Sati­paṭṭhā­na­ Sutta: I Fondamenti della Consapevolezza

Sati­paṭṭhā­na­sutta
I fondamenti della consapevolezza
Majjhima Nikāya 10


Così ho udito: in una certa occasione il Beato dimorava fra i Kurū, in un villaggio dei Kurū di nome Kammāsadhammae il Beato si rivolse ai monaci: “Monaci!” “Signore!” risposero quei monaci al Beato. Il Beato così parlò: 

“Monaci, questo è un Sentiero ad un’unica direzione, per la purificazione degli esseri, il superamento di tristezza e lamento, la pacificazione di dolore e sofferenza, il raggiungimento del giusto sentiero, la realizzazione della liberazione, ovvero: i quattro fondamenti della consapevolezza.

Quali quattro? Ecco, o monaci, un monaco vive osservando il corpo nel corpo, con ardore (ātāpī)1, lucida capacità di comprensione (sampajāno) e consapevole, avendo messo da parte bramosia [per le cose] del mondo e tristezza; vive osservando le sensazioni nelle sensazioni, con ardore, lucida capacità di comprensione e consapevole, avendo messo da parte bramosia[verso le cose] del mondo e tristezza; vive osservando la mente nella mente, con ardore, lucida capacità di comprensione e consapevole, avendo messo da parte bramosia[verso le cose] del mondo e tristezza; vive osservando i fenomeni nei fenomeni, con ardore, lucida capacità di comprensione e consapevole, avendo messo da parte bramosia [verso le cose] del mondo e tristezza.

1. Kāyānupassanā
1. La contemplazione del corpo

1.1. Kāyā­nu­passa­nā­ā­nā­pāna­pabba
1.1.La consapevolezza del corpo tramite il respiro

Ma come, o monaci, un monaco vive osservando il corpo nel corpo? Ecco, monaci, quel monaco, recatosi in una foresta, ai piedi di un albero, o in una stanza vuota, dopo essersi seduto a gambe incrociate, con il busto eretto, e avendo stabilito la consapevolezza di fronte sé2, inspira consapevolmente, espira consapevolmente; inspirando profondamente, egli riconosce (pajānāti) “inspiro profondamente”; espirando profondamente, egli riconosce “espiro profondamente”; inspirando brevemente, egli riconosce“ inspiro brevemente”; espirando brevemente, egli riconosce “espiro brevemente”; ed egli così si esercita (sikkhati): “inspirerò sentendo il mio intero corpo”, “espirerò sentendo il mio intero corpo”, così egli si esercita; ed egli così si esercita: “inspirerò calmando le sinergie del mio corpo, espirerò calmando le sinergie del mio corpo’, così egli si esercita.

Proprio come, o monaci, un abile tornitore o un apprendista tornitore, facendo ruotare il tornio a lungo riconosce “sto girando il tornio a lungo”, girando il tornio per un tempo breve riconosce “sto girando il tornio per un tempo breve ”; allo stesso modo, o monaci, un monaco, inspirando profondamente riconosce “inspiro profondamente”; espirando profondamente riconosce “espiro profondamente”; inspirando brevemente egli riconosce “inspiro brevemente”; espirando brevemente egli riconosce “espiro brevemente”; ed egli così si esercita: “inspirerò sentendo il mio intero corpo”, “espirerò sentendo il mio  intero corpo”, così egli si esercita; ed egli così si esercita: “inspirerò calmando le sinergie del mio corpo, espirerò calmando le sinergie del mio corpo”, così egli si esercita.

In questo modo, egli vive contemplando il corpo nel corpo dall’interno, vive contemplando il corpo nel corpo dall’esterno, vive contemplando il corpo nel corpo dall’interno e dall’esterno, vive contemplando il sorgere dei dhammā 3 nel suo corpo, vive contemplando lo svanire dei dhammā nel suo corpo, vive contemplando il sorgere e lo svanire dei dhammā nel suo corpo. “Il corpo c’è ed esiste” — la  consapevolezza dell’esistenza del corpo è funzionale al raggiungimento della conoscenza, necessaria alla piena consapevolezza; ed egli vive indipendente, senza alcun attaccamento per le cose del mondo. In questo modo, o monaci, un monaco vive contemplando il corpo nel corpo.

Fine della sezione sull’inspirazione ed espirazione. 

1.2. Kāyā­nu­passa­nā­iriyāpatha­pabba
1.2 La contemplazione del corpo tramite le posizioni

Inoltre, o monaci, un monaco, mentre cammina riconosce “sto camminando”, stando fermo riconosce “sono fermo”, stando seduto riconosce “sono seduto”, sdraiandosi riconosce “sono sdraiato”. Qualsiasi cosa il corpo stia facendo, egli lo  riconosce.

In questo modo, egli vive contemplando il corpo nel corpo dall’interno, vive contemplando il corpo nel corpo dall’esterno, vive contemplando il corpo nel corpo dall’interno e dall’esterno, vive contemplando il sorgere dei dhammā nel corpo, vive contemplando lo svanire dei dhammā nel corpo, vive contemplando il sorgere e lo svanire dei dhammā nel corpo. “Il corpo c’è ed esiste” — la consapevolezza dell’esistenza del corpo è funzionale al raggiungimento della conoscenza necessaria alla piena consapevolezza; ed egli vive indipendente, senza alcun attaccamento per le cose del mondo. In questo modo, o monaci, un monaco vive contemplando il corpo nel corpo.

fine della sezione sulle posture.

