Origine interdipendente: causa ed effetto

Originazione interdipendente: causa ed effetto,

Ven. Ayya Khema

L’insegnamento del Buddha si può definire l’insegnamento di causa ed effetto, data la loro importanza nell’esposizione del dhamma. Letteralmente, il termine dhamma significa legge’ o ‘legge di natura. L’esposizione del dhamma corrisponde quindi alla descrizione della legge & natura, di cui causa ed effetto costituiscono parte integrante.

Il Buddha non ha insegnato il Buddhismo, che è una definizione posteriore, ma ha chiamato il proprio insegnamento il dhamma. «Chi vede l’originazione interdipendente vede il dhamma; chi vede il dhamma vede l’originazione interdipendente». Vedere significa vedere interiormente dentro di sé, e ‘originazione interdipendente’ denota il principio d causa ed effetto. Su quest’ultimo il Buddha ha dato due distinti insegnamenti, entrambi di primaria applicazione nella nostra vita. Se non solo li capiamo, ma li mettiamo in pratica, scopriremo che la nostra vita fluirà molto più armoniosamente.

Dobbiamo tenere sempre a mente che la meditazione, di per sé, non produce risultati. Può indurre calma, ma non la reale trasformazione indotta da un sentiero spirituale. La meditazione è uno strumento per raffinare, rafforzare e calmare la mente, e non fine a se stessa. È l’unico modo per sviluppare la mente al meglio delle sue possibilità, e dobbiamo usarlo per lo scopo cui la meditazione è specificamente intesa, la crescita nella sfera del pensiero e dell’emozione. Così educheremo una mente matura, libera da fattori ostruenti.

Il Buddha diede la prima spiegazione dell’originazione interdiperdente in forma di disegno tracciato sulla sabbia. I monaci ne furono tanto deliziati che gli chiesero il permesso di riprodurlo. Il Buddha consenti e stabilì che in ogni monastero ne fosse esposta una copia, mentre un monaco appositamente designato avrebbe spiegato ai visitatori il senso dell’originazione interdipendente. L’invasione musulmana distrusse monasteri e manufatti del tempo del Buddha ma Il disegno passò in Tibet, dove possiamo ammirarlo ancora oggi in una versione ricca di particolari e artisticamente rielaborata. Al tempo del Buddha, doveva essere molto più semplice.

L’immagine attuale è racchiusa in un cerchio, o una ruota, sorretto esternamente da una tigre. Il corpo della tigre è nascosto dal disegno, e solo la testa e la coda compaiono al di sopra e al di sotto del cerchio. La tigre porta in testa un diadema di cinque teschi, che rappresentano i cinque componenti dell’essere umano chiamati i cinque aggregati (khanda). La tigre è adorna e ingentilita (riccioli sulla testa, braccialetti alle zampe e anelli alle dita), ma conserva tutta la sua naturale ferocia. Le fauci spalancate sembrano voler divorare la ruota. Simboleggia l’impermanenza. Non importa con quanti ornamenti la adorniamo: l’impermanenza finirà sempre per divorarci.

Al centro della ruota è raffigurato un cerchio più piccolo che racchiude tre animali (un serpente, un gallo e un maiale) uniti per la coda a formare una ruota interna. Il serpente, carico di veleno, simboleggia l’odio; il gallo, signore del pollaio, simboleggia il desiderio; il maiale, accecato dal fango in cui immerge il grugno, simboleggia l’ignoranza. I tre animali incarnano le radici non salutari che riceviamo per diritto di nascita. L’ignoranza è il fattore causante; l’odio e il desiderio sono i due fattori risultanti.

Accettando la realtà della nostra mancanza di saggezza, dei nostri desideri e delle nostre avversioni, diventiamo più tolleranti, più capaci di accettare noi stessi e gli altri, chiunque essi siano. Alcuni hanno magari giurisdizione su un’intera nazione, altri hanno il potere di dichiarare guerra, e altri ancora sono semplicemente le persone con cui viviamo, ma tutti siamo intessuti di odio, desiderio e ignoranza. Solo l’Illuminato si è liberato da queste contaminazioni. Basta un po’ d’introspezione per trovarle dentro di noi, specie l’odio e il desiderio. Riconoscere l’illusione è più difficile, perché per vederla ci vuole la saggezza. Non occorre vedere odio e desiderio solo negli estremi della violenza e della passione. Si producono con ogni reazione piacevole o spiacevole. Ogni volta che vogliamo o rifiutiamo, ecco il desiderio e l’odio. Vedendoli in noi stessi, li riconosciamo come il grande dilemma umano. Solo allora potremo usare la nostra facoltà cognitiva e la nostra tolleranza emotiva nel modo giusto. Le persone sono diverse, ma si tratta di una diversità minima. Il vero cambiamento si attua con la liberazione, con l’instaurarsi della libertà.

Il cerchio dei tre animali è inserito in un cerchio più grande, in genere diviso in sei parti che simboleggiano i sei reami dell’esistenza. Il primo rappresenta il reame umano, e la sua descrizione è lasciata interamente all’artista: madri con i figli, contadini nelle risaie, macchinari, veicoli. A volte compaiono scene di guerra. Il secondo rappresenta il reame animale, con le sue varie specie. Il terzo è il reame infernale, cioè uno stato di coscienza corrotta. All’artista è consentito sbizzarrire la fantasia: fiamme, torture, inondazioni e carestie tormentano gli infelici abitanti. Segue il reame degli spiriti affamati, esseri dotati di una bocca e un collo minuscoli ma di un ventre enorme, impossibile da riempire. Il loro desiderio è stato così grande che non può trovare appagamento, il che identifica un altro infimo stato di coscienza. Seguono gli asura, esseri in perenne lotta, impegnati senza tregua nella guerra e nell’aggressione. Questi quattro reami sono al di sotto del reame umano. L’ultimo è il reame dei Deva, paragonabile al paradiso o all’isola di Utopia, splendide dimore abitate da esseri piacevoli, rallegrate da fiori e farfalle dagli squisiti colori. Questi stati di coscienza sono sperimentabili da tutti noi nel corso della vita.

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