Alagaddūpama Sutta: La serpe

Alagaddūpamasutta
La Similitudine del Serpente
Majjhima Nikāya 22

Così ho udito. In una certa occasione il Beato viveva a Sāvatthī nel boschetto di Jeta, presso l’eremo di Anāthapiṇḍika. Ora, in quell’occasione, ad un monaco di nome Ariṭṭha, che un tempo fu un cacciatore di avvoltoi, era sorta una visione perniciosa: «Per come comprendo il Dhamma insegnato dal Beato, quelle cose chiamate ostruzioni dal Beato non sono in grado di ostacolare chi le pratica.»

Diversi monaci, avendo sentito parlare di ciò, andarono dal monaco Ariṭṭha e gli chiesero: «Amico Ariṭṭha, è vero che è sorta in te una visione così perniciosa?»

«Proprio così, amici. Per come comprendo il Dhamma insegnato dal Beato, quelle cose chiamate ostacoli dal Beato non sono in grado di ostacolare chi le pratica».

Allora, quei monaci, desiderando allontanarlo da quella visione perniciosa, lo incalzarono, lo interrogarono e lo interrogarono così: «Amico Ariṭṭha, non dire così. Non travisare il Beato; non è bene travisare il Beato. Il Beato non parlerebbe così. Perché in molti modi il Beato ha dichiarato come le cose ostruttive siano ostruzioni, e come siano in grado di ostacolare chi le mette in pratica. Il Beato ha affermato che i piaceri sensuali procurano poca gratificazione, molta sofferenza e afflizione, e che il pericolo in essi è ancora maggiore[del beneficio]. Con la similitudine dello scheletro…con la similitudine del pezzo di carne…con la similitudine della torcia d’erba…con la similitudine della fossa dei carboni…con la similitudine del sogno…con la similitudine dei beni prestati…con il similitudine dei frutti su un albero…con la similitudine del coltello e del ceppo del macellaio…con la similitudine del palo della spada…con la similitudine della testa del serpente, il Beato ha affermato che i piaceri sensuali procurano poca gratificazione, molta sofferenza e disperazione, e che il pericolo in loro è ancora maggiore.»

Eppure, sebbene pressato, interrogato e controinterrogato da quei monaci in questo modo, il monaco Ariṭṭha, un tempo cacciatore di avvoltoi, aderì ostinatamente a quella visione perniciosa e continuò a insistere su di essa.

E poiché qui monaci non furono in grado di distoglierlo da quella visione perniciosa, andarono dal Beato e, dopo avergli reso omaggio, si sedettero in disparte e gli raccontarono tutto ciò che era accaduto, aggiungendo: «Venerabile signore, poiché non siamo riusciti a distogliere il monaco Ariṭṭha, un tempo cacciatore di avvoltoi, da questa visione perniciosa, siamo venuti a riferire la questione al Beato.»

Allora il Beato si rivolse così a un certo monaco: «Vieni, monaco, dì al monaco Ariṭṭha, a nome mio che il Maestro lo chiama».

«Bene, venerabile signore», rispose quel monaco, e, recatosi dal monaco Ariṭṭha gli disse:
«Il Maestro ti chiama, amico Ariṭṭha.»

«Bene, amico»,rispose Ariṭṭha; quindi, si recò dal Beato, e dopo avergli reso omaggio, si sedette di lato. Il Bhagavan allora gli chiese: «Ariṭṭha, è vero che in te è sorta la seguente visione perniciosa: ‘Così io comprendo il Dhamma insegnato dal Beato, che quelle cose chiamate ostruzioni dal Beato non sono in grado di ostacolare colui che le mette in pratica’?»

«Proprio così, Venerabile signore. Per come comprendo il Dhamma insegnato dal Beato, quelle cose chiamate ostacoli dal Beato non sono in grado di ostacolare chi le pratica».

