
IL PRAGMATISMO DEL BUDDHA
«Vi sono, o monaci, queste quattro Nobili Verità: la nobile verità sulla sofferenza, la nobile verità sull’origine della sofferenza, la nobile verità sulla cessazione della sofferenza e la nobile verità sul sentiero che conduce alla cessazione della sofferenza. Queste quattro Nobili Verità, o monaci, sono reali (tathāni), non irreali (avitathāni), non altrimenti (anaññathāni). Per questo, o monaci, sono chiamate ‘Nobili Verità’. Perciò, o monaci, dovreste meditare (yoga): ‘questa è la sofferenza’… ‘questa è la sua origine’… ‘questa è la cessazione della sofferenza’…‘questo è il sentiero conducente alla cessazione della sofferenza’».
–Thatasutta, SN 56.3
Le Quattro Verità sono dette nobili o Ariya in quanto la loro funzione è di condurre (Āyāti) al di fuori della portata del nemico (ari); in questo contesto, con nemico si intendono i veleni interiori causa di sofferenza. Nel passo sopracitato, il Buddha definisce le nobili verità come ‘reali’. ‘tathā’. Questo vocabolo è un avverbio che letteralmente significa ‘cosi’, ‘tale’, ‘in questo modo’. La tathatā è la talità, la realtà delle cose. Il Buddha stesso è definito Tathāgata, ‘colui che ha pervenuto (gata, andato) alla realtà (tathā), oppure ‘colui che è sorto (agata, venire) dalla realtà’. Chi professa l’ideale della verità, la quale è oltre tutti i punti di vista artificiosi e le costruzioni del pensiero è detto ‘yathārthavādin’, ‘realista’. Un realista è una persona che ha colto la natura mutevole, insoddisfacente, impersonale e interdipendente di tutte le esperienze, di tutto ciò che percepisce.
Per quanto riguarda il termine ‘sacca’, esso deriva dalla radice verbale vedica ‘sat’, ‘essere’, ed è traducibile sia come «verità» che come «realtà», in quanto, dalla prospettiva dharmica, ciò che è reale è vero, e ciò che è vero è reale. Il concetto di verità è quindi da intendersi in senso puramente pratico.
Nel Visuddhimagga, Buddhaghosa spiega che il termine sacca possiede diversi significati: «Questa parola ‘verità’ (sacca) possiede diversi significati: nel versi «Si affermi la verità, senza rabbia» (Dhp 224), si tratta di una verità comunicativa. In passaggi come «Asceti e Brahmana si basano sulla verità» ci si riferisce alla verità in quanto astensione dalla menzogna. In passi quali «Perché i saggi visionari dichiarano verità differenti?» (Sn 885) si parla di verità in quanto punti di vista. In passaggi quali «La Verità è una sola, non ce n’è una seconda» (Sn884) ci si riferisce alla verità dal punto di vista ultimo, al Nibbana e al sentiero. In passaggi quali « Delle quattro verità, quante di esse sono di beneficio?» (Vibh 112) si tratta della Nobile Verità.
-Visuddhimagga XVI. 13
Secondo il Prof. Asanga Tilakaratne, «Nel definire la sofferenza una verità, ciò che si intende è che essa è realmente esistente in quanto parte essenziale della vita umana; essa necessita di essere compresa». Similmente, lo studioso Jose I Cabezon scrive: «In questo contesto, il termine «Verità» è riferito alla validità dal punto di vista soteriologico, non all’assenza di inconsistenze logiche».
ONTOLOGIA ED EPISTEMOLGIA
Nel libro Il Pensiero Del Buddha, Richard Gombrich afferma: «Le Upanisad non distinguono fra ontologia ed epistemologia. Ciò significa che non fanno differenza fra la realtà e la verità. Ma per noi la realtà è una proprietà delle cose, mentre la verità è una proprietà delle proposizioni»; e ancora : «la parola sanscrita satyam e la corrispondente parola pali saccam possono effettivamente significare «verità» o «realtà», ma nella nostra lingua ciò non funziona».
Dal punto di vista ontologico, Il Buddha affermò che «non vi è alcuna teoria che possa essere considerata come verità assoluta, al di là delle percezioni (leggasi: proiezioni) soggettive di ciascun individuo»:
«Ekañhi saccaṃ na dutīyamatthi,
Yasmiṃ pajā no vivade pajānaṃ;
Nānā te saccāni sayaṃ thunanti,
Tasmā na ekaṃ samaṇā vadanti».
«La verità è una sola, non ne esiste una seconda;
In riguardo a ciò non vi è conflitto fra i saggi.