1.3. Kāyānu­passa­nā­sam­pajā­na­pabba
1.3 La contemplazione del corpo tramite la chiara comprensione

Inoltre, o monaci, un monaco, nell’andare e venire esercita una lucida capacità di comprensione (sampajānakārī); nel guardare e nel distogliere lo sguardo esercita una lucida capacità di comprensione; nel chinarsi e nell’alzarsi esercita una lucida capacità di comprensione; nell’indossare il mantello, portando la ciotola e le vesti, esercita una lucida capacità di comprensione; mangiando, bevendo, masticando e assaporando egli esercita una lucida capacità di  comprensione; nell’espellere feci e urine esercita una lucida capacità di comprensione; camminando, stando fermo, sedendosi, coricandosi, svegliandosi, parlando e stando in silenzio, esercita una lucida capacità di comprensione. In questo modo, egli vive contemplando il corpo nel corpo dall’interno …

Fine della sezione sulla chiara comprensione. 

1.4. Kāyānu­passa­nā­paṭi­kūla­ma­nasikā­ra­pabba
1.4 Sezione sulla contemplazione del corpo tramite la riflessione sulla sgradevolezza

Inoltre, o monaci, un monaco riflette (paccavekkhati) su questo stesso suo corpo, dalle piante dei piedi verso l’alto e dalle punte dei capelli verso il basso, avvolto nella pelle e colmo di varie impurità: “in questo corpo vi sono capelli, peli, unghie, denti, pelle, tessuti, tendini, midollo, reni, cuore, fegato, diaframma, milza, polmoni, intestini, mesentere, cibo, bile, flemma, pus, sangue, sudore, grasso, lacrime, grasso, saliva, muco, sinovia, urina”.

Proprio come se, o monaci, un uomo dotato di buona vista aprisse una bisaccia colma di svariati tipi di granaglie come riso fine, grano, fagiolini verdi, piselli, sesamo e riso grezzo e ne esaminasse il contenuto, riconoscendo:  “questo è riso fine, questo è grano, questi sono fagiolini verdi, questi sono piselli, questo è sesamo e questo riso grezzo”; allo stesso modo, o monaci, un monaco esamina questo stesso suo corpo, dalle piante dei piedi verso l’alto e dalle punte dei capelli verso il basso, avvolto nella pelle e colmo di varie impurità e riconosce: “in questo corpo vi sono capelli, peli, unghie, denti, pelle, tessuti, tendini, midollo, reni, cuore, fegato, diaframma, milza, polmoni, intestini, mesentere, cibo, bile, flemma, pus, sangue, sudore, grasso, lacrime, grasso, saliva, muco, sinovia, urina”. In questo modo, egli vive contemplando il corpo nel corpo dall’interno …

Fine della sezione sulla riflessione sulla repulsività. 

1.5. Kāyānu­passa­nā­dhātu­ma­nasikā­ra­pabba
1.5 La contemplazione del corpo tramite la riflessione sugli elementi

Inoltre, o monaci, un monaco, riguardo a questo stesso suo corpo, ovunque collocato e in qualunque modo posizionato, così riflette (paccavekkhati) sugli elementi: “vi sono, in questo corpo, l’elemento terra, l’elemento acqua, l’elemento fuoco e l’elemento aria”.

Proprio come, o monaci, se un abile macellaio o un garzone di macellaio, avendo macellato una vacca, si ponesse presso un incrocio [per esporre] le varie porzioni di carne; allo stesso modo, o monaci, un monaco riguardo a questo stesso suo corpo, ovunque e in qualunque posizione collocato e, così riflette sugli elementi: “vi sono, in questo corpo, l’elemento terra, l’elemento acqua, l’elemento fuoco e l’elemento aria”. In questo modo, egli vive contemplando il corpo nel corpo dall’interno …

Fine della riflessione sugli elementi materiali

1.6. Kāyānu­passa­nā­nava­siva­thika­pabba
1.6  La Contemplazione del corpo tramite le nove fasi cimiteriali 

1. E ancora, o monaci, come se un monaco osservasse un cadavere abbandonato in un cimitero, morto da un giorno o da due giorni o da tre giorni: gonfio, scolorito, in decomposizione; ed egli focalizzasse (upasaṃharati) l’attenzione su questo stesso suo corpo, riconoscendo: “Anche questo mio corpo è della stessa natura, diventerà così, non è possibile evitarlo”. In questo modo egli vive contemplando il corpo nel corpo dall’interno …

2. E ancora, o monaci, come se un monaco osservasse un cadavere abbandonato in un cimitero, divorato da corvi, falchi, avvoltoi, cani selvatici, sciacalli o da varie piccole creature; ed egli focalizzasse l’attenzione su questo stesso suo corpo: “Anche questo mio corpo è della stessa natura, diventerà così, non è possibile evitarlo”. In questo modo egli vive contemplando il corpo nel corpo dall’interno …

3. E ancora, o monaci, come se un monaco osservasse un cadavere abbandonato in un cimitero, ridotto ormai a uno scheletro,  con carne e sangue legati ai tendini; ed egli focalizzasse l’attenzione su questo stesso suo corpo, riconoscendo: “Anche questo mio  corpo è della stessa natura, diventerà così, non è possibile evitarlo”. In questo modo egli vive contemplando il corpo nel corpo dall’interno …

