Ekaṃ samayaṃ bhagavā sāvatthiyaṃ viharati jetavane anāthapiṇḍikassa ārāme, atha kho jaṭābhāradvājo[1] brāhmaṇo yena bhagavā tenupasaṅkami. Upasaṅkamitvā bhagavatā saddhiṃ sammodi. Sammodanīyaṃ kathaṃ sārāṇīyaṃ vītisāretvā ekamantaṃ nisīdi. Ekamantaṃ nisinno kho jaṭābhāradvājo brāhmaṇo bhagavantaṃ gāthāya ajjhabhāsi:
In una certa occasione il Sublime dimorava a Sāvatthi, al monastero di Anāthapiṇḍika; ed il Brahmino Jaṭābhāradvāja[1] si avvicinò al Sublime, ed avendolo avvicinato scambiò con Il Sublime amichevoli saluti, e dopo aver scambiato amichevoli saluti, si sedette al suo fianco. Accanto seduto, il brahmano Jaṭābhāradvāja rivolse al Sublime questi versi :
Anto jaṭā bahi jaṭā jaṭāya jaṭitā pajā,
Taṃ taṃ gotama pucchāmi ko imaṃ vijaṭaye jaṭanti.
Un groviglio interiore, un groviglio esteriore, le persone sono aggrovigliate in un tale groviglio: Oh Gotama, Io ti chiedo: chi mai districherà tale groviglio?
(Bhagavā:)
Sīle patiṭṭhāya naro sapañño cittaṃ paññañca bhāvayaṃ,
Ātāpī nipako bhikkhu so imaṃ vijaṭaye jaṭaṃ.
L’uomo saldo nella virtù etica, nel discernimento, dedito a coltivare la mente e la saggezza, quel Bhikkhu, risoluto, intelligente, egli districherà tale groviglio.
Yesaṃ rāgo ca doso ca avijjā ca virājitā,
Khīṇāsavā arahanto tesaṃ vijaṭitā jaṭā.
Colui il quale ha abbandonato bramosia, avversione ed ignoranza, l’Arahant libero dai veleni interiori, egli districherà tale groviglio.
Yatatha nāmañca rūpañca asesaṃ uparujjhati,
Paṭighaṃ[2] rūpasaññā ca etthesā chijjate jaṭāti.
Là dove ‘nome e materia’, assieme alla percezione materiale ed alla resistenza cessano senza residuo, là un tale groviglio verrà reciso.
-SN 7.6
[1] Il termine Jaṭā può essere tradotto con ‘groviglio’ o ‘nodo’; in questi versi vi è un evidente gioco di parole fra il nome dell’interlocutore, un bramino noto come Jaṭābhāradvāja (Bhāradvāja dai capelli annodati) ed il groviglio esistenziale al quale tutte le vie sapienziali dell’antica India e non hanno provato a dare un risposta.
[2]Paṭigha, letteralmente ‘sbattere contro’,e generalmente tradotto con ‘resistenza’, è una componente del processo della percezione sensoriale che si manifesta dall’interazione fra l’oggetto della percezione (rūpa), gli elementi deputati al riconoscimento o designazione (nāma) ed il processo cognitivo (Viññāṇa). Secondo le spiegazioni del Buddha sull’origine dipendente, l’interazione fra questi tre elementi determina il contatto (phassa) e questo, ha sua volta ha due componenti fondamentali: la designazione (adhivacana) ed la resistenza (Paṭigha):
“Cakkhuñcāvuso, paṭicca rūpe ca uppajjati cakkhuviññāṇaṃ, tiṇṇaṃ saṅgati phasso, phassapaccayā vedanā…”
“Amico, sulla base dell’interazione fra occhio ed oggetto visivo sorge la cognizione visiva, e la concomitanza dei tre determina il contatto; il contatto determina la sensazione…”
L’adhivacanasamphasso o ‘contatto-designazione’ è quella componente del contatto dove l’oggetto viene riconosciuto, designato e nominato dai fattori nāma (sensazione, riconoscimento sulla base della memoria, interazione, intenzione ed attenzione) deputati a tale lavoro, mentre il Paṭighasamphasso o ‘contatto-resistenza’ è generato dallo “collisione” fra l’oggetto (l’immagine dell’oggetto riflessa nella nostra mente, il rūpasaññā) e la relativa base sensoriale (vista, udito, olfatto, gusto, tatto e mente) .
Questo stato di cose è la base per il manifestarsi del Samsara, il circolo vizioso di nascita, invecchiamento e morte – fondamento di tutte le nostre esperienze dolorose e frustranti- allorché tale processo cognitivo viene condizionato dall’ignoranza di tutto ciò (Avijjā).
Questi argomenti sono trattati in dettaglio nel Mahānidānasutta: https://suttacentral.net/en/dn15
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