
«L’attenzione [1] è la via del senza morte[2],
la disattenzione è la via della morte.
Gli attenti non muoiono mai,
i disattenti sono come già morti.
Avendo compreso questa differenza
riguardo all’attenzione,
I saggi gioiscono nell’attenzione,
felici nella condizione propria degli esseri nobili.
Coloro i quali, costanti nella meditazione,
e stabili nella perserveranza,
sperimentano l’emancipazione,
l’incomparabile libertà dalla schiavitù.»
–Dhammapada 21-23
Il Buddha non disse che avrebbe sperimentato lo stato del senza-morte alla fine della sua vita; egli disse che, al pari degli altri arahant, viveva sperimentando lo stato del senza morte. Nell’esortare i cinque monaci in quel di Benares ad ascoltarlo, il Buddha descrisse se stesso in questi termini:
«Il Tathāgatha, monaci, è un arahant, completamente risvegliato; ascoltate, monaci; Il senza morte è stato raggiunto; ora vi istruirò.» [3]
Perciò, il senza morte è uno stato ottenuto e realizzato dagli arahant. «Avendolo ottenuto e realizzato» (sacchikatvā upasampajja), l’arahant «dimora sperimentandolo nel proprio corpo» (kāyena ca phusitvā viharati). [4]
Trascendere la morte non signfica vivere in eterno. La morte è trascesa rimuovendo quei fenomeni a cui la nozione di morte è applicabile. L’esperienza dell’Arahant vivente è detta ‘senza nascita’, ‘senza invecchiamento’ e ‘senza morte’; ciò è dovuto al fatto che qualunque soggettività, -l’essere, ‘io’ o ‘sé’- alla quale le nozioni di nascita, invecchiamento e morte si riferiscono, è stata completamente sradicata in maniera definitiva:
«Questo è il senza-morte, ovvero: la liberazione della mente tramite il non attaccamento.»[5]
R. Wettimunny
1. Il termine appamāda è la forma negativa di pamāda, negligenza. In senso positivo, può essere tradotto con ‘attenzione’, ‘sollecitudine’, ‘cura’, ‘diligenza’. Il concetto di appamāda è strettamente correlato con quello di sati (presenza, consapevolezza) e ne rappresenta l’estensione pratica nel campo etico e comportamentale.Sul concetto di appamāda, il ven Bhikkhu Bodhi scrive:
«Il progetto di auto-coltivazione, che il Buddha definì come un mezzo per la liberazione dalla sofferenza, richiede il mantenere un’osservazione critica sui movimenti della nostra mente, sia quando questi determinano azioni corporee e verbali sia quando rimangono interiormente assorbiti con le proprie preoccupazioni. Esercitare tale auto-scrutinio è un aspetto dell’attenzione (appamāda), che il Buddha affermò essere il sentiero per l’emancipazione.»
Secondo Il venerabile P.A. Payutto,
«Il termine sati significa semplicemente “ricordare”, ma tale traduzione potrebbe dare l’idea che si tratti semplicemente di un aspetto della memoria. Sebbene la memoria sia un elemento della funzione di sati, ciò non rende piena giustizia al significato essenziale del termine. In senso negativo, oltre al significato di ‘non dimenticanza’ (la controparte diretta del termine positivo ‘ricordare’), sati si riferisce anche a ‘non-negligenza’, ‘non-distrazione’, ‘non- sfocatura e confusione ‘.
Questi significati espressi negativamente indicano le qualità positive di cura, circospezione, prontezza ai propri doveri e la condizione di essere costantemente presenti nella consapevolezza delle varie cose con cui entriamo in contatto, nonché la facoltà di rispondere ad esse in modo appropriato.
In particolare, quando si parla di condotta etica, il funzionamento di sati è spesso paragonato a quello di un guardiano, il cui compito è di controllare le persone che entrano ed escono, regolando gli affari, consentendo l’ingresso e l’uscita a coloro i quali è appropriato e vietandolo a coloro i quali non lo è.
Il Buddhadhamma enfatizza l’importanza di sati a ogni livello di condotta etica. Vivere o praticare il Dhamma costantemente governati da sati è detto “appamāda” o attenzione. L’appamāda è di fondamentale importanza per progredire in un sistema etico, ed è solitamente definito come una ‘non separazione’ da sati.
Dal punto di vista del suo significato, appamāda è classificato come un “fattore interno”, così come yoniso-manasikara (abile riflessione), e forma una coppia con la sua controparte esterna, kalyanamittata (l’associarsi ad amici virtuosi). Nei testi attribuiti al Buddha, il significato di questo termine si sovrappone a quello di yoniso-manasikara, poiché questi due dhamma hanno la stessa importanza, sebbene differiscano nell’applicazione.
Yoniso-manasikara è incluso nella Sezione Pañña (saggezza) del sentiero; d’altra parte, appamāda fa parte della sezione del samādhi (meditazione); appamāda è ciò che governa l’uso della yoniso-manasikara, sollecita il suo impiego e ispira costantemente a ulteriori progressi.»
2.Amata, un designazione metaforica per lo stato di emancipazione o nibbana.
3.Vinaya Pitaka, Mahāvagga I, Pancavaggiyakathā.
4.Majjhima Nikāya, Sutta n° 70.
5. «Etam amatam anupadā cittassa’vimokkho.» (MN 106).
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