«A chi, Uomo stolto, mi hai mai sentito insegnare il Dhamma in quel modo? Uomo stolto, non ho forse affermato in molti modi come le cose ostruttive siano ostruzioni e come possano ostacolare chi le pratica?
Ho affermato che i piaceri sensuali forniscono poca gratificazione, molta sofferenza e afflizione, e che il pericolo in essi è ancora maggiore [del beneficio]; con la similitudine dello scheletro…con la similitudine del pezzo di carne…con la similitudine della torcia d’erba…con la similitudine della fossa dei carboni…con la similitudine del sogno…con la similitudine dei beni prestati…con il similitudine dei frutti su un albero…con la similitudine del coltello e del ceppo del macellaio…con la similitudine del palo della spada…con la similitudine della testa del serpente, ho affermato che i piaceri sensuali procurano poca gratificazione, molta sofferenza e disperazione, e che il pericolo in loro è ancora di più. Ma tu, uomo fuorviato, afferrando erroneamente ciò, ci hai travisato, danneggiando te stesso e accumulando molto demerito; ciò ti porterà danno e sofferenza per molto tempo.

Allora il Beato si rivolse così ai monaco: «Monaci, cosa ne pensate? Questo monaco Ariṭṭha, un tempo cacciatore di avvoltoi, ha forse acceso anche solo una scintilla di saggezza in questo Dhamma e Disciplina?»

«Come potrebbe, venerabile signore? No di certo, venerabile signore».

Quando ciò fu detto, il monaco Ariṭṭha, un tempo cacciatore di avvoltoi, rimase seduto in silenzio, costernato, con le spalle curve e la testa abbassata, cupo e privo di reazione. Allora, avendo notato  questo suo stato, il Beato gli disse: «Uomo stolto, sarai riconosciuto per via di questa tua visione perniciosa. Ora interrogherò i monaco su questo argomento».

Quindi il Beato si rivolse ai monaco: «Monaci, capite voi il Dhamma da me insegnato come questo monaco Ariṭṭha, un tempo cacciatore di avvoltoi, quando, afferrando erroneamente ciò, ci ha travisato, danneggiando se stesso e accumulando molto demerito?»

«No, venerabile signore; in molti modi il Beato ha dichiarato come le cose ostruttive siano ostruzioni, e come siano in grado di ostacolare chi le pratica. Il Beato ha affermato che i piaceri sensuali procurano poca gratificazione, molta sofferenza e afflizione, e che il pericolo in essi è ancora maggiore[del beneficio]. Con la similitudine dello scheletro … con la similitudine della testa del serpente, il Beato ha affermato… che il pericolo in loro è ancora maggiore.»

«Bene, monaco. È bene che voi comprendiate così il Dhamma da me insegnato. Perché in molti modi ho affermato come le cose ostruttive siano ostruzioni e come possano ostacolare chi vi si impegna. Ho affermato che i piaceri sensuali forniscono poca gratificazione, molta sofferenza e afflizione, e che il pericolo in essi è maggiore [del beneficio]. Con la similitudine dello scheletro… con la similitudine della testa del serpente, ho affermato… che il pericolo in loro è ancora maggiore. Ma questo monaco Ariṭṭha, un tempo cacciatore di avvoltoi, afferrando erroneamente ciò, ci ha travisato, danneggiando se stesso e accumulando molto demerito; ciò gli porterà danno e sofferenza per molto tempo.

monaco, è impossibile che ci si possa dedicare ai piaceri sensuali senza desideri sensuali, senza percezione del desiderio sensuale, senza pensieri legati al desiderio sensuale».

La similitudine del serpente

«Ecco, bhikkhu, alcuni uomini fuorviati imparano il Dhamma – discorsi (sutta), strofe (geyya) , esposizioni (veyyākaraṇa), versi (gāthaṁ), esclamazioni (udāna), detti (itivuttaka), storie sulle nascite (jātaka), meraviglie (abbhutadhamma)  e spiegazioni (vedalla) — ma avendo appreso il Dhamma, non esaminano il significato di quegli insegnamenti con saggezza. Non esaminando il significato di quegli insegnamenti con saggezza, non ne ottengono un’accettazione riflessiva. Invece, essi imparano il Dhamma solo per il gusto di criticare gli altri e per vincere nei dibattiti,  senza realizzare il significato profondo (attham) in vista del quale essi hanno appreso il Dhamma. Quegli insegnamenti, essendo da loro erroneamente afferrati, conducono al loro danno e alla loro sofferenza per lungo tempo. Perché? A causa della errata comprensione di quegli insegnamenti.

