«Pañcime, bhikkhave, vacanapathā yehi vo pare vadamānā vadeyyuṃ—kālena vā akālena vā; bhūtena vā abhūtena vā; saṇhena vā pharusena vā; atthasaṃhitena vā anatthasaṃhitena vā; mettacittā vā dosantarā vā.»
«Monaci vi sono cinque modi di parlare che le persone potrebbero usare con voi: tempestivo o intempestivo, veritiero o falso, gentile o ruvido, benefico o dannoso, amorevole o astioso.»
«Tatrāpi vo, bhikkhave, evaṃ sikkhitabbaṃ: ‘na ceva no cittaṃ vipariṇataṃ bhavissati, na ca pāpikaṃ vācaṃ nicchāressāma, hitānukampī ca viharissāma mettacittā, na dosantarā.»
«In questo caso voi, monaci, in questo modo dovreste ben esercitarvi: «La nostra mente non sia influenzata da ciò, non ci lasceremo scappare dalla bocca parole nocive; dimoreremo in uno stato di compassione, di interesse nei loro confronti, di benevolenza, privi di odio.»
«Tañca puggalaṃ mettāsahagatena cetasā pharitvā viharissāma, tadārammaṇañca sabbāvantaṃ lokaṃ mettāsahagatena cittena vipulena mahaggatena appamāṇena averena abyābajjhena pharitvā viharissāmā’ti. Evañhi vo, bhikkhave, sikkhitabbaṃ.»
«Dimoreremo pervadendo quella persona con pensieri di amorevole gentilezza, e, iniziando da lui, pervaderemo il mondo intero con una mente imbevuta di amorevole gentilezza, vasta, estesa, senza limiti, priva di astio e malevolenza. Così, o monaci, dovreste voi esercitarvi.»
«Seyyathāpi, bhikkhave, puriso āgaccheyya lākhaṃ vā haliddiṃ vā nīlaṃ vā mañjiṭṭhaṃ vā ādāya. So evaṃ vadeyya: ‘ahaṃ imasmiṃ ākāse rūpaṃ likhissāmi, rūpapātubhāvaṃ karissāmī’ti. Taṃ kiṃ maññatha, bhikkhave, api nu so puriso imasmiṃ ākāse rūpaṃ likheyya, rūpapātubhāvaṃ kareyyā”ti? «No hetaṃ, bhante». «Taṃ kissa hetu?» «Ayañhi, bhante, ākāso arūpī anidassano. Tattha na sukaraṃ rūpaṃ likhituṃ, rūpapātubhāvaṃ kātuṃ; yāvadeva ca pana so puriso kilamathassa vighātassa bhāgī assā»ti.»
«Monaci, è come se arrivasse un uomo provvisto di lacca o curcuma, indaco o carminio, e dicesse: ‘Io disegnerò nello spazio vuoto delle figure, dipingerò delle immagini nello spazio vuoto’. Cosa pensate o monaci, riuscirebbe quell’uomo a disegnare delle figure nello spazio vuoto, a dipingere delle immagini in tale spazio vuoto?»
«Certamente no, Signore!»
«E per quale ragione?»
«Lo spazio vuoto è informe, ‘privo di segni’ (Anidassano), non vi si può disegnare una figura, dipingere un immagine, per quanta fatica e impegno quell’uomo possa metterci.»
«Evameva kho, bhikkhave, pañcime vacanapathā yehi vo pare vadamānā vadeyyuṃ kālena vā akālena vā … pe … tadārammaṇañca sabbāvantaṃ lokaṃ ākāsasamena cetasā vipulena mahaggatena appamāṇena averena abyābajjhena pharitvā viharissāmā’ti. Evañhi vo, bhikkhave, sikkhitabbaṃ.»
«Allo stesso modo, o monaci, in riguardo a questi cinque modi di parlare, dovreste esercitarvi così: “La nostra mente non sia influenzata da ciò, non ci lasceremo scappare dalla bocca parole nocive; dimoreremo in uno stato di compassione, di interesse nei loro confronti, di benevolenza, privi di odio; dimoreremo pervadendo quella persona con pensieri di amorevole gentilezza, e, iniziando da lui, pervaderemo il mondo intero con una mente imbevuta di amorevole gentilezza, vasta, estesa, senza limiti, priva di astio e malevolenza. Così, o monaci, dovreste voi esercitarvi.»
-Kakacūpamasutta, MN21, (estratto)
NOTE:
1 Anidassana: ‘invisibile’, privo di segni; vi è un’evidente allusione alla natura luminosa della mente, alla liberazione della mente (cetovimutti) dalle limitazioni imposte dalla concezione dualistica dell’esistenza che erroneamente postula (lett. vede, ‘dassati’) un ‘Io’ distinto e contrapposto ad un ‘altro’, un ‘qui’ distinto da un ‘la’ etc :
Kattha āpo ca pathavī,
tejo vāyo na gādhati;
Kattha dīghañca rassañca,
aṇuṃ thūlaṃ subhāsubhaṃ;
Kattha nāmañca rūpañca,
asesaṃ uparujjhatī’ti.
Dove acqua e terra,
fuoco e vento non trovano più appiglio?
Dove i concetti di lungo e corto,
stretto e largo, bello e brutto,
mentale e materiale
si dissolvono senza residui?
Tatra veyyākaraṇaṃ bhavati:
Così è da rispondere:
‘Viññāṇaṃ anidassanaṃ,
anantaṃ sabbatopabhaṃ;
Nella coscienza non designante,
non limitata, completamente luminosa;
Ettha āpo ca pathavī,
tejo vāyo na gādhati.
lì [i concetti quali] acqua e terra,
fuoco e vento non trovano più alcun appiglio.
Ettha dīghañca rassañca,
aṇuṃ thūlaṃ subhāsubhaṃ;
Ettha nāmañca rūpañca,
asesaṃ uparujjhati;
lì [i concetti quali] lungo e corto,
stretto e largo, bello e brutto,
mentale e materiale
si dissolvono senza alcun residuo.
Viññāṇassa nirodhena,
etthetaṃ uparujjhatī’”ti.
Con la cessazione della coscienza [duale],
a tutto ciò si pone fine.
-Kevaṭṭasutta, DN 11
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