Cos’è il Buddhismo?

COS’È IL BUDDHISMO?

Religione, filosofia e la nozione di Dharma

«Il Buddha è morto più o meno quando Pericle saliva al potere ad Atene, cioè nel quinto secolo prima di Cristo. La sua non era una religione vera e propria ma una vera e propria filosofia dell’esistere.»

– Philippe Daverio

In Occidente si dibatte spesso sulla natura dell’insegnamento del Buddha, ovvero, se esso sia una religione, una filosofia, una dottrina o uno “stile di vita”, come spesso si sente dire oggigiorno. Religione, filosofia, psicologia e scienza sono tutti concetti nati nell’ambito della cultura occidentale; la nozione indiana di Dharma non corrisponde a nessuna di queste categorie. E tuttavia, il cosiddetto Buddhismo (il sistema sviluppatosi sulla base degli insegnamenti del Buddha Gautama) contiene in sé elementi assimilabili a tutte queste categorie di pensiero.

Dharma e religione

Secondo la tesi Ciceroniana, il termine religione deriverebbe dal latino relegĕre, composto dal prefisso re- che indica frequenza + legĕre = scegliere ed in senso lato, cercare, guardare con attenzione, avere riguardo, avere cura: «coloro, invece, che diligentemente riesaminassero e, tanto quanto, osservassero tutto ciò che fosse pertinente il culto degli dei sono detti religiosi (che deriva) da relegere, come eleganti (deriva) da eligere, diligenti (deriva) da diligere, intelligenti (deriva) da intelligere; infatti, in tutte queste parole è contenuto il valore di legere, lo stesso che in religioso.»

(Cicerone, De natura deorum ad M. Brutum liber secundus 28,72)

Secondo la tesi lattanziana – dal latino religāre, composto dal prefisso re-, intensivo + ligāre = unire insieme, legare:

«Per questo vincolo di pietà siamo stretti e legati a Dio: onde (ossia: dall’essere legati) prese il nome la stessa religione, e non come Cicerone ha interpretato, da relegere. »

(Lattanzio, Divinarum Institutionum liber IV 28,2.)

Tuttavia, nel linguaggio comune, questo termine ha assunto il senso, (quasi sempre negativo) di sistema di credenze, di fede cieca e irrazionale in entità o fenomeni non direttamente conoscibili dalla mente umana, di dogmi arcaici e fanatismi obsoleti. Inutile dirlo, tutto ciò, ha ben poco a che vedere con l’insegnamento del Buddha come concepito originariamente dallo stesso fondatore storico. Da questo punto di vista, l’insegnamento del Buddha può essere definito come una ‘ligione’, un ‘cercare’, ‘guardare con attenzione’, ‘avere riguardo’ e ‘cura’, secondo l’accezione ciceroniana, ed un sistema spirituale volto ad ‘unire assieme’ o ‘unificare’ la percezione soggettiva alla realtà oggettiva della cose (dharma), secondo l’etimologia proposta da Lattanzio.

Per il Rev. Dr. Sumana Siri, la differenza fondamentale fra le religioni abramitiche e le vie del Dharma è che le prime si fondano sul concetto cardine di ‘peccato originale’, mentre le ultime sull’idea di ‘purezza originale’ della mente. Tale idea, enfatizzata da alcune correnti del mahāyāna, era già presente negli antichi testi in lingua pāli, come in questo famoso verso tratto dall’Aṅguttaranikāya:

«la mente, o monaci è completamente radiosa,
e tuttavia contaminata da contaminazioni passeggere.»

(AN 1.50)

Dharma e Filosofia

Il termine italiano filosofia, del greco ‘Amore per la sapienza’, corrisponde al darśana-nikaya delle lingue indiane; il termine sanscrito darśana, letteralmente significa: ‘visione della verità’, dalla radice verbale √dṛś, ‘visione’. Secondo la concezione indiana, un filosofo non è un mero conoscitore di idee altrui con la passione per la speculazione intellettuale, ma bensì un individuo appartenente alla schiera di coloro che hanno un’intuizione diretta della realtà ultima (Darśananikayn). La nozione di darśananikaya, se correttamente intesa e contestualizzata in accordo al Dharma, può benissimo essere utilizzata quale sostituta del fuorviante ‘Buddhismo’. Non di rado infatti, i maestri orientali utilizzano il termine Darśananikaya invece del più popolare ma impreciso ‘religione buddhista’, come nella seguente affermazione del Venerabile Siri Samanthabhadra Thero:

«I filosofi (Darshananikyn in sinhala) abbracciano la morte, mentre gli sciocchi la combattono!»