Come se un uomo che necessitasse di un serpente, che cerchi un serpente, che vaghi alla ricerca di un serpente, vedesse un grosso serpente e ne afferri le spire o la coda; e questi si rivoltasse contro di lui e mordendogli la mano o il braccio o uno degli arti, sicché, per via di ciò, egli andrebbe incontro alla morte o mortale sofferenza. E perché?  Per via dell’aver afferrato malamente quel serpente. Allo stesso modo, alcuni uomini fuorviati imparano il Dhamma..Perché? A causa della errata comprensione di quegli insegnamenti.

Inoltre, monaci, alcuni membri di nobile famiglia imparano il Dhamma – discorsi … e spiegazioni — e dopo aver appreso il Dhamma, esaminano il significato di quegli insegnamenti con saggezza. Esaminando il significato di quegli insegnamenti con saggezza, ne ottengono un’accettazione riflessiva. Non imparano il Dhamma per il gusto di criticare gli altri e per vincere nei dibattiti, e così realizzano il significato profondo per via del quale essi hanno appreso il Dhamma. Quegli insegnamenti, essendo da loro correttamente afferrati, contribuiscono al loro benessere e felicità per lungo tempo. E perché? A causa della giusta comprensione di quegli insegnamenti.

Come se un uomo che necessitasse di un serpente, che cerchi un serpente, che vaghi alla ricerca di un serpente, vedesse un grosso serpente e lo afferrasse correttamente con un bastone, e dopo aver fatto ciò, lo afferrasse correttamente per il collo; anche se il serpente avvolgesse le sue spire attorno alla sua mano o al braccio o alle sue membra, ciò non lo condurrebbe alla morte o alla sofferenza mortale. Perché? A causa dell’aver afferrato correttamente quel serpente. Allo stesso modo, alcuni membri di nobile famiglia imparano il Dhamma… Perché? A causa della giusta comprensione di quegli insegnamenti.

Pertanto, monaci, avendo compreso il significato delle mie parole, serbatele di conseguenza; e se non comprendete il significato delle mie parole, allora, domandate a me o a quei monaci dotati di saggezza.

La similitudine della zattera

« Monaci, vi mostrerò come il Dhamma sia simile a una zattera, [concepito]  allo scopo di attraversare, non di afferrare. Ascoltate e prestate molta attenzione a ciò che dirò». –
«Bene, venerabile signore,» risposero quei monaci.

Il Beato così disse:

« Monaci, supponiamo che un uomo nel corso di un viaggio veda una grande distesa d’acqua, la cui sponda vicina è pericolosa e spaventosa e la cui sponda più lontana è sicura e libera dalla paura, ma non ci siano traghetti o ponti per raggiungere l’altra sponda. Ed egli pensasse: ‘C’è questa grande distesa d’acqua, la cui sponda vicina è pericolosa e spaventosa e la cui sponda più lontana è sicura e libera dalla paura, ma non c’è traghetto o ponte per andare sull’altra sponda. Supponiamo che io raccolga erba, ramoscelli, rami e foglie e li leghi insieme in una zattera, e a bordo di quella zattera, sforzandomi con le mani e i piedi, raggiunga sano e salvo l’altra sponda».

Quindi, quell’uomo raccolse erba, ramoscelli, rami e foglie e li legò insieme in una zattera, e, a bordo di quella zattera, sforzandosi con le mani e i piedi, raggiunse sano e salvo l’altra sponda. Dopo aver attraversato quella distesa, una volta arrivato all’altra riva, egli pensasse: «Questa zattera mi è stata molto utile, poiché grazie  ad essa, sforzandomi  con le mani e i piedi, sono arrivato sano e salvo sull’altra riva. Supponiamo che me la issassi sulla testa o me la caricassi sulle spalle, e fatto ciò, andassi dove voglio». Monaci, cosa ne pensate? Facendo così, quell’uomo farebbe ciò che dovrebbe essere fatto con quella zattera?

«No, venerabile signore.»

«Cosa dovrebbe fare quell’uomo con quella zattera? Ecco, monaci, una volta attraversata quella distesa, arrivato all’altra sponda, egli pensasse: ‘Questa zattera mi è stata di grande aiuto, poiché grazie ad essa, sforzandomi con le mie mani e i miei piedi, sono riuscito ad attraversare senza problemi fino all’altra riva. Supponiamo che io la trascini sulla terraferma o la lasci andare alla deriva nell’acqua, e, fatto ciò, me ne andassi dove voglio».