4.E ancora, o monaci, come se un monaco osservasse un cadavere abbandonato in un cimitero, senza carne ma macchiato di sangue; ed egli focalizzasse l’attenzione su questo stesso suo corpo, riconoscendo: “Anche questo mio corpo è della stessa natura, diventerà così, non è possibile evitarlo”. In questo modo egli vive contemplando il corpo nel corpo dall’interno …

5. E ancora, monaci, come se un monaco osservasse un corpo abbandonato in un cimitero, senza carne né sangue legati ai tendini; ed egli focalizzasse l’attenzione su questo stesso suo corpo, riconoscendo: “Anche questo mio corpo è della stessa natura, diventerà così, non è possibile evitarlo”. In questo modo egli vive contemplando il corpo nel corpo dall’interno.

6. E ancora, o monaci, come se un monaco osservasse un cadavere abbandonato  in un cimitero, con le ossa sparse qua e là, non più tenute insieme: qui un osso della mano, là un osso del piede, qui un osso della gamba, là un costola, qui un osso iliaco, là una spina dorsale, qui il cranio; ed egli focalizzasse l’attenzione su questo stesso suo corpo, riconoscendo: “Anche questo mio corpo è della stessa natura, diventerà così, non è possibile evitarlo”. In questo modo egli vive contemplando il corpo nel corpo dall’interno …

7. E ancora, o monaci, come se un monaco osservasse un cadavere abbandonato in un cimitero: le ossa bianche e disseccate da più di un anno, come conchiglie marine; ed egli focalizzasse l’attenzione su questo stesso suo corpo, riconoscendo: “Anche questo mio corpo è della stessa natura, diventerà così, non è possibile evitarlo”. In questo modo egli vive contemplando il corpo nel corpo dall’interno …

8. E ancora, o monaci, come se un monaco osservasse un cadavere abbandonato in un cimitero: le ossa invecchiate, ammucchiate; ed egli focalizzasse l’attenzione su questo stesso suo corpo, riconoscendo: “Anche questo mio corpo è della stessa natura, diventerà così, non è possibile evitarlo”. In questo modo egli vive contemplando il corpo nel corpo dall’interno …

9. E ancora, o monaci, come se un monaco osservasse un cadavere abbandonato in un cimitero: le ossa marce e ridotte in polvere; ed egli focalizzasse l’attenzione su questo stesso suo corpo, riconoscendo: “Anche questo mio corpo è della stessa natura, diventerà così, non è possibile evitarlo”. In questo modo egli vive contemplando il corpo nel corpo dall’interno, vive contemplando il corpo nel corpo dall’esterno, vive contemplando il corpo nel corpo dall’interno e dall’esterno; vive inoltre contemplando il sorgere dei dhammā nel proprio corpo, vive contemplando lo svanire dei dhammā nel proprio corpo, vive contemplando il sorgere e lo svanire dei dhammā nel proprio corpo. ‘”Il corpo c’è ed esiste”  — la consapevolezza dell’esistenza del corpo è funzionale al raggiungimento della conoscenza, necessaria alla piena consapevolezza; ed egli vive autonomamente, senza alcun attaccamento per le cose del  mondo. In questo modo, o monaci, un monaco vive contemplando il corpo nel corpo.

Fine della sezione sulle nove contemplazioni cimiteriali.
Fine delle quattordici contemplazioni sul corpo. 

2. Vedanā­nu­passanā
2. Contemplazione delle sensazioni

Ma come, o monaci, un monaco vive contemplando le sensazioni nelle sensazioni? Ecco, monaci, un monaco, sperimentando una sensazione piacevole riconosce (pajānāti): “sperimento una sensazione piacevole”; sperimentando una sensazione dolorosa riconosce: “sperimento una sensazione dolorosa”; sperimentando una sensazione né piacevole né dolorosa riconosce: “sperimento una sensazione né piacevole né dolorosa”.


Sperimentando una sensazione di piacere volgare egli riconosce: “sperimento una sensazione di piacere volgare”; sperimentando una sensazione di piacere sottile egli  riconosce: “sperimento una sensazione di piacere sottile”; sperimentando una sensazione di dolore volgare egli riconosce: “sperimento una sensazione di dolore volgare”.

Sperimentando una sensazione di dolore sottile egli riconosce: “sperimento una sensazione di dolore sottile”; sperimentando una sensazione né di piacere né di dolore volgare egli riconosce: “sperimento una sensazione né di piacere né di dolore volgare”; sperimentando una sensazione né di piacere né di dolore sottile egli riconosce: “sperimento una sensazione né di piacere né di dolore sottile”.

In questo modo, egli vive contemplando le sensazioni nelle sensazioni dall’interno, vive contemplando le sensazioni nelle sensazioni dall’esterno, vive contemplando le sensazioni nelle sensazioni dall’interno e dall’esterno; vive inoltre contemplando il sorgere dei dhammā nelle sensazioni, vive contemplando lo svanire dei dhammā nelle sensazioni, vive contemplando il sorgere e lo svanire dei dhammā nelle sensazioni. “La sensazione c’è ed esiste”—  la consapevolezza dell’esistenza della sensazione è funzionale al raggiungimento della conoscenza e della piena consapevolezza; ed egli vive indipendente, senza alcun attaccamento per le cose del mondo. In questo modo, o monaci, un monaco vive contemplando le sensazioni nelle sensazioni.