Tre prospettive storiche

Da punto di vista storico-filologico, possiamo distinguere tre diverse fasi dello sviluppo del Buddhismo, qui elencate in ordine cronologico:

1.Esposizione del Dharma;

2.Buddhismo sistematizzato o dottrinale;

3.Buddhismo religioso.

Queste tre tipologie sono inestricabilmente mescolate fra loro, tanto che è quasi impossibile operare una netta separazione fra gli elementi religiosi, quelli dottrinali e quelli puramente dharmici.

1. Dharma

In origine, l’insegnamento del Buddha era definito ‘Dharma’; ‘dharma’ è ciò che detiene o possiede (dharati) una certa modalità di esistenza: nascere, trasformarsi e perire; fondamentalmente, dharma significa ‘cosa’, ‘oggetto’ o fenomeno’, in quanto un oggetto detiene o possiede (dharati) una certa qualità; per estensione, il concetto di dharma assunse la valenza di ‘vera natura delle cose’ di ‘natura di tutti i fenomeni’. Buddhismo, Giainismo Induismo sono definiti Dharma in quanto possiedono un duplice funzione:

1. Illustrare la vera natura delle cose;

2. mostrare una metodologia pratica atta alla realizzazione diretta di tale natura.

Il Dharma è direttamente esperibile (sandiṭṭhiko) atemporale (akāliko), esperienziale (ehipassiko), escatologico (opaneyyiko), da sperimentare tramite la propria intelligenza (paccattaṃ veditabbo viññūhī).

Secondo Siri Samanthabhadra Thera, «Il Dharma non è qualcosa di strano..diventate consci della vostra vita..consci della vostra mente…consci dei pensieri che sorgono e svaniscono…e di come questi condizionino la vostra vita».

2. Buddhismo dottrinale

Nel periodo successivo alla morte del fondatore, l’insegnamento esposto in numerosi discorsi pubblici, si evolse lentamente un sistema dottrinario, detto Buddhasāsana (Dottrina del Buddha); gli enunciati contenuti nei discorsi vennero sintetizzati in un sistema dottrinale abbastanza omogeneo, ed in seguito interpretati e commentati in specifici testi detti esegetici detti Aṭṭhakathā (commentari); quindi, per via delle diverse interpretazioni date a questo sistema di dottrine, si vennero a formare diverse scuole, le 18 scuole del primo Buddhismo. Ognuna di esse differiva dalla altre proprio per via delle differenti interpretazioni date ai punti più sottili del sistema dottrinale del Buddhasāsana.

Tre mesi dopo la morte del Buddha, i discepoli superstiti, al fine di preservare il suo insegnamento per le generazioni successive, decisero di tenere un concilio in cui sarebbero stati fissati sia l’insegnamento che le regole della disciplina monastica, sulla base di ciò che era stato udito dai discepoli più vicini al maestro; in special modo Ananda ed Upali, l’ex barbiere dei Sakya, che in quanto addetto alla rasatura dei nuovi ordinandi aveva udito personalmente un’infinità di volte la recitazione delle regole monastiche imposta ad ogni nuovo monaco; Ananda venne invitato a condividere i discorsi da lui uditi, mentre Upali trasmise per intero il corpus della regola monastica. Per questa ragione, ogni discorso della raccolta dei sutta o del Vinaya inizia con la frase: «Evaṃ me sutaṃ», «Così ho udito».

Il concilio, presieduto da Mahā Kassapa e patrocinato dal Re Ajatasattu, venne tenuto in una località tutt’ora esistente chiamata “cava dei sette saggi”, -un terrazzamento roccioso comprensivo di sette cave che si affaccia sulla città di Rajgir, nell’odierno stato del Bihar – e continuò per circa tre mesi.