Ora, monaci, è così facendo che quell’uomo farebbe ciò che dovrebbe essere fatto con quella zattera. In questo modo, vi ho mostrato come il Dhamma sia simile a una zattera, [concepito] allo scopo di attraversare, non allo scopo di afferrare.

Monaci, avendo compreso che il Dhamma è simile a una zattera, dovreste abbandonare il Dhamma, tanto più le cose contrarie al Dhamma.

Punti di vista

« Monaci, vi sono questi sei fondamenti per le opinioni. Quali sei? Ecco, monaci, un incolto uomo comune, privo della visione dei nobili, ignorante in riguardo al Dhamma dei nobili, senza esperienza nel Dhamma dei nobili, considera la forma materiale così: ‘Ciò è mio, questo sono io, questo è il mio sé’. Considera la sensazione così: ‘Ciò è mio, questo sono io, questo è il mio sé’. Considera la percezione così: ‘Ciò è mio, questo sono io, questo è il mio sé’. Considera le intenzioni così: ‘Ciò è mio, questo sono io, questo è il mio sé’. Considera ciò che ha visto, udito, percepito, conosciuto, incontrato, cercato, meditato mentalmente: ‘Ciò è mio, questo sono io, questo è il mio sé’.  Ed anche questo fondamento per l’opinione, vale a dire, ‘tale il mondo tale il sé; dopo la morte sarò permanente, costante, eterno, non soggetto a cambiamento ed esisterò fino all’eternità’—  anche ciò egli considera così: ‘Ciò è mio, questo sono io, questo è il mio sé’.

Monaci, un nobile esperto discepolo, dotato della visione dei nobili,  abile e disciplinato nel loro Dhamma, dotato della visione delle persone autentiche, abile e disciplinato nel loro Dhamma, considera la forma materiale così:

Ciò non è mio, questo non sono io, questo non è il mio sé’. Considera la sensazione così: Ciò non è mio, questo non sono io, questo non è il mio sé’. Considera la percezione così: Ciò non è mio, questo non sono io, questo non è il mio sé’. Considera le intenzioni così: Ciò non è mio, questo non sono io, questo non è il mio sé’. Considera così ciò che ha visto, udito, percepito, conosciuto, incontrato, cercato, ponderato mentalmente: Ciò non è mio, questo non sono io, questo non è il mio sé’. Ed anche questo fondamento per l’opinione, vale a dire: ‘tale il mondo tale il sé; dopo la morte sarò permanente, costante, eterno, non soggetto a cambiamento ed esisterò fino all’eternità’—  anche ciò egli considera così: ‘Ciò non è mio, questo non sono io, questo non è il mio sé’.
Considerando le cose in questo modo, egli non si agita per via di ciò che non esiste.  

Agitazione

Quando ciò fu detto, un certo monaco chiese al Beato: «Venerabile signore, è possibile che vi sia agitazione in riguardo a ciò che esternamente non esiste?»

«È possibile, monaco », disse il Beato. «Ecco, monaco, qualcuno pensa così: ‘Ahimè, in passato era mio! Ma ora non ce l’ho più! Avrebbe potuto essere mio, ma ora non lo posso avere!’ ed egli si rattrista, si addolora e si lamenta, piange battendosi il petto e si affanna. In questo modo c’è agitazione in riguardo a ciò che è inesistente all’esterno».

«Venerabile signore, è possibile che non vi sia agitazione in riguardo a ciò che esternamente non esiste?»

«È possibile, monaco », disse il Beato. «Ecco, monaco, qualcuno non pensa così: ‘Ahimè, in passato era mio! Ma ora non ce l’ho più! Avrebbe potuto essere mio, ma ora non lo posso avere!’ ed egli non si rattrista, non si addolora né si lamenta, non piange battendosi il petto e non si affanna. In questo modo non c’è agitazione in riguardo a ciò che è inesistente all’esterno».

«Venerabile signore, è possibile che vi sia agitazione in riguardo a ciò che è inesistente internamente?»