Fine delle contemplazioni sulle sensazioni. 

3. Cittānupassanā
3. La contemplazione della mente

Ma come, o monaci, un monaco vive contemplando la mente nella mente? Ecco, monaci, un monaco riconosce (pajānāti) la mente  bramosa come “mente bramosa” ;riconosce la mente priva di bramosia come “mente priva di bramosia”; riconosce la mente in preda all’avversione come “mente in preda all’avversione”; riconosce la mente priva di avversione come “mente priva di avversione”; riconosce la mente ignorante come “mente ignorante”; riconosce la mente priva di ignoranza come “mente priva di ignoranza”; riconosce la mente rigida come “mente rigida”; riconosce la mente distratta come mente “distratta”; riconosce la mente aperta come “mente aperta”; riconosce la mente chiusa come “mente chiusa”; riconosce la mente inferiore come “mente inferiore”; riconosce la mente superiore come “mente superiore”; riconosce la mente concentrata come “mente concentrata”; riconosce la mente non concentrata come non concentrata; riconosce la mente libera come “mente libera”; riconosce la mente non libera come “mente non libera”.

In questo modo, egli vive contemplando la mente nella mente dall’interno internamente, vive contemplando la mente nella mente dall’esterno, vive contemplando la mente nella mente dall’interno e dall’esterno; vive inoltre contemplando il sorgere dei dhammā nella mente, vive contemplando lo svanire dei dhammā nella mente, vive contemplando il sorgere e lo svanire dei dhammā nella mente. “La mente c’è ed esiste” — la  consapevolezza dell’esistenza della mente è funzionale al raggiungimento della conoscenza, necessaria alla piena consapevolezza; ed egli vive indipendente, senza alcun attaccamento per le cose del mondo. In questo modo, o monaci, un monaco vive contemplando la mente nella mente.

Fine della contemplazione della mente

4. Dhammā­nu­passanā
4. Contemplazione degli elementi

4.1. Dham­mānu­passa­nā­nīvara­ṇa­pabba
4.1 Contemplazione degli elementi:  gli ostacoli

Ma come, o monaci, un monaco vive contemplando gli elementi 4 negli elementi? Ecco, monaci, un monaco vive contemplando gli elementi negli elementi in relazione ai cinque ostacoli. Ma come, o monaci, un monaco vive contemplando gli elementi negli elementi in relazione ai cinque ostacoli?

1.Ecco, o monaci,  se dentro di sé vi è  un desiderio dei egli riconosce: “Vi è in me desiderio dei sensi”; se dentro di sé non vi è  desiderio dei sensi, egli riconosce: “non vi è in me desiderio dei sensi”; ed egli altresì riconosce quando un desiderio dei sensi che prima non era presente si manifesta, quando un desiderio dei sensi sorto in precedenza lo abbandona, e riconosce anche quando un desiderio dei sensi che lo ha già abbandonato non si ripresenta (più).

2. Se dentro di sé vi è un sentimento di avversione egli riconosce: “vi è in me un sentimento di avversione”; se dentro di sé non vi è un sentimento di  avversione, egli riconosce: “non vi è in me un sentimento di avversione”; ed egli altresì riconosce quando il sentimento di avversione che non si è ancora manifestato si presenta, quando il sentimento avversione che prima era presente lo abbandona, e riconosce anche quando il sentimento di avversione che lo ha già abbandonato non si ripresenta (più).

3. Se dentro di sé vi sono  pigrizia e torpore egli riconosce: “vi sono in me pigrizia e torpore”; se dentro di sé non vi sono  pigrizia e torpore, egli riconosce: “non vi sono in me pigrizia e torpore”; ed egli altresì riconosce quando pigrizia e torpore che prima non si erano manifestati si presentano, quando pigrizia e torpore che prima erano presenti lo abbandonano, e riconosce anche quando pigrizia e torpore che lo hanno già abbandonato non si ripresentano (più).

4. Se dentro di sé  vi sono agitazione e inquietudine egli riconosce: “vi sono in me agitazione e inquietudine”’; se dentro di sé non vi sono agitazione e inquietudine, riconosce: “non vi sono in me agitazione e inquietudine”; ed egli altresì riconosce quando agitazione e inquietudine che prima non si erano manifestati si presentano, quando agitazione e inquietudine che prima erano presenti lo abbandonano , e riconosce anche quando agitazione e inquietudine che lo avevano già abbandonato non si ripresentano (più).

5. Se dentro di sé vi è il dubbio egli riconosce: “vi è in me il dubbio”; se dentro di sé non vi è  il dubbio, egli riconosce: “non vi è in me il dubbio”; ed egli altresì riconosce quando il dubbio che prima non si era manifestato si presenta, quando il dubbio che prima era presente lo abbandona, e riconosce anche quando il dubbio che lo aveva già abbandonato non si ripresenta (più).