Circa cento anni dopo questo primo concilio, all’interno della comunità monastica vennero a manifestarsi delle divergenze di opinioni in merito a certi punti minori della disciplina: Un gruppo di monaci di etnia Vajji propose l’abolizione di un decina di restrizioni presenti nel codice etico dei monaci elencate nella seconda sezione del Vinaya Pitaka, il canestro della disciplina e nel Mahāvamsa, un testo redatto a Ceylon sulla storia del Buddhismo antico. Le dieci regole in questione erano:

1. La possibilità di conservare del sale per condire gli alimenti non saporiti,

2.La possibilità di mangiare fuori dal tempo prescritto, ovvero anche dopo mezzogiorno,

3. Andare nei villaggi ed accettare altro cibo dopo aver consumato il pasto principale,

4.Celebrare l’assemblea mensile (uposatha) in diverse sedi dello stesso distretto,

5. Prendere decisioni sull’amministrazione dell’ordine in assenza del numero legale,

6. Seguire l’esempio del proprio precettore/maestro anche in caso di comportamenti erronei o contrari al Dharma ed alla disciplina,

7. Bere latte non frullato,

8.Bere bevande alcoliche non fermentate,

9.Utilizzare stuoie per sedersi non rifinite da frange( senza orli),

10.Accettare oro e argento dai laici, cioè il denaro.

Queste proposte suscitarono polemiche e discussioni senza fine, e si formarono due fazioni, i favorevoli e i contrari; Al fine di risolvere la questione, venne indetto un secondo concilio, tenutosi nella città di Vaishali, ma non riuscendo a trovare una posizione comune, la questione venne decisa con un referendum fra gli otto monaci più anziani presenti, che rigettarono in toto le proposte di modifica avanzate dai monaci di etnia Vajji. Qualche tempo dopo, i Vajji, usciti sconfitti dal concilio tennero un contro-concilio in cui venne elaborato un manifesto in cinque punti dove per la prima volta venivano messe in discussione le qualità di un Arahant. L’intento era evidentemente quello di mettere in cattiva luce i monaci anziani agli occhi dei sostenitori laici, una sorta di rappresaglia messa in atto per punire i monaci anziani per aver rigettato le proposte di modifica alla disciplina monastica. I cinque punti erano:

1. Un Arahant può essere soggetto a sogni erotici accompagnati da polluzioni notturne;

2. Un Arahant non ha la piena conoscenza in riguardo ad argomenti non dharmici;

3.Un Arahant può essere soggetto al dubbio in riguardo a cose diverse dal Dharma;

4.Non è possibile ottenere la condizione di Arahant senza l’ausilio di un maestro esterno;

5.Un Arahant potrebbe intraprendere il nobile sentiero sulla base di stati d’animo negativi come la tristezza o la pena.

A questo contro-concilio, presieduto da un monaco di nome Mahadeva, prese parte un grande numero di monaci, e per questa ragione, i suoi partecipanti presero il nome di Mahāsāṃghika, quelli della grande assemblea. I monaci anziani, rimasti in minoranza, rigettarono simili speculazioni costruite ad arte contro di loro, decisi a preservare l’insegnamento nella sua forma originaria. Si consumò quindi la prima vera e propria scissione nell’ordine monastico: da una parte i Mahāsāṃghika, da cui molto tempo dopo nacque quella corrente di pensiero nota ai giorni nostri come il grande veicolo (Mahāyāna), e dall’altra i monaci anziani dalle idee più conservatrici, noti ai posteri con l’appellativo di Staviravadin o Sthaviranikāya, il gruppo dei monaci anziani.

Da queste due fazioni sorsero 18 scuole, sei dai Mahāsāṃghika e 12 dagli Staviravadin, fra le quali vi è la stessa scuola Theravāda delle origini, conosciuta con il nome di Vibhajjavā.