«È possibile, monaco », disse il Beato. «Ecco, monaco, un certo individuo sostiene la seguente opinione: ‘tale il mondo tale il sé; dopo la morte sarò permanente, costante, eterno, non soggetto a cambiamento ed esisterò fino all’eternità’. Ed egli ascolta il Tathāgata o un discepolo del Tathāgata insegnare il Dhamma per l’eliminazione di tutte le opinioni[erronee], delle decisioni, ossessioni, aderenze e tendenze latenti, per placare i condizionanti, per l’abbandono di tutti gli attaccamenti, per la distruzione della bramosia, il distacco, la cessazione, il Nibbāna.

Ed egli così pensa: ‘Così sarò annientato! Sarò distrutto! Non esisterò più!’; ed egli si rattrista, si addolora e si lamenta, piange battendosi il petto e si affanna. In questo modo c’è agitazione in riguardo a ciò che è inesistente all’interno».

«Venerabile signore, è possibile che non vi sia agitazione in riguardo a ciò che internamente  non esiste?»

«È possibile, monaco », disse il Beato. «Ecco, monaco, un certo individuo non sostiene la seguente opinione: ‘tale il mondo tale il sé; dopo la morte sarò permanente, costante, eterno, non soggetto a cambiamento ed esisterò fino all’eternità’. Ed egli ascolta il Tathāgata o un discepolo del Tathāgata insegnare il Dhamma per l’eliminazione di tutte le opinioni[erronee], delle decisioni, ossessioni, aderenze e tendenze latenti, per placare i condizionanti, per l’abbandono di tutti gli attaccamenti, per la distruzione della bramosia, il distacco, la cessazione, il Nibbāna. Ma egli non pensa così: ‘Così sarò annientato! Sarò distrutto! Non esisterò più!’; per ciò egli non si rattrista, non si addolora e non si lamenta, non piange battendosi il petto e non si affanna. In questo modo non c’è agitazione in riguardo a ciò che è inesistente all’interno».

Mutevolezza e non sé

« Monaci, sarebbe possibile appropriarsi di quella proprietà che è permanente, stabile, eterna, non soggetta al cambiamento e durevole per l’eternità. Ma vedete qualcosa del genere, monaci?»
«No, venerabile signore.»
«Bene, monaci; anch’io non vedo alcun proprietà che sia permanente, stabile, eterna, non soggetto al cambiamento e durevole per l’eternità.

Monaci, ci si potrebbe afferrare a quella dottrina relativa all’afferrarsi ad un sé la quale non susciti alcuna afflizione, lamento, dolore, sofferenza, e disperazione in chi vi si afferra. Ma vedete una simile dottrina relativa al sé, monaci?»
«No, venerabile signore».

«Bene, monaci;  anch’io non vedo alcuna dottrina relativa all’afferrarsi ad un sé la quale non susciti alcuna afflizione, lamento, dolore, sofferenza, e disperazione in chi vi si afferra.

«Monaci, si potrebbe ben prendere come sostegno un’opinione la quale non susciti alcuna afflizione, lamento, dolore, sofferenza e disperazione in chi la prende come proprio sostegno.
Ma vedete voi un tale sostegno in qualunque opinione, bhikkhu?»  

«No, venerabile signore.»

«Bene, monaci; anch’io non vedo alcun sostegno in un’opinione la quale non susciti alcuna afflizione, lamento, dolore, sofferenza e disperazione in chi la prende come proprio sostegno.

« Monaci, se esistesse un sé, ci sarebbe anche un ‘ciò che appartiene a un sé’?» 
«Sì, venerabile signore».
«Monaci, se esistesse ‘ciò che appartiene un sé’, ci sarebbe anche ‘il mio sé’?
«Sì, venerabile signore.»

«Monaci, dal momento che un tale sé e un ‘ciò che appartiene a un sé’ non sono appresi come veri e stabiliti, allora, quel fondamento per le opinioni, vale a dire, ‘tale il mondo tale il sé; dopo la morte sarò permanente, costante, eterno, non soggetto a cambiamento ed esisterò fino all’eternità’— non sarebbe un insegnamento assolutamente, completamente sciocco?

«Cos’altro potrebbe essere, venerabile signore, se non un insegnamento assolutamente, completamente sciocco?»

«Cosa ne pensate monaci, il corpo è permanente o mutevole?»

« mutevole, Signore».

«Ma ciò che è mutevole, è soddisfacente o insoddisfacente?»

«Insoddisfacente, Signore».