In questo modo, egli vive contemplando gli elementi negli elementi dall’interno, vive contemplando gli elementi negli elementi dall’esterno, vive contemplando gli elementi negli elementi dall’interno e dall’esterno; vive inoltre contemplando il sorgere dei dhammā negli elementi, vive contemplando lo svanire dei dhammā negli elementi, vive contemplando il sorgere e lo svanire dei dhammā negli elementi. “Gli elementi ci sono ed esistono” — la  consapevolezza dell’esistenza degli elementi è funzionale al raggiungimento della conoscenza, necessaria alla piena consapevolezza; ed egli vive indipendente, senza alcun attaccamento per le cose del  mondo. In questo modo, o monaci, un monaco vive contemplando gli elementi negli elementi in relazione ai cinque ostacoli.

4.2. Dhammā­nu­passa­nā­khan­dha­pabba
4.2 Contemplazione degli elementi: gli aggregati

Inoltre, o monaci, un monaco vive contemplando i dhammā negli elementi in relazione ai cinque aggregati dell’attaccamento. Ma in che modo, o monaci, un monaco vive contemplando i dhammā negli elementi in relazione ai cinque aggregati dell’attaccamento? Ecco, o monaci, un monaco, riconosce: “così è la forma, così la sua origine, così la sua disgregazione”;  “così è la sensazione, così la sua origine, così la sua disgregazione”; “così è l’appercezione (la consapevolezza delle proprie percezioni), così la sua origine, così la sua disgregazione”; “così sono le intenzioni, così la loro origine, così la loro disgregazione”;  “così è la cognizione, così la sua origine, così la sua disgregazione”.  In questo modo, egli vive contemplando gli elementi negli elementi dall’interno , vive contemplando gli elementi negli elementi dall’esterno, vive contemplando gli elementi negli elementi dall’interno e dall’esterno; vive inoltre contemplando il sorgere dei dhammā negli elementi, vive contemplando lo svanire dei dhammā negli elementi, vive contemplando il sorgere e lo svanire dei dhammā negli elementi. “Gli elementi ci sono ed esistono” — la consapevolezza dell’esistenza degli elementi è funzionale al raggiungimento della conoscenza, necessaria alla piena consapevolezza; ed egli vive indipendente, senza alcun attaccamento per le cose del mondo. In questo modo, o monaci, un monaco vive contemplando gli elementi negli elementi in relazione ai cinque aggregati dell’attaccamento.

4.3. Dham­mānu­passa­nā­āyata­na­pabba
4.3 Contemplazione degli elementi: le facoltà sensoriali

Ed inoltre, o monaci, un monaco vive contemplando gli elementi negli elementi in relazione alle sei facoltà sensoriali interne ed esterne. Ma come, o monaci, un monaco vive contemplando gli elementi negli elementi in relazione alle sei facoltà sensoriali interne ed esterne?

1. Ecco, o monaci, un monaco conosce l’occhio, la forma visiva ed anche il legame (con le cose del mondo) che si manifesta dentro di sé per effetto di  entrambi; conosce anche come un legame che non si era presentato in precedenza a sorto si manifesta, ed anche come un legame che si era presentato in precedenza lo abbandona, ed anche come un legame che è lo aveva già abbandonato non si ripresenta (più).

2. Ecco, o monaci, un monaco conosce l’orecchio, i suoni ed anche il legame (con le cose del mondo) che si manifesta dentro di sé per effetto di entrambi; conosce anche come un legame che non si era presentato in precedenza si manifesta, ed anche come un legame che si era presentato in precedenza lo abbandona, ed anche come un legame che lo aveva già abbandonato non si ripresenta (più).

3. Ecco, o monaci, un monaco conosce il naso, gli odori ed anche il legame (con le cose del mondo) che si manifesta dentro di sé per effetto di entrambi; conosce anche come un legame che non si era presentato in precedenza si manifesta, ed anche come un legame che si era presentato in precedenza  lo abbandona, ed anche come un legame che abbandonato non si ripresenta (più).

4. Ecco, o monaci, un monaco conosce la lingua, i sapori ed anche il legame (con le cose del mondo) che si manifesta dentro di sé per effetto di entrambi; conosce anche come un legame che non si era presentato in precedenza si manifesta, ed anche come un legame che si era presentato in precedenza lo abbandona, ed anche come un legame che lo aveva già abbandonato non si ripresenta (più).

5. Ecco, o monaci, un monaco conosce il corpo, gli oggetti tattili ed anche il legame (con le cose del mondo) che si manifesta dentro di sé per effetto di entrambi; conosce anche come un legame che non si era presentato in precedenza si manifesta, ed anche come un legame che si era presentato in precedenza lo abbandona, ed anche come un legame che lo aveva già  abbandonato non si ripresenta (più).

6.Ecco, o monaci, un monaco conosce la mente, le idee ed anche il legame (con le cose del mondo) che si manifesta dentro di sé per effetto di entrambe; conosce anche come un legame che non si era presentato in precedenza si manifesta, ed anche come un legame che si era già presentato  lo abbandona, ed anche come un legame che lo aveva già abbandonato non si ripresenta (più).

In questo modo, egli vive contemplando gli elementi negli elementi dall’interno, vive contemplando gli elementi negli elementi dall’esterno, vive contemplando gli elementi negli elementi dall’interno e dall’esterno; vive inoltre contemplando il sorgere dei dhammā negli elementi, vive contemplando lo svanire dei dhammā negli elementi, vive contemplando il sorgere e lo svanire dei dhammā negli elementi. Gli elementi ci sono ed esistono” — la consapevolezza dell’esistenza degli elementi è funzionale al raggiungimento della conoscenza, necessaria alla piena consapevolezza; ed egli vive indipendente, senza alcun attaccamento per le cose del mondo. In questo modo, o monaci, un monaco vive contemplando gli elementi negli elementi in relazione alle sei facoltà sensoriali interne ed esterne.

