
«Monaci, l’intenzione io intendo per Karma. Dopo aver deciso, uno agisce tramite il corpo, la parola e la mente. Ma qual è l’origine dell’intenzione? Il contatto, è l’origine dell’intenzione.»
– Nibbedhikasutta, AN 6.63
R.G de Silva Wettimunny,
The Buddha’s teaching and the ambiguity of existence
In merito alla questione dell’intenzione o scelta, vi è il problema di cosa in realtà determini l’intenzione. Cosa decide se debba essere questa o quell’altra intenzione a dover essere attuata? La risposta a questa domanda è di grande importanza, in quanto essa permetterebbe all’uomo comune di capire che le proprie idee circa le sue stesse azioni siano inconsistenti e non così nobili e disinteressate come egli sovente immagina che siano. Ciò che determina la scelta è la pura e semplice percezione del piacere o del dolore. Di tutte le intenzioni presenti immaginabili, quella effettivamente attuata sarà unicamente quella che egli pensa possa garantirgli il più alto livello di piacere nel presente o nell’immediato futuro. Tutte le attività intenzionali dell’uomo comune, da quelle maggiormente ponderate a quelle sommamente sconsiderate, sono tutte determinate dalla previsione del piacere o del dolore. Anche ciò che uno definisce pomposamente il proprio ‘dovere’, è determinato da questo meccanismo. Se si compie il proprio dovere è solamente perché qualora si agisse negligentemente, si sarebbe destinati a sperimentare una qualche forma di dolore. Perfino quando uno decide di rinunciare a un piacere immediato, ci si comporta così in vista di ciò che uno immagina sia un piacere più grande nel futuro.
Quando vi è un’azione, in essa è sempre presente un certo livello di riflessione; a livello più basilare, questa facoltà della riflessione è definibile come ‘tendenza’ o ‘inclinazione’; a questo livello, un’azione è irrevocabile, e tuttavia essa può essere modificata o mitigata tramite un’attività riflessiva di livello più alto, ovvero prendendo coscienza dell’azione in cui mi sono impegnato per via delle mie inclinazioni. Ma la scelta può anche essere compiuta deliberatamente; in questo caso essa è revocabile.
L’idea, molto comune e conveniente, che le nostre tendenze siano dei meri impulsi ai quali possiamo solamente sottometterci passivamente è un errore; lungi dall’essere un impulso che deve essere subito passivamente, una tendenza è una ricerca attiva finalizzata a determinare una situazione ancora indeterminata.
Di notte, ho la tendenza a dormire, non di correre; la mia situazione è perciò gravida con la possibilità di addormentarmi, e l’intenzione di dormire è quindi immediata, involontaria. Ma per mettermi a correre dovrei volontariamente decidere di correre, e compiere uno sforzo deliberato per correre.
Quando la psicologia definisce le tendenze un dato di fatto, essa priva le tendenze stesse del loro carattere essenziale, la loro natura appetitiva, e di conseguenza, della loro modificabilità.
Rispondi