«Ma ciò che è mutevole, insoddisfacente, soggetto alla legge naturale della dissoluzione, è forse saggio considerare ciò come  ‘Questo è mio, questo sono Io, questo è il mio Sé’?»

«No di certo, Signore».

«La sensazione è permanente o mutevole?»

« mutevole, Signore».

«Ciò che è mutevole è forse soddisfacente o insoddisfacente?»

«Insoddisfacente, Signore».

«Ciò che è mutevole, insoddisfacente, soggetto alla legge naturale del cambiamento, è forse saggio considerare ciò come ‘Questo è mio, questo sono Io, questo è il mio sé’?’»

«No di certo, Signore.»

«La percezione è permanente o mutevole?»

« mutevole, Signore».

«Ma ciò che è mutevole, è soddisfacente o insoddisfacente?»

«Insoddisfacente, Signore».

«Ciò che è mutevole, insoddisfacente, soggetto alla legge naturale del cambiamento, è forse saggio considerare ciò come ‘Questo è mio, questo sono Io, questo è il mio sé?’»

«No di certo, Signore».

«Le intenzioni sono permanenti è mutevoli?».

« mutevoli, Signore».

«Ma ciò che è mutevole, è soddisfacente o insoddisfacente?».

«Insoddisfacente, Signore».

«Ciò che è mutevole, insoddisfacente, soggetto alla legge naturale del cambiamento, è forse saggio considerare ciò come ‘Questo è mio, questo sono Io, questo è il mio sé?’»

«No di certo, Signore».

«La cognizione è permanente o mutevole?»

« mutevole, Signore».

«Ma ciò che è mutevole, è soddisfacente o insoddisfacente?»

«Insoddisfacente, Signore».

«Ciò che è mutevole, insoddisfacente, soggetto alla legge naturale del cambiamento, è forse saggio considerare ciò come ‘Questo è mio, questo sono Io, questo è il mio sé’?».

«No di certo, Signore».

«Pertanto, monaci, qualsiasi corpo/oggetto materiale del passato, del futuro o del presente, interno o esterno, grossolano o sottile, inferiore o superiore, lontano o vicino, qualunque corpo materiale, deve essere saggiamente riconosciuto in questo modo: ‘Ciò non è mio, questo non sono Io, questo non è il mio sé’; qualsiasi sensazione, del passato, del futuro o del presente, interna o esterna, grossolana o sottile, inferiore o superiore, lontana o vicina, qualunque sensazione, deve essere saggiamente riconosciuta in questo modo: ‘ciò non è mio, ciò non sono Io, ciò non è il mio sé’; qualsiasi percezione, del passato, del futuro o del presente, interna o esterna, grossolana o sottile, inferiore o superiore, lontana o vicina, qualunque percezione, deve essere saggiamente riconosciuta in questo modo: ‘ciò non è mio, ciò non sono Io, ciò non è il mio sé’; qualsiasi intenzione, del passato, del futuro o del presente, interna o esterna, grossolana o sottile, inferiore o superiore, lontana o vicina, qualunque percezione, deve essere saggiamente riconosciuta in questo modo: ‘ciò non è mio, ciò non sono Io, ciò non è il mio sé’; qualsiasi cognizione, del passato, del futuro o del presente, interna o esterna, grossolana o sottile, inferiore o superiore, lontana o vicina, qualunque percezione, deve essere saggiamente riconosciuta in questo modo: ‘ciò non è mio, ciò non sono Io, ciò non è il mio sé’.

Quando il nobile discepolo comprende ciò, egli prova disincanto nei riguardi della forma, prova disincanto nei riguardi delle sensazioni, prova disincanto nei riguardi delle percezioni, prova disincanto nei riguardi delle volizioni, prova disincanto nei riguardi della cognizione; disincantato, egli si libera dalle passioni nocive; essendo libero dalle passioni ottiene la liberazione; essendosi liberato, in lui sorge la conoscenza: ‘[la mente] è liberata’; ed egli comprende pienamente: ‘esausta è la nascita, il percorso spirituale è stato completato, fatto ciò che doveva essere fatto, non vi sarà più alcun’altra esistenza’.»