Fine della sezione sulle facoltà sensoriali.

4.4. Dham­mānu­passa­nā­boj­jhaṅ­ga­pabba
4.4. I sette fattori del risveglio

Inoltre, o monaci, un monaco vive contemplando gli elementi negli elementi in relazione ai sette fattori del risveglio; ma come, o monaci, un monaco vive contemplando gli elementi negli elementi in relazione ai sette fattori del risveglio?

1. Ecco o monaci, un monaco, se vi è in lui  il fattore del risveglio della consapevolezza, riconosce: “vi è in me il fattore del risveglio della consapevolezza”; quando non vi è in lui  il fattore del risveglio della consapevolezza, riconosce: “non vi è in me il fattore del risveglio della consapevolezza”; ed egli riconosce anche quando il fattore del risveglio della consapevolezza che non si era ancora presentato si manifesta, ed anche quando il fattore del risveglio della consapevolezza che si era già manifestato è stato compiutamente coltivato.

2. Se vi è in lui  il fattore del risveglio dell’investigazione degli stati, egli riconosce: “vi è in me il fattore del risveglio dell’investigazione degli stati”; quando non vi è in lui il fattore del risveglio dell’investigazione degli stati, riconosce: “non vi è in me il fattore del risveglio dell’investigazione degli stati”; ed egli riconosce anche quando il fattore del risveglio dell’investigazione degli stati che non si era ancora presentato si manifesta, ed anche quando il fattore del risveglio dell’investigazione degli stati che si già presentato è stato compiutamente coltivato.

3. Se vi è dentro di lui il fattore del risveglio del vigore, egli riconosce: “vi è in me il fattore del risveglio del vigore”; se non vi è in lui  il fattore del risveglio del vigore, egli riconosce: “non vi è in me il fattore del risveglio del vigore”; ed egli riconosce anche quando il fattore del risveglio del vigore degli stati che non si era ancora presentato  si manifesta, ed anche quando il fattore del risveglio del vigore che si era già manifestato è stato compiutamente coltivato.

4. Se vi è dentro di lui il fattore del risveglio della gioia, egli riconosce: “vi è in me il fattore del risveglio della gioia”; se non vi è dentro di lui il fattore del risveglio della gioia, egli riconosce: “non vi è in me il fattore del risveglio della gioia”; ed egli riconosce anche quando il fattore del risveglio della gioia degli stati che non si era ancora presentato o si manifesta, ed anche quando il fattore del risveglio della gioia che si era già manifestato è stato compiutamente coltivato.

5. Se vi è dentro di lui il fattore del risveglio della calma, egli riconosce: “vi è in me il fattore del risveglio della calma”; se non vi è dentro di lui  il fattore del risveglio della calma, egli riconosce: “non vi è in me il fattore del risveglio della calma”’; ed egli riconosce anche quando il fattore del risveglio della calma degli stati che non si era già manifestato  si manifesta, ed anche quando il fattore del risveglio della calma che si era già manifestato  è stato compiutamente coltivato.

6. Se vi è dentro di lui il fattore del risveglio del samā­dhi­, riconosce: “vi è in me il fattore del risveglio del samā­dhi”‘; se non vi è dentro di lui il fattore del risveglio del samā­dhi­, egli riconosce: “non vi è in me il fattore del risveglio del samā­dhi­”; ed egli riconosce anche quando il fattore del risveglio del samā­dhi­ degli stati che non si era ancora presentato si manifesta, ed anche quando il fattore del risveglio del samā­dhi­ che si era già manifestato  è stato compiutamente coltivato.

7. Se vi è dentro di lui il fattore del risveglio della equanimità, egli riconosce: “vi è in me il fattore del risveglio della equanimità”; se vi è dentro di lui  il fattore del risveglio della equanimità­, egli riconosce: “non vi è in me il fattore del risveglio della equanimità­”; ed egli riconosce anche quando il fattore del risveglio della equanimità degli stati che non si era ancora presentato  si manifesta, ed anche quando il fattore del risveglio della equanimità che si era già manifestato  è stato compiutamente coltivato.

In questo modo, egli vive contemplando gli elementi negli elementi dall’interno, vive contemplando gli elementi negli elementi dall’esterno, vive contemplando gli elementi negli elementi dall’interno e dall’esterno; vive inoltre contemplando il sorgere dei dhammā negli elementi, vive contemplando lo svanire dei dhammā negli elementi, vive contemplando il sorgere e lo svanire dei dhammā negli elementi. “Gli elementi ci sono ed esistono” — la  consapevolezza dell’esistenza degli elementi è funzionale al raggiungimento della conoscenza, necessaria alla piena consapevolezza; ed egli vive indipendente, senza alcun attaccamento per le cose del  mondo. In questo modo, o monaci, un monaco vive contemplando gli elementi negli elementi in relazione ai sette fattori del risveglio.

Fine della sezione sui fattori del risveglio.

