātha medhāvī,yaṃ ogho nābhikīrati.”


“Con sforzo sostenuto, coscienziosità,
disciplina e autocontrollo,
il saggio faccia di sé un isola
che nessuna inondazione può travolgere.”


-Dhammapada 25, Appamāda Vagga

Il commentario spiega il significato di questi versi nel modo seguente:

“Un giovane monaco di nome Cūlapanthaka, incapace di memorizzare un versetto di sole quattro righe, venne invitato da suo fratello maggiore, anch’egli monaco, a lasciare la vita monastica; tuttavia, egli era riluttante nel fare ciò. Il Buddha, comprendendone il temperamento, diede lui un pezzo di stoffa bianca chiedendogli di tenerlo in mano dalla mattina fino a sera. Per via del sudore delle mani, il pezzo di stoffa cambiò presto colore; quella percezione del cambiamento di stato lo face riflettere sull’incostanza della vita; tramite quella meditazione Cūlapanthaka raggiunse la stato di Arahant.”

3. il corpo umano, i quattro elementi e le funzioni biologiche

Se invece si vuole prendere come oggetto di meditazione il proprio corpo, bisognerà portare l’attenzione ai cambiamenti che avvengono a livello delle sensazioni grossolane ( legate cioè ai cinque sensi), oppure contemplare il corpo stesso dal punto di vista dei quattro elementi caratterizzanti la materia (catudhātuvatthāna): inerzia, plasticità, volatilità e calore; anche il guardare un’ immagine del passato confrontandola con l’immagine attuale dello stesso oggetto può essere un esercizio di grande beneficio se si vuole realizzare l’inesorabile cambiamento di tutte le cose.

Infine, il corpo rivela la propria natura cangiante e fluida attraverso le proprie funzioni, come ad esempio il respiro, il battito del cuore, il metabolismo e l’alternarsi degli stati di sonno e veglia, di fame e sazietà eccetera.

Tutti questi aspetti della corporeità sono indizi circa la vera natura dei fenomeni fisici e mentali.In sintesi, mentre il primo tipo di esercizi ha come scopo la coltivazione dei Jhana e del samadhi, questi ultimi due sono finalizzati allo sviluppo della vipassanā ( comprensione profonda) vera e propria.

( A cura di Davide Puglisi)

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