Di seguito l’elenco delle dodici scuole sorte dallo Sthavira nikāya con i nomi in sanscrito:

Vibhajjavāda/ poi Theravāda

Mahīśāsaka

Sarvāstivāda

Kāśyapīya

Sankrantika

Sautrāntika

Dharmaguptaka

Vatsīputrīya

Dharmottarīya

Bhadrayānīya

Sannāgarika

Saṃmitīya

Le sei scuole nate in seno al Mahāsāṃghika:

Mahāsāṃghika

Gokulika

Prajñaptivāda

Bahuśrutīya

Ekavyahārikas

Caitika

3. Buddhismo religioso

Infine, dal fermento intellettuale e dallo sviluppo dottrinario e metafisico di queste scuole, si formarono, in diversi paesi dell’Asia, in diversi momenti storici, le specifiche forme di buddhismo che noi oggi conosciamo, il Theravāda o Via degli anziani, il Mahāyāna, o Grande veicolo, con le sue molteplici tradizioni ed il Vajrayāna, Il Veicolo adamantino.

Il Theravāda

La scuola antica o Theravāda ha origine quindi dalla scuola Vibhajjavāda, detta dei particolaristi o analizzatori, una corrente interna dello Sthavira nikāya; Il Theravāda è tutt’oggi praticato in Sri Lanka, Bangladesh, Thailandia, Birmania, Cambogia, Malesia,ed Indonesia.

Il Mahāyāna

Dalle scuole nate dal Mahāsāṃghika si originarono poi le due correnti principali del Mahāyāna, la Madhyamaka, (La Via di Mezzo), fondata da Nāgārjuna nel II secolo d.C, e la Yogācāra, conosciuta anche con i nomi di Vijñānavāda (idealisti) e Cittamātra (Mente-Matrice). Le dottrine di queste ultime due scuole sono tutt’ora seguite e praticate dalle tradizioni ad indirizzo Mahāyāna, ovvero, nel Buddhismo Cinese, Giapponese, Coreano, Vietnamita e Tibetano.

Il Vajrayāna

Dal Mahāyāna si sviluppò un’altra corrente di pensiero. a carattere esoterico, definita Vajrayāna, (Via Adamantina) o Tantrayāna ( Via del Lignaggio esoterico) o anche Mantrayāna (Via dei Mantra o sacri inni).

Secondo la storiografia contemporanea il Buddhismo Vajrayāna compare in India nel VI-VII secolo d.C. Esso consisterebbe in un sincretismo tra alcune dottrine induiste denominate tantrismo, fondate anche su credenze popolari sciamaniche, con il Buddhismo Mahāyāna. I suoi testi fondamentali, denominati Tantra, sono databili intorno a quel periodo. Se questi testi si fondano o meno su tradizioni orali precedenti è argomento ancora oggi controverso e discusso.

Invece, per la tradizione Vajrayāna stessa, le proprie dottrine sono assolutamente ortodosse e hanno origine, tra gli altri, dallo stesso Buddha Śākyamuni. Secondo tale tradizione il Buddhismo Vajrayāna è la forma di Buddhismo sviluppatasi a partire da quello che è stato definito il “Quarto giro della ruota del Dharma” da parte, tra gli altri, del Buddha Śakyamuni alla classe di discepoli aventi i requisiti necessari e comunque spiritualmente più maturi.

È in questo lungo processo di evoluzione, durato più di 2500 anni, che il Dharma esposto dal Buddha storico si è trasformato dapprima in un sistema dottrinario ed infine in una molteplicità di movimenti fortemente impregnati di elementi culturali, religiosi e folkloristici.

Gli yānā, i veicoli del Dharma

Il termine sanscrito yāna deriva dalla radice verbale yā- «muoversi», ed è generalmente tradotto con veicolo; benché nei discorsi del Canone Pali non vi sia alcun accenno ai differenti yāna, Il Buddhismo, nel corso della sua lunga storia, ha sviluppato diversi veicoli, in accordo alle differenti motivazioni di ciascun tipo di praticante. Lo stesso Buddha, in un celebre discorso, utilizza la metafora del veicolo per rappresentare la natura pragmatica del suo insegnamento:

«Quindi, il Sublime si recò al fiume Gange. E proprio in quel momento, il fiume era così pieno che anche un corvo avrebbe potuto abbeverarsi. E alcune persone stavano cercando una barca, un’imbarcazione, mentre altri ancora legavano assieme dei giunchi per costruire una zattera e raggiungere l’altra sponda. Ed il Sublime, vide quella gente che cercava una barca, che cercava un’imbarcazione o legava insieme dei giunchi per costruire una zattera e raggiungere l’altra sponda. Ed intuendo le loro intenzioni, pronunciò questi versi ispirati:

Volendo attraversare il mare, un lago o un fiume, le persone costruiscono ponti o zattere; i saggi invece hanno già attraversato.»