4.5. Dham­mānu­passa­nā­sacca­pabba
4.5 Le quattro nobili verità

Inoltre, o monaci, un monaco vive contemplando gli elementi negli elementi in relazione alle quattro nobili verità. Ma come, o monaci, un monaco vive contemplando i gli elementi negli elementi in relazione alle quattro nobili verità?  Ecco, o monaci, un monaco riconosce, con realismo: “questa è la sofferenza”; riconosce con realismo: “questa è l’origine della sofferenza”; riconosce, con realismo: “questa è la cessazione della sofferenza”; riconosce con realismo: “questo è il sentiero che conduce alla cessazione della sofferenza”.

Colui il quale, o monaci, coltivi questi quattro fondamenti della consapevolezza per sette anni, deve aspettarsi l’ottenimento di uno di questi due risultati: la conoscenza nel qui ed ora, oppure, in presenza di un residuo senso di attaccamento, lo stato di “colui che non ritorna [nel mondo]”.

Così se fossero  sette anni; colui il quale coltivi questi quattro fondamenti della consapevolezza per sei, cinque, quattro, tre, due o un solo anno … che fosse anche un solo anno; colui il quale, o monaci, coltivi questi quattro fondamenti della consapevolezza per sette mesi, deve aspettarsi l’ottenimento di uno di questi due risultati: la conoscenza nel qui ed ora, oppure, in presenza di un residuo di senso di attaccamento, lo stato di “colui che non ritorna [nel mondo]”.


Così se fossero sette mesi; colui il quale coltivi questi quattro fondamenti della consapevolezza per sei, cinque, quattro, tre, due, un mese o mezzo mese … che fosse anche un solo o monaci, mezzo mese; colui il quale, o monaci, coltivi questi quattro fondamenti della consapevolezza per sette giorni, deve  aspettarsi uno di questi due risultati: la conoscenza nel qui ed ora, oppure, in presenza di un residuo di senso attaccamento, “lo stato di colui che non ritorna [nel mondo]”.

 Questo, o monaci, è il Sentiero ad un’unica direzione, per la purificazione degli esseri, il superamento di tristezza e lamento, la pacificazione di dolore e sofferenza, il raggiungimento del giusto sentiero, la realizzazione della liberazione, ovvero: “i quattro fondamenti della consapevolezza”; così fu detto; ed è per questo che così fu detto.


Così parlò il Beato; contenti quei monaci gioirono alle parole del Beato.

NOTE

1. Il termine ātāpī deriva da ā + tapa, ‘ardore’; questo vocabolo, imparentato con l’italiano tepore, ha assunto il significato di ‘strenuo’, ‘risoluto’. La risolutezza è uno degli antidoti alla pigrizia e all’apatia verso la pratica, assieme alla riflessione sull’inevitabilità della morte e sull’incertezza della vita. In ātāpī vi è probabilmente un riferimento, neanche troppo velato, a certe pratiche ascetiche dette tapas, tutt’oggi praticante in India e altrove; la più famosa di questo genere di pratiche è quella del fuoco interiore, (tibetano: Tummo). Nel contesto buddhista, un tapassin é un individuo risoluto nella pratica:

“Khantī paramaṃ tapo titikkhā,
Nibbānaṃ paramaṃ vadanti buddhā”

“La pazienza è la pratica più alta,
I Buddha affermano che il nibbana è l’eccelso.”
-Dhammapada 184.

2. “Avendo stabilito la consapevolezza di fronte a sé” : in merito a questo passaggio criptico, vi sono due tendenze prevalenti, quella letterale e quella idiomatica. I fautori dell’interpretazione letterale intendono questa espressione nel senso di “attorno alla bocca”, ovvero, sul labbro superiore o sulla punta del naso (nāsikagga), in accordo alla glossa dei commentari quali il Visuddhimagga; di contro, i sostenitori dell’interpretazione idiomatica, traducono questa stessa espressione come “di fronte a sé”, ovvero, alla parte frontale del proprio corpo; questo approccio si accorda al significato generale della stessa locuzione ritrovabile altrove nel canone, come nel seguente passo:

“seyyathāpi nāma balavā puriso samiñjitaṃ vā bāhaṃ pasāreyya, pasāritaṃ vā bāhaṃ samiñjeyya; evamevaṃ—bhaggesu susumāragire bhesakaḷāvane migadāye antarahito magadhesu kallavāḷaputtagāme āyasmato mahāmoggallānassa sammukhe pāturahosi.” -Pacalāyamānasutta, A.N 7,61

Nel Paṭisambhidāmagga leggiamo:

“Stabilisce la consapevolezza di fronte a sé (parimukhaṃ satiṃ upaṭṭhapetvā): pari: nel senso di ‘adottare’; mukhaṃ (lett. bocca ) nel senso di ‘uscita’; sati (consapevolezza) nel senso di stabilire (fondamento). Perciò si dice parimukhaṃ satiṃ upaṭṭhapetvā (avendo stabilito la consapevolezza in fronte a sé).