L’Arahant

« Monaci, questo monaco è chiamato uno che ha sollevato la sbarra, la cui trincea è stata riempita, il cui pilastro è stato sradicato, libero da sbarre, un nobile il cui vessillo è stato ammainato, il cui fardello è stato depositato, senza restrizioni.

E come un monaco è uno che ha sollevato la sbarra? Ecco, quel monaco ha abbandonato l’ignoranza, l’ha recisa alla radice, resa come un ceppo di palma, eliminata in modo che non sia più soggetta a sorgere in futuro. In questo modo un monaco è uno che ha sollevato la sbarra.

E come un monaco è uno la cui trincea è stato riempita? Ecco, quel monaco ha abbandonato il ciclo delle nascite che porta un rinnovato essere, lo ha reciso alla radice… in modo che non sia più soggetto a sorgere futuro. In questo modo un monaco è uno la cui trincea è stato riempita.

E come un monaco è uno il cui pilastro è stato sradicato? Ecco, quel monaco ha abbandonato la bramosia, l’ha tagliata alla radice… in modo che non sia più soggetta a sorgere in futuro. In questo modo un monaco è uno il cui pilastro è stato sradicato.

E come un monaco è libero da sbarre? Ecco, quel monaco ha abbandonato i cinque legami inferiori, li ha recisi alla radice… in modo che non siano più soggetti a sorgere in futuro. In questo modo un monaco è uno libero da sbarre.

E come un monaco è un nobile il cui vessillo è stato ammainato, che ha depositato il fardello ed è senza restrizioni?  Ecco, quel monaco ha abbandonato la presunzione del ‘Io sono’, l’ha recisa alla radice… in modo che non sia più soggetta a sorgere in futuro. . In questo modo un monaco è un nobile il cui vessillo è stato ammainato, che ha depositato il fardello ed è senza restrizioni.

Monaci, quando gli dèi, assieme ad Indra, Brahmā e Pajāpati, per quanto possano investigare un monaco che sia così liberato nella mente, non trovano nulla di cui poter dire: ‘La coscienza di un tale Tathāgata si fonda su questo’. Perché? Perché anche nel qui ed ora il Tathāgata non è rintracciabile, così io vi dico.  

Travisamento del Tathāgata

« Monaci, nonostante io abbia affermato ciò, nonostante io abbia spiegato le cose in questo modo, in questo modo io sono stato travisato infondatamente, vanamente, falsamente ed erroneamente da alcuni asceti e bramini: ‘l’asceta Gotama è un nichilista; insegna l’annientamento, la distruzione, lo sterminio di un essere esistente’. Ciò che non sono, ciò che non ho dichiarato, in questo modo io sono stato travisato infondatamente, vanamente, falsamente ed erroneamente da alcuni asceti e bramini: ‘l’asceta Gotama è un nichilista; insegna l’annientamento, la distruzione, lo sterminio di un essere esistente’.

Monaci, sia in passato che nel presente ciò che insegno è la sofferenza e la cessazione della sofferenza. Se altri maltrattano, insultano, rimproverano e molestano il Tathāgata per questo, il Tathāgata non prova fastidio, amarezza o abbattimento del cuore a causa di ciò. E se altri onorano, rispettano, riveriscono e venerano il Tathāgata per questo, il Tathāgata non prova delizia, gioia o esaltazione del cuore a causa di ciò. Se altri onorano, rispettano, riveriscono e venerano il Tathāgata per questo, il Tathāgata così penserà: ‘Essi agiscono così nei miei confronti per via di ciò che da loro è stato pienamente compreso in passato.’

 Pertanto, monaci, se altri vi insultano, vi insultano, vi sgridano e vi molestano, non dovreste nutrire alcun fastidio, amarezza o abbattimento del cuore a causa di ciò. E se gli altri vi onorano, rispettano, riveriscono e venerano, voi non dovreste avere alcuna gioia, gioia o esaltazione del cuore a causa di ciò. Se gli altri vi onorano, rispettano, riveriscono e venerano, dovreste pensare così: ‘Essi agiscono così nei miei confronti per via di ciò che da loro è stato pienamente compreso in passato.’