[Tuttavia], Gli asceti proclamano le proprie molteplici verità;
perciò essi non affermano tutti un’unica [verità] ».
«Na heva saccāni bahūni nānā,
Aññatra saññāya niccāni loke;
Takkañca diṭṭhīsu pakappayitvā,
Saccaṃ musāti dvayadhammamāhu».
«Nel mondo non esistono molteplici verità costanti,
al di fuori delle [proprie] percezioni;
Avendo fabbricato le opinioni sulla base della speculazione,
essi affermano una dualità: il vero e il falso».
-Sutta Nipāta 4.12
I SEDICI ATTRIBUTI DELLE QUATTRO NOBILI VERITÀ
Tornando al concetto di verità o realtà come inteso dall’epistemologia buddhista, nel Paṭisambhidāmagga si legge: «In che senso la sofferenza è una verità (saccam) nel senso di realtà (tathaṭṭhena)? La sofferenza ha quattro attributi (attha, significato), i quali sono reali, non irreali, non altrimenti: è oppressione, è condizionata, è un tormento ed è cambiamento. L’origine della sofferenza ha quattro attributi i quali sono reali, non irreali, non altrimenti: è accumulo, è condizione, legame e impedimento. La cessazione della sofferenza ha quattro attributi, i quali sono reali, non irreali, non altrimenti: è una via d’uscita, è indipendenza (viveka), incondizionato e non-morte. Il sentiero ha quattro attributi : è abbandono, è causa, visione e sovranità» .
Allo stesso modo, il commentatore Buddhaghosa sottolinea l’atteggiamento pragmatico e antidogmatico da parte del Buddha nel parlare di verità: «La verità della sofferenza è paragonabile alla malattia, la verità dell’origine della sofferenza alla causa della malattia, la verità dell’estinzione della sofferenza alla cura della malattia, e la verità del Sentiero alla medicina».
RISVEGLIARSI ALLA VERITÀ
Nel Caṅkīsutta, (Majjhima Nikaya 95), il Buddha espone la metodologia attraverso la quale è possibile pervenire alla verità:
«Maestro Gotama, in che modo ci si risveglia alla verità?»
«Bhāradvāja, un monaco vive in prossimità di un certo villaggio o città. E un capofamiglia o il figlio di un capofamiglia si recasse presso di lui e indagasse in merito a tre tipi di stati: stati basati sull’avidità, stati basati sull’odio e stati basati sull’ignoranza: “Ci sono in questo venerabile degli stati basati sull’avidità tali che, con la mente ossessionata da quegli stati, pur non sapendo potrebbe dire: “Lo so”, o pur non capendo dicesse: “Capisco”, o potrebbe esortare gli altri ad agire in un modo che porterebbe essere loro di danno e sofferenza per molto tempo?” Indagando in questo modo egli realizzasse: “In questo venerabile non ci sono stati del genere basati sull’avidità. Il comportamento fisico e verbale di questo venerabile non sono quelli di uno affetto da avidità. E il Dhamma che questo venerabile insegna è profondo, difficile da vedere e difficile da capire, pacifico e sublime, irraggiungibile con il semplice ragionamento, sottile, per essere sperimentato dai saggi. Un tale Dhamma non può essere insegnato facilmente da chi è affetto dall’avidità.’ Quindi, dopo aver investigato quel monaco in tale modo, egli investiga ulteriormente in riguardo a stati mentali basati sull’odio […]sull’ignoranza[…][come nel paragrafo precedente].
Avendo investigato in questo modo, avendo compreso che quel monaco è libero da stati basati sull’ignoranza, allora egli ripone la propria fiducia (saddha) in lui; sorta la fiducia, si reca a visitarlo (upasaṅkamati) e gli rende omaggio (payirupāsati); avendogli reso omaggio, si pone all’ascolto (sotaṁ odahati); ascoltandolo, apprende il Dhamma (dhammaṁ suṇāti); avendo appreso il Dhamma, lo memorizza (dhammaṁ dhāreti) e ne esamina il significato (atthaṁ upaparikkhati); avendone esaminato il significato, sviluppa un’accettazione basata sulla riflessione (dhammanijjhānakkhantiyā); avendo ottenuto un’accettazione riflessiva degli insegnamenti, in lui sorge il desiderio [di praticare] (chanda); quando è sorto il desiderio, egli si applica con volontà (ussahati) ; applicandosi con volontà, investiga (tuleti); avendo investigato, si sforza (padahati); sforzandosi risolutamente, realizza con il corpo la verità suprema e la vede penetrandola con saggezza».
In conclusione, possiamo affermare che la nozione buddhista di verità o realtà ha una valenza puramente pratica, teleologica, e non deve essere intesa dogmaticamente.
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