
Così ho sentito: Una volta il Beato dimorava a Sāvatthī, nel bosco di Jeta, all’eremo di Anāthapiṇḍika. In quel tempo, molti giovani ragazzi che si trovavano tra Sāvatthī e il bosco Jeta stavano tormentando un serpente con un bastone. Quindi il Beato, dopo essersi vestito al mattino, presa la ciotola e la veste, si recò verso Sāvatthī per la questua. Ed il Beato vide quei giovani ragazzi tormentare il serpente con un bastone. Allora Beato, compreso il significato di quanto stava accadendo, in quella stessa occasione pronunciò questi versi ispirati:
«Colui che, cercando la propria felicità,
danneggia con un bastone altri esseri che desiderano la felicità,
non troverà la felicità in futuro.
Colui che, cercando la propria felicità,
non danneggia con un bastone altri esseri che desiderano la felicità,
troverà la felicità in futuro.»
Udāna 2.3
Daṇḍasutta
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Il kamma (karma) è la dottrina della eticità delle azioni volontarie (cetanā). Il concetto di karma non deve essere inteso come un’idea fatalista (come spesso accadde e accade in oriente), né come una dottrina religiosa invitante alla colpevolizzazione e al giudizio assimilabile alla nozione cristiana del peccato originale (come spesso intesa erroneamente in occidente); Il karma è la teoria della responsabilità etica individuale.
Secondo il Buddhismo tutti gli esseri senzienti sono soggetti alla legge universale del karma vecchio e nuovo.
Con karma vecchio (passivo) si intendono i risultati delle azioni volontarie compiute in precedenza, mentre con karma nuovo (attivo) quelle azioni volontarie compiute nel presente i cui frutti si manifesteranno nel futuro, prossimo o distante.
Le azioni volontarie sono generalmente categorizzate a seconda del tipo di risultato prodotto; le azioni definite come nocive (akusala) sono quelle il cui risultato sarà caratterizzato da una esperienza dolorosa, mentre quelle salutari (kusala) sono quelle il cui frutto saranno stati caratterizzati da felicità e benessere.
Tuttavia, dal punto di vista secolare, le definizioni di buono e cattivo sono costrutti culturali e in quanto tali non possono essere applicate al mondo animale. Gli animali, ad eccezione degli umani, non conoscono i concetti etici di buono e cattivo, i quali peraltro variano a secondo dei tempi, dei luoghi e delle circostanze storiche, arrivando perfino a contraddirsi fra loro: ad esempio, il consumo di alcoolici è considerato lecito e normale in alcune culture e religioni e assolutamente immorale in altre.
Nel lungo percorso verso la civilizzazione, gli esseri umani hanno elaborato una serie di norme morali, basate sull’utilizzo della ragione, al fine di normare i comportamenti degli individui all’interno di una determinata società e cultura.
D’altro canto, gli animali si muovo sul piano istintuale, rispondono a leggi naturali ben più elementari ma anche molto più armoniose di quelle ideate dagli umani. Da questo punto di vista, si può dire che gli animali non sono né buoni né cattivi, non partecipando alle regole morali e ai criteri etici creati dagli umani.
Gli animali partecipano all’ecosistema vivendo secondo i ritmi della natura; nell’uccidere una gazzella, il leone non sta commettendo alcun atto immorale in quanto in natura gli esseri vivono secondo principi naturali che nulla hanno a che vedere con i costrutti sociali propri della civiltà umana.
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Il termine in lingua Pali per ‘umano’ è ‘manussa’, letteralmente: ‘dalla mente elevata’; un animale è detto ‘tiracchāna’, ‘che si muove orizzontalmente’; queste due definizioni rendono bene la differenza fra gli animali e gli uomini, nonché il paradosso di cui è protagonista in negativo l’homo sapiens: i primi conducono una vita «orizzontale» ma armoniosa con la natura, mentre i secondi, per via delle loro facoltà cognitive superiori rispetto al resto delle specie viventi e nonostante le pretese di supremazia su di esse ( o nonostante ciò?) sono diventati totalmente incapaci di condurre un’esistenza che non arrechi danno a se stessi e al resto del creato.
Tuttavia, il Buddhismo storico riconosce agli esseri del reame animale una certa intelligenza cognitiva ed emotiva, seppur di livello inferiore a quella degli esseri umani. Come già detto, per il Buddhismo, gli animali sono soggetti alla legge del karma vecchio (passivo) e nuovo (attivo), il che significa che per il Buddha anche gli animali sono in grado di agire sulla base di scelte volontarie.
In svariate occasioni il Buddha invitò i propri discepoli a rispettare tutte le forme di vita, non solo quella umana, ma anche quella animale e vegetale:
«Tutti tremano di fronte al bastone,
tutti temono la morte.
Paragonando gli altri a se stessi,
nono uccidere né incitare ad uccidere.»
(Dhammapada, 129)
Molti precetti monastici hanno a che vedere con il mantenere un rapporto armonioso basato sul principio dell’innocenza verso tutte le forme di vita senza eccezioni. E tuttavia, allo stato attuale degli studi buddhisti in Occidente, non è ben chiaro quali siano i limiti della concezione buddhistica dell’intelligenza animale.
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