Come se vi fosse un tronco d’albero sistemato a terra su un pianale; e un uomo volesse tagliarlo con una sega. La consapevolezza di quell’uomo si posasse (stabilisse) nel punto in cui i denti della sega toccano il tronco d’albero; Senza prestare attenzione ai denti della sega mentre questi avanzano e recedono, e pur senza che questi vengano ignorati, egli si impegna e porta a termine il compito. Come il tronco sistemato a terra su un pianale, così è l’oggetto per ancorare [la consapevolezza]; Come i denti della sega, così sono l’inspirazione ed espirazione; come la consapevolezza di quell’uomo posata (stabilita) nel punto in cui i denti della sega toccano il tronco d’albero, senza prestare attenzione ai denti della sega mentre questi avanzano e recedono, ma senza che questi vengano ignorati, egli si impegna e porta a termine la propria pratica; allo stesso modo, un monaco, siede, avendo stabilito (indirizzato) la consapevolezza alla punta del naso oppure all’immagine facciale (cfr. SN22, 83 Ananda sutta), senza prestare attenzione all’andare e venire dell’inspirazione e dell’espirazione, e pur senza ignorare l’inspirazione e l’espirazione, si applica, porta a termine la propria pratica e realizza un risultato ragguardevole.”Ānāpānassatikatha

Tuttavia, il dotto singalese Mahānāma Thera, nel suo commentario allo stesso Paṭisambhidāmagga, afferma:

“Adottare’, nel senso di ciò che viene adottato. Che cosa viene adottato? L’uscita. Quale uscita? La concentrazione basata sulla consapevolezza è in se stessa l’uscita [che conduce] fino al sentiero per lo stato di Arahant. Perciò, è stato detto ‘nel senso di adottare’. Il senso di ‘uscita dal vortice del divenire’ è espressione del significato della parola mukha (bocca) in quanto eminente (frontale). ‘Stabilire’, nel senso di essenza individuale. Il significato di tutti questi vocaboli è: ‘Avendo reso la consapevolezza una via d’uscita da adottare’. Tuttavia, alcuni affermano che ‘adottare’ significhi ‘adottare come significato della consapevolezza’, e che ‘nel senso di uscita’ significhi ‘la porta di entrata e uscita dell’inspirazione ed espirazione’. Perciò significherebbe : ‘avendo stabilito la consapevolezza alla via uscita dell’inspirazione ed espirazione, la quale è da adottare’.”

3. In questo contesto, con dhammā si intendono quegli elementi facenti parte dell’origine dipendente di dukkha (paticca-samuppāda); nel contesto della pratica di consapevolezza, essi devono essere osservati al loro sorgere e svanire.
A questo proposito, è degno di nota che nell’esporre il percorso che lo portò a capire l’origine dipendente, il Buddha abbia utilizzato una terminologia praticamente identica a quella impiegata in questo stesso sutta per spiegare la pratica della consapevolezza: dhammā, Ātāpino, pajānāti:

“L’ignoranza determina le sinergie, le sinergie determinano la cognizione, la cognizione determina ‘nome e forma’, ‘nome e forma’ determinano le sei basi sensoriali, le sei basi sensoriali determinano il contatto, il contatto determina la sensazione, la sensazione determina la ‘sete’, la ‘sete’ determina l’afferrarsi, l’afferrarsi determina l’essere’, ‘l’essere’ determina la ‘nascita’, la nascita determina decadimento e morte, e così, angoscia, disperazione,  dolore, sofferenza ed esaurimento vengono a manifestarsi. In questo modo ha origine l’intera massa della sofferenza.”
Quindi, avendo realizzato il significato di ciò, in quell’occasione il Sublime pronunciò questi versi ispirati:

“Yadā have pātubhavanti dhammā,
Ātāpino jhāyato brāhmaṇassa;
Athassa kaṅkhā vapayanti sabbā,
Yato pajānāti sahetudhamman”ti.

“Quando gli elementi (dhammā) si palesano
al saggio risoluto (Ātāpino) nella meditazione,
allora, tutti i dubbi scompaiono,
allorché egli ha riconosciuto (pajānāti) la loro natura causale.”

Ma con la completa dissoluzione e cessazione dell’ignoranza, cessano le sinergie; con la cessazione delle sinergie, cessa la cognizione … in questo modo cessa questa intera massa di sofferenza”. Quindi, avendo realizzato il significato di ciò, in quell’occasione il Sublime pronunciò questi versi ispirati:

“Yadā have pātubhavanti dhammā,
Ātāpino jhāyato brāhmaṇassa;
Athassa kaṅkhā vapayanti sabbā,
Yato khayaṁ paccayānaṁ avedī”ti
.

“Quando gli elementi si palesano,
al saggio risoluto nella meditazione,
allora, tutti i dubbi scompaiono,
allorché egli ha conosciuto la dissoluzione delle condizioni”.

-Udāna 1.1, 1.2

4. Secondo il Ven. Bhikkhu Bodhi, “Nel contesto del quarto fondamento della consapevolezza, il termine polivalente dhammā, qui assunto come plurale, ha due diversi significati. Da un lato indica i fattori mentali, che qui vengono contemplati a sé stanti, avulsi cioè dalla funzione di modellare la mente, come invece nella pratica precedente. Dall’altro, la parola indica gli elementi reali, i componenti primari dell’esperienza. In mancanza di un’alternativa migliore, traduciamo dhamma con «fenomeni», termine che ne esprime entrambi i significati. La sezione dei sutta sulla consapevolezza dei dhammā si divide in cinque sezioni, ciascuna dedicata a un gruppo specifico di fenomeni: i cinque impedimenti, i cinque aggregati, le sei basi sensoriali, i sette fattori del risveglio e le quattro nobili verità. I cinque impedimenti e i sette fattori del risveglio sono dhammā nel senso stretto di “fattori mentali”, mentre i restanti sono dhammā nel senso di elementi costitutivi della realtà.”

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