Non vostro

Pertanto, monaci, qualunque cosa non sia vostra, abbandonatela; quando la avrete abbandonata, ciò vi condurrà benessere e alla felicità per lungo tempo. Cos’è che non è vostro? La forma materiale non è vostra. Abbandonala. Quando la avrete abbandonata, ciò porterà al tuo benessere e alla tua felicità per molto tempo ciò vi condurrà benessere e alla felicità per lungo tempo. La sensazione non è vostra; abbandonala. Quando la avrete abbandonata, ciò vi condurrà benessere e alla felicità per lungo tempo. La percezione non è vostra; abbandonala. ciò vi condurrà benessere e alla felicità per lungo tempo. Le intenzioni non sono vostre; abbandonatele. Quando le avrete abbandonate, ciò vi condurrà benessere e alla felicità per lungo tempo. La coscienza non è vostra; abbandonala. Quando la avrete abbandonata, ciò vi condurrà benessere e alla felicità per lungo tempo.

Monaci, cosa ne pensate? Se le persone portassero via l’erba, i bastoncini, i rami e le foglie in questo boschetto di Jeta, o li bruciassero, o facessero ciò che vogliono con loro, pensereste voi: ‘La gente ci porta via o ci brucia o fa ciò che vuole con noi’?»

«No, venerabile signore».

«Perché no?»

« Perché quello non è né il nostro sé né ciò che appartiene al nostro sé».

« Allo stesso modo, abbandonate ciò che non è vostro; quando lo avrete abbandonato, ciò vi condurrà benessere e alla felicità per lungo tempo. E cosa non è vostro? La forma materiale non è vostra… La sensazione non è vostra… La percezione non è vostra… Le intenzioni non sono vostre… La coscienza non è vostra. Abbandonala. Quando la avrete abbandonata, ciò vi condurrà benessere e alla felicità per lungo tempo

In questo Dhamma

«Monaci, il Dhamma da me ben proclamato è quindi chiaro, aperto, evidente e manifesto. Nel Dhamma da me così ben proclamato, che è chiaro, aperto, evidente e manifesto, vi sono dei bhikkhu che sono arahant i quali hanno distrutto le afflizioni, terminato la disciplina spirituale, fatto ciò che doveva essere fatto, deposto il fardello, raggiunto il proprio obiettivo, distrutto le catene dell’essere e sono completamente liberati attraverso la conoscenza finale; per loro non vi è più alcun vorticare (vatta). In questo modo, monaci, il Dhamma da me ben proclamato è quindi chiaro, aperto, evidente e manifesto..

Monaci, il Dhamma da me ben proclamato è quindi chiaro, aperto, evidente e manifesto. Nel Dhamma da me così ben proclamato, che è chiaro, aperto, evidente e manifesto, vi sono dei monaci che hanno abbandonato i cinque legami inferiori, i quali sono tutti destinati a riapparire spontaneamente nelle Pure Dimore e lì raggiungere il Nibbāna finale, senza mai tornare da quel mondo.

Monaci, il Dhamma da me ben proclamato è quindi chiaro, aperto, evidente e manifesto. Nel Dhamma da me così ben proclamato, che è chiaro, aperto, evidente e manifesto, vi sono dei monaci che avendo abbandonato i tre legami e attenuato bramosia, odio e ignoranza,  ritornano una volta sola, tornano una volta in questo mondo per porre fine alla sofferenza.

Monaci, il Dhamma da me ben proclamato è quindi chiaro, aperto, evidente e manifesto. Nel Dhamma da me così ben proclamato, che è chiaro, aperto, evidente e manifesto, vi sono dei monaci che avendo abbandonato i tre legami, sono entrati nella corrente del risveglio, non più soggetti a rovina, destinati alla liberazione, diretti verso il risveglio.

Monaci, il Dhamma da me ben proclamato è quindi chiaro, aperto, evidente e manifesto. Nel Dhamma da me così ben proclamato, che è chiaro, aperto, evidente e manifesto, vi sono dei monaci seguaci del Dhamma o seguaci per via della fiducia, i quali sono tutti diretti verso il risveglio.

Monaci, il Dhamma da me ben proclamato è quindi chiaro, aperto, evidente e manifesto. Nel Dhamma da me così ben proclamato, che è chiaro, aperto, evidente e manifesto, coloro che hanno sufficiente fiducia in me, sufficiente amore per me, sono tutti diretti verso lo stato paradisiaco.

Così parlò il Beato. Contenti quei bhikkhu si rallegrarono alle parole del Beato.

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