Mahāparinibbāna Sutta

A questo proposito, Il Lama Tibetano Tubten Yeshe scrive:

«La gente spesso pensa che la diversità tra lo Hīnayāna e il Mahāyāna si riferisca a un diverso punto di vista filosofico, ma la reale differenza consiste in un diverso stato della mente…sono sicuro che pensiate che l’Hīnayāna significhi vesti gialle e Mahāyāna vesti rosse. Dovete fare attenzione però, perché una persona che indossa le vesti gialle, che ha una grande e entusiastica determinazione di condurre tutte le madri esseri senzienti all’illuminazione tramite il proprio sforzo, senza preoccuparsi del proprio ottenimento del Nirvana, è sicuramente un praticante Mahāyāna. Una persona che indossa vesti rosse, che pensa unicamente alla propria liberazione, dato che percepisce chiaramente la natura di sofferenza della propria esistenza samsarica, è un praticante Hinayana.»

Di seguito una tabella riassuntiva dei diversi veicoli:

Loka yāna (lokiya marga): Il Veicolo mondano: è il veicolo di chi aspira ad ottenere una rinascita positiva in uno dei tre reami esistenziali superiori: il reame umano, quello dei semi dei e quello degli dei.

Śrāvakayāna : Il veicolo degli uditori (discepoli), prende il nome dal fatto che in epoca antica, il sapere veniva trasmesso oralmente da maestro a discepolo. E’ il veicolo di coloro i quali desiderano ottenere la propria liberazione dal circolo vizioso del Samsara. In alcuni testi è definito, in senso derogatorio come “Hīnayāna“ o veicolo inferiore.

Pratyekabuddhayāna : Il veicolo dei realizzatori solitari. Questi sono praticanti che hanno realizzato la liberazione tramite il proprio sforzo e saggezza, ma non avendo le capacità didattiche di guidare altri, ( prerogativa di un Buddha) rimangono silenti.

Bodhisattvayāna : Il sentiero del Bodhisattva, colui che aspira ad ottenere lo stato di Buddha al fine di condurre alla liberazione tutti gli esseri senza distinzioni di razza, cultura o religione. E’ anche detto pāramitāyāna, la Via delle perfezioni, per via dell’enfasi posta sulla pratica delle sei perfezioni di generosità, moralità, pazienza, perseveranza, concentrazione e saggezza, o Mahāyāna, Il Grande Veicolo.

Vajrayāna: Il Veicolo adamantino, anche detto Mantrayāna, veicolo dei mantra, o Tantrayāna, Veicolo del tantra, o (veicolo della trasformazione); E’ un sistema di pratica connessa al sistema Mahāyāna. Il Vajrayāna si basa su pratiche yogiche quali la meditazione sui mandala, la recitazione dei mantra e le pratiche di visualizzazione dei Buddha meditazione (Yidam). Nel Buddhismo Tibetano, esso è praticato in combinazione con gli insegnamenti degli altri veicoli.

Il Buddhismo Theravāda pone la propria enfasi sui primi tre veicoli; le diverse scuole Mahāyāna, come ad esempio lo Zen giapponese, Il Chan Cinese eccetera, comprendono anche il Bodhisattvayāna, mentre il sistema tibetano e lo Shingon giapponese includono tutte e cinque i veicoli. Infine, la scuola Nyingmapa del Buddhismo Tibetano suddivide ulteriormente la metodologia buddhista in nove veicoli, incorporando il Veicolo mondano nello Śrāvakayāna e suddividendo il sistema dei tantra in sei categorie.

A cura di

Davide Puglisi per Centro Dharma Saronno

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