«Non essere distratto, ma non meditare!
Praticare in questo modo significa essere abili.
Quando le miriadi di esperienze non lasciano alcuna traccia, che meraviglia!
Praticare in questo modo è la liberazione!»
I SETTE FATTORI DEL RISVEGLIO
3. VIRIYA, L’IMPEGNO
Riassunto degli argomenti trattati durante l’incontro di meditazione del 2 Novembre
Viriya è il terzo dei sette fattori conducenti al risveglio (satta sambojjhaṅgā) esposti nel Sutra Sulla Consapevolezza; questo vocabolo è chiaramente imparentato con il latino ‘vĭr’, dal quale nascono parole come ‘virum’ ‘vigore‘, ‘virile’.
Nel linguaggio del Dharma, il termine viriya è spesso tradotto come ‘energia’, ‘sforzo energetico’, ‘sforzo entusiastico’, ‘perseveranza’, ‘applicazione’ e infine con ‘impegno’. Di fatto, si tratta di una forma di «entusiasmo volontario» nei riguardi della pratica. Nel Meghiya Sutta, il Buddha definisce il viriya come una delle cinque qualità conducenti alla maturazione:
«Un monaco coltivi lo sforzo entusiastico, al fine di abbandonare gli elementi nocivi e generare gli elementi salutari, risoluto, energico, senza trascurare i propri doveri in relazione agli elementi salutari..»
Nel Nobile Ottuplice Sentiero, lo sforzo entusiastico è definito sammāvāyāma, ‘giusto sforzo’. In questo contesto, lo sforzo è definito ‘giusto’ in quanto equilibrato: il termine pali sammā infatti vuol dire ‘dello stesso tenore’, ovvero equilibrato, e richiama al latino ‘similar’ e all’inglese ‘same’:
«E cos’è, o Monaci, il giusto sforzo? ecco monaci, un monaco è volenteroso, si applica, suscita energia, applicazione mentale e impegno al fine di impedire che stati mentali non salutari non ancora sorti possano sorgere; è volenteroso, si applica, suscita energia, applicazione mentale e impegno al fine di abbandonare gli stati mentali non salutari già sorti; è volenteroso, si applica, suscita energia, applicazione mentale e impegno al fine di generare stati mentali salutari non ancora sorti; è volenteroso, si applica, suscita energia, applicazione mentale e impegno al fine di stabilizzare, mantenere, incrementare, estendere, sviluppare e completare quegli stati mentali salutari già sorti. Questo, o monaci, è detto giusto sforzo.»
Nel Sutra del Fuoco, il Buddha spiega l’utilità pratica del coltivare lo sforzo entusiastico:
«Quando la mente è fiacca, quello è il momento idoneo per coltivare il fattore risvegliante dell’investigazione della realtà, il fattore risvegliante dello sforzo entusiastico, il fattore risvegliante della gioia interiore. E per quale ragione? Perché è facile stimolare la mente fiacca attraverso queste pratiche. Proprio come se vi fosse una persona che desiderasse rinfocolare un fuocherello; costui, dopo avervi gettato erba secca, sterco asciutto, legno stagionato, vi soffiasse sopra, senza gettarvi sopra dell’immondizia. Riuscirebbe lui a rinfocolare quel fuocherello?»
«Certo, Signore».
BILANCIARE LO SFORZO
Nel coltivare lo sforzo entusiastico, ciascuno praticante deve trovare il proprio personale punto d’equilibrio fra lo sforzo e il riposo. Uno sforzo eccessivo potrebbe portare all’irrequietezza e ulteriore stress, mentre un rilassamento eccessivo potrebbe causare torpore mentale e pesantezza psicofisica. Il Sona Sutta illustra in maniera brillante questo stato di cose:
«Cosa pensi, Sona, quando vivevi con la tua famiglia, non eri forse un esperto suonatore di liuto?»
«Certamente, Signore.»
«Quando le corde del tuo liuto erano troppo tese, forse che quel tuo liuto era accordato e produceva un bel suono?»
«No di certo, Signore.»
«E quando le corde del tuo liuto erano troppo molli, forse che il tuo liuto era accordato e produceva un bel suono?»
«No di certo, Signore.»
«E quando le corde del tuo liuto erano né troppo tese né troppo allentate, ma accordate, forse che il tuo liuto era giustamente accordato e produceva un suono melodioso?»
«Certamente, Signore.»
«Allo stesso modo, la sforzo eccessivo conduce all’agitazione, l’eccessivo rilassamento porta alla pigrizia.»
COLTIVARE L’IMPEGNO
L’impegno, elemento necessario per sostenere un impegno nella pratica prolungato nel tempo, è nutrito dai fattori risveglianti che lo precedono, quali l’attenzione al presente (sati) e l’investigazione interna degli stati (dhamma vicaya). Nel momento in cui questi due fattori sono ben radicati nello schema di pensiero del praticanti, essi fungeranno da combustibile alla pratica stessa, andando poi ad alimentare i successivi fattori risveglianti, quali la gioia interna (Pīti) e la calma (Passaddhi).
Nel Oghataraṇa Sutta, il Buddha spiega che la giusta via di mezzo conducente all’emancipazione dal dukkha consiste nel trovare quel punto d’equilibrio interiore che trascende sia lo sforzo come anche la sua assenza:
«Signore, in che modo hai guadato la piena [del saṃsāra]?»
«Senza adagiarmi, amica, e senza lottare, ho guadato la piena»
«Ma in che modo, Signore, hai guadato la piena senza rimanere fermo e senza lottare?»
«Amica, quando mi adagiavo andavo a fondo, quando lottavo, venivo trascinato via dalla corrente; così, amica, senza adagiarmi e senza sforzarmi ho guadato la piena».
A questo proposito, il venerabile Samanthabhadra Thera scrive:
«Impegnarsi equivale a sforzarsi, ma anche la mancanza d’impegno è uno sforzo. Non potrete mai diventare liberi tramite queste due modalità. Inoltre, anche se ci viene detto di purificare noi stessi senza sforzarci, non riusciremo a praticare in questo modo senza sapere come fare concretamente. La via più breve consiste nel liberare la mente lasciando andare ogni cosa. Il sentiero della purezza non deve essere un fardello. Smettete di sforzarvi. Lasciate andare ogni cosa a siate liberi.»
(Estratto da: Free as a bird)
In ultima analisi, lo scopo dell’impegno è di condurci ad uno stato in cui non vi è più alcun bisogno di sforzo, né tanto meno alcuna assenza di sforzo.
Con metta,
Davide
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